Nella serata di domenica 28 aprile il leader di Azione Carlo Calenda ha annunciato che si candiderà alle elezioni europee di giugno, smentendo quanto promesso pochi mesi fa. Calenda ha giustificato la sua giravolta dicendo che “la discesa in campo della presidente del Consiglio e la sua piattaforma antieuropea e sovranista cambiano completamente lo scenario”. Dice Calenda che le candidature di Meloni, Tajani e Schlein lo hanno spinto a candidarsi “per dare ancora più forza alla squadra di straordinaria qualità che abbiamo messo in campo da settimane, con un programma netto e chiaro”.
Il 12 gennaio di quest’anno Calenda aveva detto: “Non dobbiamo candidarci, nessuno si deve candidare dei leader, perché in Europa bisogna andarci”. Il 20 gennaio alla domanda su una sua candidatura aveva risposto: “No, io no, perché penso che si deve candidare chi va in Europa. Se si candida chi sa già di non andare in Europa, è uno svilimento degli elettori. È una presa in giro degli elettori”. Che Calenda cambi idea è legittimo. La critica – la solita – è a un atteggiamento paternalistico con piglio da maestrino con cui ogni volta giudica gli altri per poi assolvere sempre sé stesso.
Che oggi il leader di Azione provi a convincerci che la sua candidatura è perché così fan tutti non fa che peggiorare la situazione. Se si decide di contestare le candidature finte di leader che non andranno a Bruxelles per imporre un’altra etica toccherebbe fare ciò che si dice. L’ipocrisia già fastidiosa di suo diventa insopportabile se condita con la saccenza. Altrimenti a Calenda non resterà che essere quel buon politico che sarebbe stato votabile se fosse riuscito a fare ciò che diceva. Come tutti i populisti.
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