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Ora Giorgia si crede Marco Polo

Dimenticate Giorgia Meloni nemica della Cina. Terrorizzata dall’isolamento in Europa e logorata dalla traballante credibilità del governo in politica estera la presidente del Consiglio a Pechino indossa i panni di novella Marco Polo per aggiustare i rapporti che il suo stesso governo ha guastato. 

“Quello di Marco Polo non è stato solamente un viaggio fisico attraverso l’antica Via della seta”, ma è stato soprattutto un viaggio di scoperta e di conoscenza, ha affermato Meloni, sottolineando come l’esploratore veneziano abbia contribuito a “modificare la percezione che in Italia si aveva dell’impero cinese in un periodo in cui le distanze erano talmente grandi da sembrare incolmabili”. 

Peccato che la Via della seta citata dalla presidente del Consiglio sia una strada chiusa, come certi malinconici cantieri abbandonati sotto il sole d’agosto. A dicembre dell’anno scorso il governo ha disdetto l’accordo firmato dall’ex premier Giuseppe Conte (con Salvini vice premier) che fece infuriare gli Usa. Anche in quel caso l’esecutivo non brillò: settimane di rimpalli diplomatici e il tentativo maldestro di non pubblicizzare la rottura. 

Erano i tempi in cui il protezionismo aizzava i voti. Pochi mesi fa Meloni aveva espresso dubbi sulla transizione verso l’elettrico, sostenendo che “non è la panacea” e soprattutto che avrebbe potuto danneggiare l’industria automobilistica europea, già messa a dura prova dalla concorrenza cinese. 

Dimenticate quella Giorgia Meloni. Non esiste più. I numeri, d’altronde, parlano chiaro: nel 2023 l’interscambio commerciale ha raggiunto i 66,8 miliardi di euro, con oltre 1.600 aziende italiane che operano nel Paese asiatico. In Cina operano più di 1.600 aziende italiane, soprattutto nel settore del tessile, della meccanica, della farmaceutica, dell’energia e dell’industria pesante; il volume degli investimenti esteri diretti è di circa 15 miliardi di euro. Cifre che spiegano il pragmatismo dell’attuale visita, al di là delle roboanti dichiarazioni del passato. 

Intanto gli altri corrono. La Germania ha trovato nella Repubblica Popolare un mercato importantissimo per assorbire la propria produzione (soprattutto industriale) staccando di molto Francia e Italia. Come spiega l’Ispi se mediamente ognuna di queste ultime due esporta verso la Cina circa €1,5-2 miliardi di beni ogni mese, il dato per la Germania è di circa €8-9 miliardi.

E nelle relazioni commerciali tra Europa e Cina il settore di maggior rilievo è quello dell’automotive. Storicamente l’equilibrio commerciale si reggeva sull’importazione europea di numerosi prodotti, compensata dall’export di auto in quello che è ormai il primo mercato al mondo. Quel mercato è oggi però saturo e il flusso del commercio di autoveicoli si sta invertendo, con la Cina che esporta sempre più auto, soprattutto elettriche. 

Benvenute le auto cinesi in Italia, quindi. Il “Piano d’Azione” firmato a Pechino comprende sei ambiti di cooperazione: dai prodotti agricoli e alimentari alle indicazioni geografiche, dall’istruzione all’ambiente e allo sviluppo sostenibile fino all’industria. E su questo punto Meloni fa un inciso: “Compresi il settore strategico delle auto elettriche”. 

La visita di Meloni avviene in un momento in cui altri leader europei hanno intensificato i contatti con Pechino. Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz hanno effettuato visite in Cina negli ultimi mesi, discutendo di accordi economici e questioni geopolitiche. Meloni ancora una volta sembra inseguire gli altri leader europei, contraddicendo la sua retorica sovranista.

L’incoerenza di Meloni sta tutta qui. Da un lato, la retorica nazionalista e le critiche alla Cina per conquistare consensi interni. Dall’altro, la necessità di mantenere buoni rapporti con Pechino per non danneggiare gli interessi economici italiani. Poi c’è l’isolamento a Bruxelles. La premier è bravissima a indicare i nemici ma è troppo debole a tessere relazioni. 

Così la visita a Pechino diventa un esercizio di equilibrismo. La presidente del Consiglio invoca “un mercato libero” ma “anche equo trasparente e reciprocamente vantaggioso”. Sventola l’amicizia con Pechino ma dice che “i partner devono giocare secondo le regole perché le aziende possano competere sui mercati internazionali in condizioni di parità”. 

I cinesi, molto meno retorici, chiedono all’Italia “sincerità”, che è forse un sinonimo dolce della parola “coerenza”. “Che posizione ha l’Italia sui dazi dell’Ue alle auto cinesi?”, si chiedono i giornali del regime. Nessuna risposta. Su quel tavolo Meloni sta giocando un’altra delle sue contraddittorie partite. Ma per distendere gli animi non servirà romanticizzare Marco Polo. 

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