Al ministro dei Trasporti e della Infrastrutture Matteo Salvini serve che i lavori del Ponte sullo Stretto comincino il prima possibile per evitare di affondare. Salvini ripete che il ponte (che per lui più che altro è una scialuppa) si comincerà a costruire entro il 2024 ma solo da pochi giorni è stata resa pubblica l’analisi dei costi e dei benefici redatta dalla società “Stretto di Messina”. Il buon senso e la buona politica richiederebbero che a stendere lo studio fosse una società terza e non una di quelle coinvolte nel progetto ma per ora ci si deve accontentare. L’aspetto clamoroso – come sottolinea l’ingegnere meccanico e professore all’Università di Torino Francesco Ramella – è che dall’analisi del rapporto della società “Stretto di Messina” si evince che l’investimento, sotto il profilo strettamente economico, è fallimentare.
Dall’analisi del rapporto della società “Stretto di Messina” si evince che l’investimento, sotto il profilo strettamente economico, è fallimentare
“Per costi di costruzione e gestione, al netto del valore residuo al termine del periodo di analisi, stimati pari a 10,6 miliardi, i benefici economici, dati dalla somma di risparmi di tempo e riduzione di costi operativi dei mezzi di trasporto, assommano a 9,1 miliardi”, scrive Ramella in un studio per lavoce.info. Ramella sottolinea anche come desti perplessità il fatto che i risparmi di tempo per i veicoli merci siano stimati, nel primo anno di esercizio, pari a 365 milioni, ossia quasi il triplo rispetto a quelli per i passeggeri, nonostante che il numero di mezzi pesanti che oggi si servono dei traghetti sia intorno alle 800 mila unità, contro più di dieci milioni di persone che ogni anno attraversano lo Stretto. “Occorre poi ricordare – spiega Ramella – che, storicamente, le valutazioni economiche delle grandi opere sono soggette a optimism bias (pregiudizio dell’ottimismo): quasi sempre a consuntivo i costi risultano superiori a quelli stimati inizialmente (in media per i ponti del 26 per cento) e i benefici più limitati”. In ogni caso, anche qualora si considerino corrette tutte le assunzioni e i risultati della valutazione, la costruzione del ponte impoverirebbe gli italiani per un ammontare di 1,5 miliardi di euro.
A tenere in piedi il progetto sarebbe un risparmio sovrastimato della riduzione delle emissioni climalteranti. Proprio nel ministero di chi nega il cambiamento climatico
E i benefici? Secondo lo studio della “Stretto di Messina” a pesare positivamente sarebbe soprattutto riduzione delle emissioni climalteranti, valutati pari a 10,6 miliardi. È curioso che proprio nel ministero presieduto dal ministro più scettico sul cambiamento climatico – addirittura negazionista in qualche caso – la crisi ambientale venga valutata come il motivo preponderante per la costruzione dell’opera, no? Secondo gli autori della analisi costi benefici, grazie alla costruzione del ponte e alla conseguente eliminazione dei traghetti tra Messina e Villa San Giovanni, al trasferimento su ferrovia di una parte dei passeggeri che oggi utilizzano l’aereo e delle merci trasportate via nave, si conseguirebbe una riduzione di emissioni pari a 12,8 milioni di tonnellate di CO2. Per fare quadrare i conti però hanno dovuto esagerarli e così, come sottolinea Ramella, nel rapporto si è valutato 828 euro il valore attuale delle quote di emissione di gas serra che però nel sistema europeo di scambio è di 60 euro e il valore massimo raggiunto nel febbraio 2023 è stato pari a 105 euro. Oggi si stima che la maggior parte delle emissioni mondiali di CO2 potrebbe essere abbattuta con un costo di gran lunga inferiore a quello preso come riferimento nell’analisi. In sintesi, – scrive Ramella – si può dire che la fattibilità socio-economica del Ponte “è appesa” a una ipotesi di riduzione delle emissioni straordinariamente inefficiente. A Salvini conviene che i suoi elettori cambino idea in fretta sul cambiamento climatico.
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