Il 2 e il 3 giugno del 1946 si tenne il referendum istituzionale con il quale gli italiani vennero chiamati alle urne per decidere quale forma di Stato – monarchia o repubblica – dare al Paese. Il referendum fu indetto al termine della seconda guerra mondiale, qualche anno dopo la caduta del fascismo, il regime dittatoriale che aveva imperversato durante il regno dei Savoia per più di vent’anni.
Conviene partire da un ripasso di storia per prepararsi, domani, alla celebrazione del 2 giugno che prevedibilmente, anche quest’anno, si trasformerà nell’ennesima sagra della Patria, una scontata virata sul militarismo come elemento fondante della nostra Repubblica dimenticando la libertà, l’oppressione fascista e la democrazia. Il revisionismo storico che stiamo vivendo ha reso una notizia il normale riferimento di Giorgia Meloni agli “squadristi fascisti” responsabili dell’omicidio di Giacomo Matteotti nel giorno della commemorazione dei centenario.
Sono i tempi in cui come seconda carica dello Stato v’è qualcuno che mostrava fiero, davanti alle telecamere, il busto di Mussolini. Sono i tempi in cui un generale dell’esercito candidato alle elezioni europee per un partito di governo deve evocare la X (Decima) Mas per raccogliere voti. Sono i tempi in cui la Festa della Repubblica verrà usata ancora una volta come randello contro gli avversari politici. Tutti nemici sotto il tricolore.
Incidentalmente questo 2 giugno cade anche a una settimana dalle elezioni europee che decideranno da che parte starà l’Italia in Europa e da che parte starà l’Europa nel mondo. Una campagna elettorale persa tra personalismi di candidati per uno scranno che non andranno ad occupare, una campagna che ancora una volta ha tradito il provincialismo di un Paese che discute di tappi di plastica, di beghe tra leaderini di partitini, di messaggi politici che non superano le nostre frontiere. Mentre il mondo trema e avanza il buio, anche questo 2 giugno lo passeremo all’ombra delle nostalgie da cortile. Vedrete.
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