L’Unione Europea si avvicina al prossimo vertice con una sicurezza quasi disarmante: l’arte di non decidere, quella sì, è una delle poche cose che sa fare bene. Guerra in Ucraina, conflitto in Medio Oriente, crisi migratoria: tre fronti di fuoco, tre dossier che da mesi rimangono sul tavolo in attesa di soluzione. Non accadrà niente. L’Europa si prepara all’ennesimo spettacolo di equilibrismi tra Stati membri che giocano a chi urla di più, sperando che alla fine non succeda niente. Non sia mai che qualcuno si sporchi le mani.
L’Europa dei tre fronti: guerra, conflitto e crisi
Da una parte abbiamo l’Ucraina che ormai è diventata la misura della nostra vergogna. Volodymyr Zelensky ha smesso di nascondere la delusione: l’Europa promette ma non mantiene, manda armi ma poi impone limiti, chiede resistenza ma tergiversa su aiuti concreti. E mentre Zelensky si chiede se vogliamo davvero che vinca, Viktor Orbàn, l’irriducibile alleato di Putin travestito da premier ungherese, blocca 6,6 miliardi di aiuti militari. Scommette su Trump, aspetta che cambi il vento, e intanto l’Europa resta in ostaggio del suo veto. Soluzioni diplomatiche? All’orizzonte non se ne vede nessuna.
Poi c’è il Medio Oriente, un’altra polveriera in cui l’Europa è irrilevante. Israele bombarda Gaza e Hezbollah in Libano ma l’Unione non riesce a fare altro che lanciare qualche timido appello al cessate il fuoco. Le posizioni sono talmente frammentate che non si riesce nemmeno a stabilire chi è responsabile della conflagrazione: Netanyahu che si difende o chi lo accusa di essere il piromane? Parigi e Berlino sono su fronti opposti e l’unico vero attore in campo è, come al solito, Washington. A noi non resta che guardarci allo specchio e ammettere che il nostro peso in politica estera è pari a zero.
E infine il solito fantasma che torna a infestare i palazzi di Bruxelles: l’immigrazione. Ogni volta sembra la volta buona per una svolta, e ogni volta finisce con un pugno di mosche. Al Consiglio europeo ci saranno tre gruppi: quelli che vogliono una linea dura, quelli che vogliono una linea morbida, e quelli che, tanto per non scontentare nessuno, preferiscono non avere proprio una linea. È una commedia che si ripete da anni. L’Italia di Giorgia Meloni spinge per anticipare il Patto su Migrazione e Asilo ma tanto lo sappiamo tutti come andrà a finire: un po’ di compromessi, un po’ di rinvii e arrivederci al prossimo vertice.
Una portavoce della Commissione ieri ha confermato che i “return hubs” sostenuti dalla presidente Ursula von der Leyen sono illegali secondo l’attuale legislazione dell’Ue. Scrollandosi di dosso il diritto internazionale von der Leyen e i suoi stanno cercando in tutti i modi di legalizzare la deportazione. “Oggi non è giuridicamente possibile nell’Ue inviare un immigrato illegale in un paese terzo” diverso da quello di origine, ha detto la portavoce della Commissione. “Per renderlo possibile, il diritto dell’Ue dovrebbe regolare la possibilità dell’invio forzato di un migrante illegale in un paese diverso dal suo paese di origine (…), È una cosa che stiamo considerando”.
Politica estera Ue: un gigante dai piedi d’argilla
Josep Borrell, il nostro Alto rappresentante per la politica estera, ha detto che il potere non è solo una questione di risorse ma anche di determinazione. Peccato che la determinazione da quelle parti sia evaporata da tempo.
Alla fine, l’unica cosa certa di questo vertice è che si concluderà con un nulla di fatto. Sulla guerra in Ucraina, sul Medio Oriente e sull’immigrazione, l’Unione Europea continuerà a non decidere. E a forza di non decidere, rischiamo di diventare davvero quello che l’ex premier lussemburghese Xavier Bettel continua a ripetere: “coriandoli sulla scena internazionale”.
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