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Allevamenti intensivi, scatta la stretta verde in Europa. Ma l’Italia è pronta ad adeguarsi alla nuova direttiva Ue?

È entrata in vigore il 4 agosto la nuova direttiva dell’Unione europea con l’obiettivo di ridurre le emissioni nocive provenienti dagli allevamenti intensivi. La revisione della Direttiva sulle Emissioni Industriali (IED) mira a migliorare la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo.

Questa normativa si concentra sui grandi allevamenti di suini e pollame, escludendo le piccole e medie imprese agricole e quelle biologiche. Gli allevamenti interessati dovranno registrarsi e riportare le loro emissioni, semplificando così il processo di gestione ambientale rispetto alle grandi installazioni industriali. Le nuove regole vengono considerate da molti un passo significativo per affrontare l’inquinamento derivante dagli allevamenti, responsabile di una grande fetta delle emissioni di ammoniaca e metano nell’Unione Europea.

Gli impatti degli allevamenti intensivi in Italia 

In Italia, il problema degli allevamenti intensivi è particolarmente rilevante. Secondo Greenpeace, nel nostro paese ci sono oltre 50 milioni di animali allevati in modo intensivo. Questi allevamenti sono responsabili del 79% delle emissioni di ammoniaca del settore agricolo italiano, contribuendo significativamente all’inquinamento dell’aria. Gli allevamenti intensivi producono grandi quantità di rifiuti e gas serra, che hanno un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute umana.

Le emissioni di ammoniaca dagli allevamenti intensivi italiani sono stimate in circa 420.000 tonnellate all’anno e sono una delle principali cause di inquinamento atmosferico, contribuendo alla formazione di particolato fine (PM2.5) nocivo per la salute umana. Inoltre i nitrati provenienti dai rifiuti animali contaminano le riserve idriche, causando problemi come l’eutrofizzazione e la proliferazione di alghe tossiche.

Il settore degli allevamenti intensivi è anche un importante contributore alle emissioni di gas serra. Gli allevamenti emettono grandi quantità di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), gas con un elevato potenziale di riscaldamento globale. In Italia, il settore agricolo rappresenta circa il 7% delle emissioni totali di gas serra, con una quota significativa proveniente dagli allevamenti intensivi.

Nonostante l’alto impatto ambientale, gli allevamenti intensivi in Italia hanno ricevuto ingenti sovvenzioni pubbliche. Le associazioni ambientaliste hanno ripetutamente denunciato che molte di queste aziende beneficiavano di fondi europei destinati all’agricoltura, senza adeguati controlli sull’impatto ambientale delle loro attività.

La nuova direttiva e il futuro 

La nuova direttiva Ue introduce un sistema semplificato per la registrazione e la reportistica delle emissioni, riducendo il carico burocratico per gli allevatori. Le nuove regole saranno definite entro due anni dall’entrata in vigore della direttiva e coinvolgeranno esperti del settore, Stati membri e organizzazioni non governative. Questo processo mira a garantire che le misure adottate siano efficaci e sostenibili.

Gli allevatori avranno un lungo periodo di transizione per adattarsi alle nuove regole, con l’obbligo di conformità che scatterà tra il 2030 e il 2032, a seconda delle dimensioni dell’allevamento. Entro il 2026, la Commissione europea pubblicherà un rapporto con soluzioni per affrontare in modo più completo le emissioni degli allevamenti bovini.

In Italia il ministro Francesco Lollobrigida a maggio di quest’anno aveva pubblicato una sua foto faccia a faccia con una mucca. “Un modo per verificare il benessere animale in una azienda agricola – scriveva il ministro –  è “chiederlo” direttamente a loro. Se si avvicinano all’uomo senza timore significa che lo considerano un loro amico“. A Bruxelles non la pensano così. 

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