Il garantismo è un crinale spesso pericoloso. Maestra del garantismo alla bisogna con cui farsi scudo nonostante le molteplici richieste di dimissioni indirizzate agli avversari politici è la ministra Daniela Santanchè, accusata di reati che farebbero traballare qualsiasi altro lavoratore al di fuori di un Coniglio dei ministri. Proprio su Santanchè sono volati gli stracci tra gli autodefiniti “garantisti doc” di Azione, il partito guidato da Carlo Calenda. Il suo deputato Enrico Costa (feticcio dei garantisti di quest’epoca) non avrebbe voluto votare la sfiducia a Daniela Santanchè ma il suo segretario non era d’accordo. Ieri sull’ex Twitter ora X i due si sono mandati velenosi messaggi a distanza.
“I garantisti. – ha scritto Costa in un messaggio velatamente indirizzato al suo segretario – Quando fa comodo sono esibiti come bandiere di una politica liberale. Quando si avvicinano le elezioni diventano imbarazzanti, soprattutto se sono garantisti con gli avversari: perché molti pensano che rinfacciare un’avviso di garanzia o un’inchiesta porti voti”. Risponde velenoso Calenda: “La follia per cui il garantismo vuol dire non poter esprimere un giudizio sui comportamenti di chi ricopre una carica pubblica, a prescindere dalla loro rilevanza penale e storia processuale, produce l’effetto opposto. Tutto è penale o non è. L’Etica – prosegue il leader di Azione – pubblica finisce per scomparire e così il giudizio di opportunità. E la nouvelle vague di una parte dei liberali nostrani che forse dovrebbero rileggere Einaudi o Cavour, invece di riempirsene la bocca senza conoscerne il pensiero”. Il bello dei garantisti è che ognuno ha il suo garantismo.
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