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Dall’appello su Fitto ai fondi del Pnrr: da Meloni omissioni e mezze verità in vista del Consiglio Ue

Ora è il turno dell’abito conciliante. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scelto la simulata comunione di intenti per presentarsi di fronte alle Camere in vista del prossimo Consiglio europeo del 17 e del 18 ottobre.

Il primo appello è per sostenere Raffaele Fitto la cui nomina, secondo la premier, è “un notevole miglioramento per la nostra nazione rispetto alla composizione della Commissione uscente, che vedeva quattro vicepresidenti esecutivi e sette vicepresidenti complessivi ma nessuno di questi era italiano”. Le cose non stanno proprio così, visto che la delega ottenuta da Paolo Gentiloni nella scorsa legislatura europea (commissario agli Affari europei) era una delle più pesanti e che l’Italia aveva anche la presidenza del Parlamento europeo con David Sassoli.

Impegnata a ottenere sostegno per il suo ex ministro, Meloni ridisegna anche la storia spiegando che “Raffaele Fitto – in rappresentanza di Fratelli d’Italia – si espresse a favore del candidato italiano (Paolo Gentiloni, ndr) e conseguentemente il gruppo di Ecr votò in suo favore”. Una dichiarazione che secondo Pagella Politica contiene alcune omissioni. A settembre 2019 proprio Fitto diceva che “l’indicazione di Gentiloni come commissario Ue è l’ultimo frutto avvelenato del patto delle poltrone tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico”. E se nella valutazione post audizioni delle Commissioni (tra le quali Bilancio, Affari economici e monetari e  Sviluppo regionale nelle quali sedeva anche Fitto) non risulta nessuna contrarietà da parte del gruppo dei Conservatori e Riformisti, quello di cui fa parte Fratelli d’Italia, alla plenaria il gruppo si è invece diviso: tra i 16 che votarono contro la Commissione Ue (con dentro Gentiloni) c’erano  tutti i parlamentari europei di Fratelli d’Italia (compreso Fitto).

La retorica europea di Meloni: tra fatti distorti e ambizioni personali

Presa dall’entusiasmo Meloni spiega che “l’Italia è oggi la nazione più avanti di tutte nella realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonostante abbia anche il piano più corposo”. Anche questa è un’iperbole già sentita e già smentita. Pagella politica ricorda come sulle rate la Francia ha ricevuto tre rate su cinque (il 60 per cento) ed è davanti all’Italia e sull’erogazione dei contributi in percentuale Francia e Danimarca hanno ricevuto più soldi dell’Italia.

La premier, nel suo discorso alle Camere, ha toccato diversi temi caldi. Con tono grave, ha espresso “preoccupazione per l’escalation in corso in Libano”, sottolineando l’importanza di garantire la sicurezza dei soldati italiani impegnati nella missione Unifil. Preoccupata di perdere l’amicizia di Israele Meloni ha tirato la stoccata “alle manifestazioni di piazza di questi giorni” accusate di “un giustificazionismo verso organizzazioni come Hamas ed Hezbollah, e questo, piaccia o no, tradisce altro un antisemitismo montante”. 

Politica estera e interna: il doppio binario della strategia meloniana

Sulla questione migratoria, la premier ha rivendicato i risultati del governo, parlando di una diminuzione del 60% degli sbarchi nel 2024 rispetto all’anno precedente. Dati sostanzialmente corretti. La premier non ha risparmiato critiche alle Ong, in particolare a Sea Watch, accusandola di “dichiarazioni vergognose” per aver definito le guardie costiere “i veri trafficanti di uomini”. L’Ong risponde spiegando che “non è Sea Watch a definire ‘criminali’ le guardie costiere del Nord Africa, ma ci sono sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite” e ricordando che “negli anni 2015-2016 la Guardia costiera italiana convocava le ong a Roma per studiare insieme come meglio soccorrere le persone migranti nell’ambito di incontri chiamati ‘una vis’, una forza”. 

Sul fronte economico Meloni ha citato i rapporti di Mario Draghi ed Enrico Letta – vecchi nemici ora fari –  per sostenere la necessità di un cambio di rotta sul Green Deal europeo. Ha parlato di “effetti disastrosi” dell’approccio ideologico alla transizione ecologica, sostenendo che “inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è un suicidio”.

La strategia di Meloni appare chiara: presentarsi come leader forte e decisa in patria, mentre cerca di navigare le acque tumultuose della politica europea con una miscela di assertività e pragmatismo. Resta da vedere se questa strategia porterà i risultati sperati o se, al contrario, finirà per indebolire la posizione italiana nel contesto europeo.

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