Ci sono diversi modi per reagire a una crisi e affrontare un problema che ha messo in ginocchio per una giornata intera i viaggiatori di un’intera nazione.
Si potrebbe, ad esempio, aprire una riflessione sincera sul sistema dei trasporti che è sempre a un centimetro dal collasso, lasciando ai viaggiatori la sensazione che l’arrivo a destinazione sia dovuto più alla sorte che alla programmazione.
Si potrebbe, ad esempio, discutere del Pnrr che avrebbe dovuto rivoluzionare la nostra qualità della vita – treni inclusi – e invece da queste parti non se ne ha nemmeno la sensazione.
Si potrebbe discutere con coraggio delle strane priorità di un Paese che non riesce a garantire un viaggio sereno da Milano a Roma e intanto progetta un mastodontico ponte per accarezzare l’ego di un ministro che vorrebbe lasciare anche lui la sua piramide ai posteri.
Oppure, pensandoci bene, un ministro potrebbe esercitarsi nella virtù ormai scomparsa dell’assunzione delle proprie responsabilità, come accade per chiunque abbia un lavoro di ogni grado, in ogni mansione, in ogni ruolo.
Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini invece ieri ha sbuffato, era risentito perché ha dovuto abbandonare la sua palestrina dove sta festeggiando la festa dei nonni. Si è presentato davanti alle telecamere con quella faccia da ministro per caso e ha spiegato che il collasso ferroviario era dovuto a un chiodo.
Il chiodo di Salvini è come il diario mangiato dal cane quando eravamo ragazzini. C’è una non trascurabile differenza: il ministro non se l’è presa con il cane ma con un poveraccio sotto pagato che ha offerto alla bava della piazza.
Buon giovedì.