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Nella campagna elettorale per le Europee l’Europa non si è vista – Lettera43

Politiche agricole, Green Deal, energia, balneari? Tutto dimenticato. Nella battaglia per Bruxelles la politica provinciale si è limitata a dibattere sui tappi nel naso, sullo scontro tra le leader dei due maggiori partiti, e sulle provocazioni di un generale candidato da un capitano. Poi non lamentatevi dell’astensionismo.

Nella campagna elettorale per le Europee l’Europa non si è vista

Veloce e naturalmente incompleto quadro dello stato di fatto della campagna elettorale per le prossime elezioni Europee, a una settimana da un travaso di voti che potrebbe squinternare l’Ue e renderci tutti trumpiani proprio mentre Trump affonda di fronte alla giustizia (ma non è detto che non si alzi nei sondaggi).

La protesta dei trattori e le politiche agricole sono finite nel dimenticatoio

Qualche mese fa, anche se sembra passato un secolo, tutti i partiti italiani erano convinti che l’agricoltura fosse il grande tema della campagna elettorale. Erano i giorni in cui la protesta dei trattori infiammava l’Italia e le piazze dei Paesi Ue trascinandosi dietro gli inevitabili rivoluzionari sempre all’erta che non vedono l’ora di impugnare il forcone. Di botto i giornali italiani e le trasmissioni di approfondimento hanno studiato le ragioni della protesta mettendo in bella vista il decalogo di “ciò che funziona” e “ciò che non funziona” sugli agricoltori in Europa. L’urgenza di quei giorni era ammansire i rivoltosi, studiare delle correzioni in corso ma avresti scommesso che finalmente le politiche agricole sarebbero diventate un croccante argomento pop in campagna elettorale. Finalmente si parla di Europa, insomma. Niente di tutto questo. L’attenzione dei media si è spenta con i roghi e qui fuori non è rimasto nemmeno il fumo.

Nella campagna elettorale per le Europee l'Europa non si è vista
La protesta dei trattori sulle strade italiane (Getty Images).

Il Green Deal sacrificato da von der Leyen sull’altare del sostegno a destra 

Stesso discorso per il benedetto Green Deal, altresì detto transizione ecologica negli italici confini. Ursula von der Leyen fino qualche mese fa, anche se sembra passato un secolo, lo sfoggiava come risultato politico fondamentale di questa legislatura europea. Non ci si poteva fregiare di una postura progressista senza un alito di Green Deal addosso. Poi è accaduto che la presidente della Commissione Ue ha avuto bisogno delle destre, quelle destre che strillano e pestano i piedi per il diritto al motore termico che vorrebbero inserire nella Costituzione e ci si sarebbe aspettati che nelle settimane di campagna elettorale avremmo potuto goderci i nostri leader di partito spiegarci come transitare ecologicamente, con quali mezzi, con quali carburanti, a quali costi. Saremmo stati disposti anche a una dura e franca disfida sull’energia nucleare pur di scrollarci di dosso questo sculettamento provinciale con cui affrontiamo in Italia qualsiasi sfida globale, dalle guerre al clima che cambia e addirittura muore. Niente di tutto questo. La transizione ecologica dalle nostre parti è la zuffa tra mitomani che temono di essere ingozzati con la forza a manciate di grilli secchi e sostenitori del nucleare di nuova generazione che non si capisce a che generazione si riferiscano.

Nella campagna elettorale per le Europee l'Europa non si è vista
Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen (Getty Images).

Balneari? Resta solo la tattica del rinvio

Da anni ci torturiamo con la messa a gara degli stabilimenti balneari. Ogni anno, più o meno in questo periodo, dipende dalla quantità di caldo o pioggia, veniamo bombardati dal frignio di imprenditori che lamentano un’Europa assassina spalleggiati da partiti che si prestano a esserne le prefiche. Ci saremmo aspettati che la campagna elettorale per la prossima Europa fosse l’occasione per dirci quale sia la strategia, al di là del rimandare, e per alfabetizzarsi sulle direttive europee che ci appaiono sempre inutili e lontane finché non ci cadono addosso. Niente di tutto questo. Delle spiagge ci resta solo il terrore di vederle protagoniste dei bagordi di qualche ministro.

La campagna si è ridotta a tappi nelle narici e alle provocazioni di un generale

La campagna elettorale per le Europee finora è stata un attorcigliamento su confronto tra le due leader dei due più grandi partiti d’Italia che dovrebbe essere quasi quotidiano in una normale e democratica repubblica televisiva come la nostra. Di questa campagna elettorale ci rimane finora un generale candidato da un capitano che rincorre la provocazione più cretina per fare capolino. Provocazioni europee? Ma magari. Si discute di colori delle persone, delle loro inclinazioni affettive, delle loro abitudini sessuali. Talmente provinciali da avere ridotto l’Unione europea a una questione di letto. La campagna elettorale delle Europee è rimasta sintonizzata per quasi tre giorni sul tappo delle bottiglie di plastica che si incastra nelle narici. Poi si è spostata, anche se per poco, sulle dichiarazioni di un candidato sulla guerra. Fermi tutti, non gioite. Non è stata discussione larga e complessa sul ruolo scarso dell’Europa nei conflitti internazionali in corso. No, no. Si è detto e scritto solo per sistemare le beghe tra partiti. Migliaia di vittime civili usate come roncola per redimere questioni di vicinato. Il 10 giugno a urne chiuse i pensosi commentatori affiancheranno i pensosi leader di partito per dirsi preoccupati in coro alla luce dei dati dell’astensionismo. «Dobbiamo avvicinare la politica alla gente perché comprenda quanto l’Ue sia centrale nelle nostre vite», diranno. Qualcosa del genere. Fra cinque anni.

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