Il valzer delle maschere di Giorgia Meloni è giunto al termine e ora è il momento di fare i conti. La nostra premier, che per mesi ha danzato su due palcoscenici – moderata in Europa e sovranista in patria – si ritrova ora con un pugno di mosche e una credibilità politica in frantumi.
Fine del doppio gioco: come Giorgia Meloni ha perso la credibilità politica tra sovranismo e moderazione in Europa
Il balletto è iniziato con la sua elezione nel 2022. Da un lato, Meloni si presentava come il volto presentabile della destra italiana. Dall’altro, continuava a promuovere politiche reazionarie: detenzione automatica dei migranti, limitazione dei diritti delle coppie omosessuali, opposizione al Green Deal europeo e al diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Un gioco delle parti che sembrava funzionare, fino al momento della verità.
L’occasione è stata il voto per la riconferma di Ursula von der Leyen. Qui Meloni ha mostrato tutta la sua incoerenza: prima si è astenuta nel voto dei leader Ue, poi ha fatto votare contro il suo partito al Parlamento europeo. Un voltafaccia che ha lasciato di stucco persino i più cinici osservatori brussellesi. L’improvviso cambio di rotta è facilmente interpretabile. Meloni non ha digerito di essere stata tagliata fuori dall’accordo tra popolari, liberali e socialisti per la riconferma di von der Leyen. Un’esclusione che ha risvegliato i suoi istinti da “underdog” della politica italiana.
Il risultato? Mesi di faticoso lavoro diplomatico gettati alle ortiche. Von der Leyen si era spesa personalmente per costruire un rapporto con Meloni, arrivando persino a visitare insieme a lei i punti di ingresso dei migranti in Italia. Tutto dimenticato sull’altare del risentimento personale.
Come se non bastasse, Meloni ha alzato ulteriormente i toni attaccando la Commissione per il suo rapporto sullo stato di diritto in Italia. Un rapporto che esprimeva preoccupazioni sulla libertà di stampa e sull’indipendenza della Rai. Temi sensibili per una premier che ha fatto causa a giornalisti per diffamazione (reato ancora punibile con il carcere in Italia) e piazzato fedelissimi ai vertici della TV di Stato. La reazione scomposta di Meloni, con tanto di lettera di protesta a von der Leyen, dimostra quanto sia fragile la sua presunta svolta moderata. Bastano poche critiche per far emergere la vera natura di una leader cresciuta nell’humus della vecchia destra italiana.
Conseguenze e prospettive future
Ora Meloni si ritrova isolata e indebolita sulla scena europea. E il conto potrebbe essere salato: dall’assegnazione di un portafoglio di secondo piano per il prossimo commissario italiano, fino a una maggiore rigidità nell’applicazione delle regole sul deficit e sul debito pubblico. A proposito di commissario, il nome che circola è sempre quello di Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei. Fitto gode di una buona reputazione a Bruxelles ma le sue chance di ottenere un portafoglio di peso potrebbero essere compromesse proprio dal comportamento di Meloni. L’Italia spera in un commissario con responsabilità economiche, vista la sua situazione debitoria, ma rischia di ritrovarsi con il nuovo portafoglio “Mediterraneo”: una vittoria di Pirro, considerando che Roma era tra i Paesi che ne chiedevano l’istituzione.
Il problema è che entrambe le strade presentano rischi enormi. Sfidare apertamente l’Ue potrebbe avere conseguenze catastrofiche per un Paese con il secondo debito pubblico più alto d’Europa e un deficit che viola i limiti Ue. D’altro canto, una svolta definitiva verso il moderatismo rischierebbe di alienare quella base elettorale che ancora crede al mito della Meloni “anti-sistema”. In questo contesto, la visita in Cina appare come un disperato tentativo di distrazione. Meloni cerca di minimizzare le tensioni con von der Leyen, parlando di “manipolazione di un documento tecnico”. Ma ormai il dado è tratto, e la credibilità della premier è ai minimi termini.
Come sottolinea Lorenzo Castellani della Luiss, Meloni “aveva costruito credibilità in ambito diplomatico e finanziario, oltre che con la Commissione, e aveva beneficiato di numerose concessioni, incluse quelle sul fondo di ripresa post-Covid e sulla migrazione”. Ora ha “buttato via tutto”. Resta da vedere se Meloni saprà reinventarsi, trovando una terza via tra sovranismo e moderazione. O se, come sembra più probabile, continuerà in questo balletto schizofrenico tra faccia feroce in patria e sorrisi di circostanza in Europa. Una cosa è certa: il tempo delle maschere è finito. E l’Europa non sembra più disposta a tollerare il gioco delle tre carte della nostra premier.
Come ha detto un diplomatico Ue a Politico.eu, chiedendo di rimanere anonimo: “Vedremo quale Meloni emergerà da questa situazione: quella di estrema destra che abbiamo sempre temuto o quella pragmatica che abbiamo imparato a conoscere?”. La risposta a questa domanda determinerà non solo il futuro politico di Meloni, ma anche il posto dell’Italia nell’Unione Europea. In entrambi i casi la premier dovrà scontentare una parte dei suoi elettori.
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