La prossima Commissione annuale sullo status delle donne dell’Onu sarà presieduta da Riad. Chi meglio del progressista Bin Salman può impegnarsi per l’emancipazione femminile e la parità di genere? Le riforme varate in pompa magna nel 2022 parlano da sole.
Un Women è l’organizzazione dell’Onu che si dedica all’uguaglianza di genere e all’emancipazione delle donne. Questa settimana a New York si è tenuta la 68esima Commissione annuale sullo status delle donne (CSW68), il più grande incontro annuale delle Nazioni Unite con un ambizioso obiettivo: “Accelerare il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze affrontando la povertà e rafforzando le istituzioni e i finanziamenti con una prospettiva di genere”. In 11 giorni di incontri al CSW68 governi, organizzazioni della società civile, esperti e attivisti di tutto il mondo si sono riuniti per concordare azioni e investimenti che possano porre fine alla povertà delle donne e promuovere l’uguaglianza di genere.
Se l’unico candidato alla presidenza del CSW69 è l’Arabia Saudita
Ma non è questa la notizia. Alla fine della sessione di incontri di venerdì si è insediato l’ufficio di presidenza per il CSW69 che preparerà l’appuntamento del prossimo anno. L’unico Paese candidato alla presidenza era l’Arabia Saudita, il famelico stato che si affanna sul palcoscenico mondiale per apparire progressista. Di fronte ai dubbi di tale scelta, la delegazione saudita presente all’evento ha spiegato che «il Regno ha compiuto importanti passi e le riforme sono ancora in corso» e a sostegno della propria tesi ha portato un comunicato stampa della Banca Mondiale che plaude le riforme saudite che segnano «progressi senza precedenti» nell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.
La riforme progressiste di Bin Salman in realtà discriminano le donne, mogli e madri
Bene, viene da pensare, è una buona notizia. La legge cardine delle riforme saudite è stata proclamata l’8 marzo del 2022. Il principe bin Salman è sempre attento a fare coincidere le date per agevolare la simbologia e quell’8 marzo sembrava perfetto per un ulteriore mattoncino da aggiungere al progressismo percepito del suo Paese nel mondo. Promulgare una legge del resto costa molto meno che acquistare una stella mondiale di calcio e può allo stesso modo portare un benefico ritorno di immagine. Ma com’è quindi la legge del Rinascimento saudita? Rothna Begum, ricercatrice senior sui diritti delle donne presso Human Rights Watch nel 2023 disse: «Nella Giornata internazionale della donna l’anno scorso, le autorità saudite hanno proclamato di aver approvato una legge sullo status personale “progressista”, ma invece hanno semplicemente sancito la discriminazione contro le donne nel codice legale». Non benissimo, a ben vedere. Che dice quella legge? Richiede alle donne di ottenere il permesso di un tutore maschile per sposarsi, codificando la pratica di lunga data del Paese. Le donne sposate sono tenute a obbedire ai loro mariti in modo «ragionevole». Il sostegno finanziario di un marito dipende specificamente dall’«obbedienza» di una moglie che può perdere il diritto a tale sostegno se si rifiuta senza una «scusa legittima» di fare sesso con lui, di trasferirsi o di vivere nella casa coniugale o di viaggiare con lui. La legge afferma inoltre che nessuno dei due coniugi può astenersi dalle relazioni sessuali o dalla convivenza senza il consenso dell’altro coniuge, di fatto è un diritto coniugale ai rapporti sessuali. Ma non finisce qui. Mentre un marito può divorziare unilateralmente, una donna può solo chiedere a un tribunale di sciogliere il loro contratto di matrimonio per motivi limitati e deve «dimostrare il danno» che rende «impossibile» la continuazione del matrimonio. La legge però non specifica cosa costituisca «danno» o quali prove possano essere presentate a sostegno di un caso, lasciando ai giudici un’ampia discrezionalità nell’interpretazione e nell’applicazione per mantenere lo status quo.
Anche sui diritti vale la regola del business
E ancora. I padri rimangono i tutori predefiniti dei loro figli, limitando la capacità di una madre di partecipare pienamente alle decisioni relative al benessere sociale e finanziario dei figli. Una madre non può agire come tutore di suo figlio a meno che un tribunale non la nomini, altrimenti avrà un’autorità limitata per prendere decisioni per il suo benessere, anche nei casi in cui i genitori non vivono insieme e le autorità giudiziarie decidono che il bambino dovrebbe vivere con la madre. I padri possono nominare tutori alternativi per i loro figli, ma la legge non dà alle madri la stessa facoltà. Infine un padre può chiedere di porre fine alla custodia del proprio figlio per «incompetenza» della madre. A New York, nei corridoi del CSW68 i diplomatici occidentali hanno riconosciuto informalmente, solo in privato, i problemi legati alla presidenza saudita per il prossimo CSW69. Ma business is business, anche sui diritti. In fondo basta poco di questi tempi per sembrare progressisti.
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