Prima la violenza economica, poi gli insulti e le botte. Dalla denuncia a marzo 2023, passano sei mesi prima che scatti il dispositivo di protezione. L’ex però continua a minacciarla sui social. Lei è riuscita a raccontare l’inferno che ha vissuto, molte altre donne no. Ed è impensabile che lo Stato le lasci da sole.
È una storia che provoca il fremito delle storie che vengono dal futuro. Ma è un brivido spaventoso perché il futuro qui è prevedibile e nero. Elisa ha 26 anni e conosceva Stefano da sempre, fin da bambini in Calabria, quando condividevano le compagnie. Anni dopo si rivedono, lei si innamora e si trasferisce da lui a Roma. Fin qui è l’inizio comune a tante relazioni. Ma da quel momento cominciano i segnali. Lui dice di avere un buon lavoro, in una banca in zona Tiburtina. Non era vero. E infatti poco dopo comincia a vivere del sussidio di Elisa lasciandola senza soldi per potersi muovere, per potere salire su un treno e raggiungere la sua famiglia.
La violenza economica precede quasi sempre la violenza fisica
La violenza economica come forma di controllo è lo stadio che precede la violenza fisica. L’abbiamo letto tante volte, l’abbiamo scritto tante volte raccontando le vittime di femminicidio. Però Elisa è viva, tenetelo bene a mente perché c’è differenza tra vivere e sopravvivere agli incubi e alle minacce. Lei racconta di momenti tenerissimi che si alternavano a picchi di odio, quando lui l’apostrofava «puttana», «troia», «cagna», «zingara». Il sospetto diventa paura ed Elisa riconosce di essere vittima. Una notte, frugando nei suoi cassetti, trova una pistola. Dice Elisa che lui non ha porto d’armi e che l’arma non è mai stata denunciata. Il copione è sempre lo stesso. La madre di lui minimizza, le telefonate a casa sono controllate (le uniche a cui le è concesso rispondere). E poi immancabilmente arrivano le botte. Elisa parla di una pornomania che Stefano non riesce a controllare. Una sera viene portata in un club di scambisti e riesce a scappare. A casa lui la punisce, racconta lei, con morsi, calci e pugni. A questo punto siamo già nel baratro. «Il 28 di febbraio (2023 ndr) io non ricordo cosa sia successo», racconta Elisa, «ricordo di essere andata a dormire e che lui poco prima mi ha dato una tazza di latte, però i miei ricordi sono sfocati, ricordo che abbiamo percorso una galleria e io vedevo tutto viola, avevo i battiti accelerati e tra un vuoto e l’altro ricordo la sua voce che diceva a un’altra persona: tanto non si ricorderà mai nulla». «Non so cosa mi sia successo», continua, «se sono stata abusata e se mi hanno filmata perché non ero da sola. C’era un’altra ragazza che non conosco, era priva di sensi, e un altro uomo che non ho mai visto in vita mia».
A marzo 2023 la prima denuncia che rimane nel cassetto, solo a ottobre scatta il codice rosso
Quando a marzo lui cerca di strangolarla in cucina e poi ad aprile la morde in faccia Elisa scappa, raggiunge la madre, depositano denuncia. Quella denuncia per rimane nel cassetto. «Se la sono dimenticata», spiega le spiega l’avvocato, proponendole di non protestare. A ottobre, sei mesi dopo la denuncia, arriva finalmente il codice rosso, quel dispositivo di protezione pensato per intervenire immediatamente che invece qui è scattato dopo sei mesi. Siamo al 2024. A marzo lui spunta su TikTok e continua a minacciarla, pubblicamente, senza ritegno e senza paura. Minaccia di uccidere Elisa e sua madre ripetutamente. Le offese non si contano. I video sembrano un manuale del femminicidio annunciato. Ma non è tutto: l’ex fidanzato minaccia pubblicamente i Carabinieri del Nucleo investigativo di via in Selci a Roma e promette vendetta contro i magistrati Vito e Corrado della Dda di Catanzaro definendoli «infami» e «cani». «La pagherete», assicura. E a Elisa promette di «mangiarle il cuore mentre ancora batte». Non trovando aiuto lei decide di fare ciò che non dovrebbero fare donne in pericolo in un Paese civile: «L’ho sputtanato sui social, gli hanno chiuso in maniera definitiva l’account da cui mi minacciava, ma ne ha aperto subito un altro senza problemi», racconta. Era il 27 luglio.
Burocratizzare la paura e soppesare il rischio è un lasso di tempo che troppo spesso non salva
Qui arriva la parte, se possibile, ancora più spaventosa. Elisa ha addosso il terrore di chi teme di indovinare il proprio futuro. Ha denunciato ancora. Sono passati 14 mesi dalla sua prima denuncia e lui con il suo nuovo account pubblica video in cui canta in auto, in palestra. Elisa e sua madre hanno due nuovi codici rossi. In tutto sono stati depositati 135 video di minacce. «Che nel 2024 si debba ricorrere ai social per far valere i propri diritti mi disgusta», dice Carlotta Vagnoli, scrittrice e attivista da cui ho appreso della storia di Elisa. «Mi fa anche pensare», scrive Vagnoli, «a tutte quelle donne che non possono esporsi in questo modo e che rimangono dunque isolate per anni, in attesa di un segnale da uno Stato che non le accompagna nella fuoriuscita dalla violenza». La morale della storia? Il codice rosso – come denunciano in molti – non funziona abbastanza. Burocratizzare la paura e soppesare il rischio è un lasso di tempo che troppo spesso non salva. Oggi Elisa è viva, chissà se sarà salva.
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