Il governo ha preso una decisione che segna uno spartiacque nella gestione delle politiche sociali per la prima infanzia scegliendo di abbassare i livelli essenziali di prestazione (Lep) per l’accesso agli asili nido. Fino a oggi l’obiettivo fissato dall’Unione Europea e dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) era chiaro: garantire un posto in asilo nido ad almeno il 33% dei bambini sotto i tre anni, un traguardo pensato per assicurare a tutte le famiglie, indipendentemente dalla loro regione di provenienza, pari opportunità di accesso a un servizio fondamentale per la crescita e lo sviluppo dei più piccoli. Ma questo diritto, che avrebbe dovuto essere universale, ha subito una drastica revisione.
Autonomia: sotto i 3 anni, posti negli asili nido dal 33 al 15%
Secondo il nuovo Piano Strutturale di Bilancio di medio termine 2025-2029, il governo ha stabilito che a livello regionale sarà sufficiente raggiungere una soglia del 15% dei posti disponibili per i bambini sotto i tre anni. La discrepanza è evidente: mentre a livello nazionale rimane valido l’obiettivo del 33%, nelle regioni del Sud, dove il gap di offerta è già drammaticamente evidente, il governo riduce ulteriormente le aspettative. Il diritto di accesso ai servizi per l’infanzia, anziché essere una conquista per tutti, diventa una questione geografica. Chi nasce al Sud, quindi, dovrà accontentarsi di molto meno.
È una decisione che non sorprende chi conosce il modus operandi del governo, sempre pronto a sacrificare le fasce più deboli del Paese, ma che fa comunque discutere per la sua crudeltà. La riduzione del target al 15% in alcune regioni non è solo un ripiego tecnico ma un vero e proprio abbandono di un principio di uguaglianza sociale che dovrebbe essere il cuore delle politiche di un Paese moderno. Garantire un’adeguata disponibilità di posti per i servizi per l’infanzia è una delle chiavi di volta per contrastare le disuguaglianze socio-economiche e abbassare le aspettative proprio in quelle aree che avrebbero più bisogno di un investimento massiccio è, a dir poco, irresponsabile.
Autonomia: il Pd all’attacco del governo
Il Pd con una nota delle senatrici Susanna Camusso e Simona Malpezzi sottolinea come, ancora una volta, siano i bambini e le famiglie del Sud a pagare il prezzo più alto delle politiche del governo. Il piano strutturale, che dovrebbe dare forma e sostanza al futuro del Paese, si traduce invece in un’ulteriore spinta verso la marginalizzazione del Mezzogiorno, già pesantemente colpito da carenze infrastrutturali e da una cronica mancanza di risorse. Il sillogismo delle parlamentari dem è chiaro. Il fatto che la soglia minima del 33%, che resta l’obiettivo nazionale, non venga applicata ovunque, è un segnale inequivocabile: il governo non crede più che tutte le regioni debbano avere gli stessi diritti.
Stabilire un tetto del 15% per l’accesso agli asili nido al Sud non è solo una questione di numeri. È una dichiarazione d’intenti che evidenzia, una volta di più, come questo governo consideri il Mezzogiorno come una terra di serie B, un’area da sacrificare sull’altare del risparmio. Non importa se questo significa compromettere il futuro di migliaia di bambini, né se le conseguenze sociali di questa scelta saranno devastanti. L’importante è far quadrare i conti a breve termine, senza considerare gli effetti di lungo periodo.
Oltre alle critiche politiche rimane il dato di fatto: con questa decisione il governo sta disegnando un’Italia ancora più diseguale, dove il diritto di accesso ai servizi per l’infanzia è una concessione geografica. L’antipasto per chi crede che l’Autonomia differenziata sia il metodo dolce per spaccare il Paese è servito: i Lep sono le foglie di fico che non nascondono l’intimo desiderio di secessione.
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