In Italia, l’accesso agli studi universitari rimane un privilegio, riflettendo un Paese diviso tra nord e sud. Secondo un’analisi di Openpolis, solo il 51,7% dei giovani neo-diplomati si iscrive all’università, con una disparità significativa tra le regioni. Al nord, la percentuale di iscritti è del 53,5%, mentre al sud scende al 47,4%. La situazione economica delle famiglie gioca un ruolo cruciale: il 67,1% dei giovani provenienti da famiglie benestanti intende proseguire gli studi, contro il 46% di quelli con difficoltà economiche.
Disuguaglianze economiche e territoriali nell’accesso all’istruzione universitaria
L’Italia è terzultima in Europa per quota di laureati tra i 25 e i 34 anni, con il 30,6% rispetto a una media europea molto più alta. Questo ritardo si radica profondamente nelle condizioni sociali ed economiche. Ad esempio, nel 2022, solo il 39,2% dei neo-diplomati campani si è iscritto all’università, evidenziando un forte divario rispetto alle regioni settentrionali.
Un altro dato significativo riguarda le intenzioni dei giovani: oltre il 60% di quelli che percepiscono la propria condizione familiare come molto buona scelgono il liceo, mentre solo il 34,8% dei ragazzi in condizioni economiche difficili fa la stessa scelta, preferendo spesso istituti professionali.
Questi numeri mostrano come la condizione economica influisca non solo sulle scelte universitarie, ma anche su quelle scolastiche precedenti, creando un circolo vizioso di disuguaglianza che limita le opportunità di istruzione e crescita per una parte significativa della popolazione giovanile italiana.
Disparità territoriale: problema sistemico
La disparità territoriale si evidenzia ulteriormente con le province meridionali ai livelli più bassi di iscrizione universitaria: Napoli (38,6%) e Salerno (36,5%) sono tra le ultime, mentre province come Isernia (66,7%) e L’Aquila (62,6%) superano il 60%. Queste statistiche indicano come l’Italia debba affrontare un problema sistemico che penalizza il sud e le famiglie meno abbienti, rendendo l’istruzione superiore un privilegio piuttosto che un diritto accessibile a tutti.
Uno sguardo approfondito ai dati di Openpolis rivela che le differenze socio-economiche e territoriali influenzano anche i risultati accademici degli studenti. In molte aree del sud, la percentuale di abbandono universitario è significativamente più alta rispetto al nord, con conseguenze negative sull’occupabilità e sulle prospettive di carriera dei giovani meridionali.
Le cause di queste disparità sono molteplici. La mancanza di risorse economiche limita l’accesso a strumenti di supporto allo studio, come ripetizioni private e materiali didattici. Inoltre le università del sud spesso dispongono di minori finanziamenti e infrastrutture rispetto a quelle del nord, influenzando la qualità dell’insegnamento e la possibilità di ricerca. Alla fine il circolo vizioso diventa il meccanismo perfetto per cristallizzare le disuguaglianze.
L’impatto dell’autonomia differenziata sulle disuguaglianze educative
A maggio, in occasione del Festival dello sviluppo sostenibile, Alberto Zanardi, docente di Scienze delle finanze all’Università di Bologna, ha spiegato che l’istruzione nella nuova autonomia differenziata “è la materia potenzialmente più rilevante in termini finanziari”, con l’evidente rischio di aumentare ancora di più le disuguaglianze.
Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ha sottolineato in quell’occasione come il “Pnrr stia consentendo un salto per alcune scuole” ma su “questo l’autonomia differenziata è una doccia gelata”. “Come si fa a progettare se non si sa chi sarà a occuparsi dei progetti, se la Regione o lo Stato? – ha detto Giovannini -. Il regionalismo differenziato vorrebbe dire davvero frammentare il Paese, quando in realtà l’Europa chiede sempre più coesione”. All’orizzonte non si vede il sereno.
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