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Denunciano il caporalato e vengono espulsi dall’Italia

Il 26 giugno scorso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si era detta “esterrefatta” per la morte del bracciante Satnam Singh, abbandonato sanguinante dal suo datore di lavoro con un arto tranciato in un sacchetto. A colpire Meloni era stato “il modo atroce ma ancor di più per l’atteggiamento schifoso del suo datore di lavoro”.

“Questa è l’Italia peggiore. La piaga del caporalato è tutt’altro che sconfitta nonostante gli impegni di tutti i governi, ma non intendiamo smettere di combatterla”. Singh è morto da poco più di un mese. Come accade da noi i controlli carenti per mancanza di risorse e per collusione sono andati in scena per tranquillizzare i cittadini, giusto il tempo che serve. In provincia di Latina, là dove è scorso il sangue di Satnam i funzionari dell’Ispettorato del lavoro durante le loro visite incontrano tre lavoratori indiani.

Uno di loro, l’unico che parla l’italiano, racconta di una paga di 3 euro all’ora per 10 euro al giorno, chini sui campi con un coltellino in mano per raccogliere zucchine. Schiavi perché senza documenti, come molti altri. I lavoratori erano entrati in Italia regolarmente prime di finire nelle maglie del caporalato. Ora hanno deciso di denunciare. Ci si aspetterebbe che quei tre siano la leva per l’Italia migliore, quella che non sta zitta e rialza la testa contro un indegno sistema di sfruttamento che, come dice la premier, è il lato peggiore del nostro paese.

Gli ispettori ministeriali hanno disposto un contratto regolare, hanno ordinato ai braccianti di pagare contributi e tasse pregresse e hanno applicato la legge sull’immigrazione: i tre hanno ricevuto il foglio di espulsione dall’Italia.

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