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La povertà educativa non va in vacanza neppure d’estate. Il Sud più discriminato

Quando l’anno scolastico termina e le scuole chiudono i battenti, per molti bambini e adolescenti in Italia si apre una stagione fatta di opportunità. Opportunità che, tuttavia, non sono equamente distribuite lungo la penisola, creando un divario che accentua la già preoccupante povertà educativa. La funzione dei centri estivi e delle attività pre e post scuola, infatti, non si limita a supportare le esigenze lavorative delle famiglie, ma diventa un baluardo contro la perdita di apprendimento estivo, il cosiddetto “summer learning loss”.

Secondo i dati Openpolis, nel 2019 erano solo 9,8 ogni 100 residenti tra i 3 e i 14 anni a beneficiare di centri estivi e attività analoghe in Italia. Questa cifra nasconde una disparità allarmante: mentre in Emilia Romagna l’offerta raggiungeva il 17,6%, nelle regioni del Sud continentale scendeva drasticamente al 2,2%. La povertà educativa, che già affligge molte aree del Paese durante l’anno scolastico, trova un terreno ancora più fertile nei mesi estivi, quando le scuole chiudono e le alternative per i più giovani si riducono drasticamente.

Opportunità estive: un’analisi delle disuguaglianze regionali

Emilia Romagna e Lombardia emergono come isole felici in questo panorama desolante, con una copertura rispettivamente del 17,6% e del 15,9% tra i residenti in età scolare. Al contrario, regioni come Calabria (2,3%), Puglia (1,6%) e Campania (1,1%) testimoniano l’assenza quasi totale di tali servizi, lasciando i bambini senza strutture dove poter continuare a crescere e apprendere anche fuori dalle mura scolastiche.

Milano spicca tra le città con la migliore offerta: nel 2019, ben 34,9 ogni 100 minori potevano accedere a centri estivi. Seguono Verona, Parma, Bologna e Fermo con cifre che oscillano intorno ai 20 utenti ogni 100 minori. Tuttavia, l’Italia meridionale e alcune zone centrali offrono un quadro sconfortante: città come Taranto, Crotone, Bari, e Napoli registrano meno di 0,65 utenti ogni 100 minori. Questi numeri evidenziano un’assenza di investimenti in strutture essenziali per garantire un’educazione continua e inclusiva.

L’importanza dei centri estivi per combattere la povertà educativa

I centri estivi non rappresentano solo un’opportunità di svago, ma costituiscono un fondamentale strumento educativo e sociale. Attraverso attività ludiche, sportive, laboratori espressivi e manuali, gite e momenti di gioco strutturato e non, questi centri contrastano la perdita di apprendimenti estivi e promuovono la socializzazione e il diritto al gioco sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia.

La carenza di tali servizi nei comuni del Sud e in quelli di medie dimensioni non è solo una questione di numeri, ma di diritti negati. In Emilia Romagna, ogni 100 minori ci sono 17,6 utenti di centri estivi, mentre in regioni come la Campania il dato si ferma a 1,1. Questo divario sottolinea come l’accesso alle opportunità educative sia fortemente legato al luogo di residenza, alimentando un circolo vizioso di povertà educativa che si perpetua da una generazione all’altra.

L’Italia dovrebbe puntare a un’armonizzazione delle politiche educative che garantisca pari opportunità a tutti i bambini, indipendentemente dal loro luogo di nascita. Sta scritto nella Costituzione. L’articolo 31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia recita che “gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica”. 

Ma tranquilli, ci sarà sempre qualche anima pia pronta a gridare “colpa loro!” quando questi ragazzi, cresciuti nell’abbandono istituzionale, finiranno per cercare altrove quel senso di appartenenza che lo Stato gli ha negato. A quel punto un altro “decreto Caivano” non si potrà negare. 

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