Siracusa, perla del Mediterraneo, si veste a festa per accogliere i grandi della Terra al G7 sull’Agricoltura. Tra degustazioni, sfilate di moda e manifestazioni equestri, sembra quasi di essere finiti in una sagra di paese anziché a un vertice internazionale. Dietro questa facciata pittoresca si cela un vuoto abissale.
Mentre i ministri del G7 si affannano a discutere di sviluppo agricolo in Africa, sovranità alimentare e pesca sostenibile, c’è un elefante nella stanza che nessuno sembra voler vedere: la natura. È paradossale, se non fosse tragico, che in un vertice dedicato all’agricoltura si ignori completamente il rapporto tra le pratiche agricole e i sistemi naturali. Come se potessimo coltivare in un vuoto, senza terra fertile, senza biodiversità, senza un ecosistema che ci sostiene.
E mentre il ministro Lollobrigida si affanna a dipingere gli agricoltori come “custodi dell’ambiente”, i dati dell’Ispra ci raccontano una storia ben diversa: l’agricoltura è la prima causa di perdita di biodiversità e responsabile di un quarto delle emissioni globali di gas serra.
Intanto, fuori dalla bolla dorata del G7, il mondo reale brucia. Letteralmente. Alluvioni, siccità, peste suina: le emergenze si susseguono a ritmo serrato ma i nostri leader preferiscono brindare con un bicchiere di vino locale piuttosto che affrontare i veri nodi della questione.
La verità è che senza un serio impegno per la transizione ecologica, senza politiche che promuovano l’agroecologia e pratiche agricole rigenerative, stiamo solo mettendo una pezza su un sistema già al collasso. Il G7 sull’agricoltura è una fiera, un lungo aperitivo. Dell’agricoltura nemmeno l’ombra.
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