Qualche giorno fa l’avvocato Luigi Li Gotti in un’intervista a Antimafiaduemila ha raccontato che l’Agenzia delle Entrate confisca ai collaboratori di giustizia – volgarmente detti pentiti – i soldi che dovrebbero servire a ricostruirsi una vita attraverso l’acquisto di una casa o l’inizio di un nuovo lavoro. Li Gotti ha difeso collaboratori di primo piano (Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo) che sono stati fondamentali nella lotta alla mafia, così com’era stata pensata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Diventa difficile immaginare che un mafioso possa quindi accettare un percorso di collaborazione con la magistratura sapendo che alla fine si ritroverebbe isolato non solo socialmente ma anche economicamente. “Questo sistema che si è messo in moto – dice Li Gotti – è un freno totale a nuove collaborazioni. Chi dovesse decidere di collaborare, pensando a quello che succede dopo che la sua collaborazione non serve più, e che viene messo in mezzo ad una strada, ci pensa mille volte prima di collaborare. Quindi da una parte si incide sulla possibilità di raccogliere e sollecitare le collaborazioni con la giustizia e dall’altra parte i collaboratori vengono esposti al rischio di ritorsioni”.
Giovanni Falcone diceva che i “pentiti” ci sono solamente quando lo Stato dimostra di volere fare sul serio nella lotta contro la mafia. Al linciaggio dei pentiti ci siamo abituati in questi anni, da parte di partiti e testate più o meno interessate e coinvolte in amicizie particolarmente pericolose. Mettere le mani in tasca ai pentiti invece dei mafiosi invece è una novità che fa spavento.
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