Crescenzio Rivellini è stato europarlamentare nelle file del Partito popolare europeo dal 2009 al 2014, eletto con il Popolo della libertà (poi diventato Forza Italia) e infine approdato a Fratelli d’Italia. Rivellini si è visto definitivamente respingere il suo ricorso alla giurisdizione europea.
La sentenza (della quinta sezione del Tribunale del Lussemburgo pronunciata il 23 ottobre scorso) ha confermato che dovrà restituire 252.321,88 euro al Parlamento europeo, come avevamo già dato conto su La Notizia quando raccontammo del contenzioso aperto con l’organo elettivo dell’Ue di cui si occupò anche Politico.eu. Quei fondi, destinati a sostenere la sua attività parlamentare, finirono nelle casse di “una società unipersonale a responsabilità limitata” della quale “unica socia” risultava Bianca D’Angelo, per un certo periodo, sua assistente e compagna.
Come rilevato nella sentenza, infatti, Rivellini “non ha confutato, nella sua denuncia, la constatazione dei questori secondo cui intratteneva una relazione sentimentale e stabile” con la donna, “come attestava nel suo libro intitolato Non faccio nomi… solo cognomi, pubblicato sul proprio sito internet”. E nel quale afferma “espressamente” che “durante l’anno 2009”, D’Angelo “era lacompagna della (sua) vita da dieci anni”.
L’indagine amministrativa dell’Ufficio antifrode
Il Tribunale, che ha anche condannato Rivellini alle spese di giudizio, ha confermato la restituzione, a suo carico, di quei circa 250mila euro. Finiti sotto la lente dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) e al centro di “un’indagine amministrativa concernente le indennità di assistenza parlamentare pagate dal Parlamento per il contratto” all’assistente “e i contratti controversi conclusi con la società”.
L’8 agosto 2019 l’Olaf ha trasmesso al Parlamento la sua relazione finale, concludendo che l’impiego dell’assistente “presso il ricorrente (Rivellini, ndr) era fittizio” dal momento che D’Angelo “non si era trasferita a Bruxelles (Belgio) né aveva fornito la prova di qualsivoglia lavoro in qualità di assistente parlamentare”. L’Olaf ha anche rilevato che la donna, “allorché era ancora assistente parlamentare”, aveva “omesso di dichiarare, in quanto attività esterna, i servizi forniti alla sua società”.
Ergo, sempre secondo l’Olaf, Rivellini si sarebbe trovato “in una situazione di conflitto di interessi quando ha concluso i contratti controversi”. Di qui l’avvio della procedura di recupero degli oltre 250mila euro: 32.314,34 per l’assunzione dell’assistente parlamentare e 220.007,04 in esecuzione dei contratti controversi.
Un lungo braccio di ferro legale con l’Europa
Per anni Rivellini ha cercato di opporsi alle richieste di Bruxelles, appellandosi e respingendo ogni addebito, mentre la sua pensione europea (1.615,22 euro mensili) veniva decurtata, ma non sotto i 1.000 euro (come prevede la legge italiana), per rifondere il Parlamento europeo della somma indebitamente percepita. Il Tribunale ha infatti respinto anche l’estremo tentativo del ricorrente di farsi ridurre la trattenuta mensile da 615,22 euro a 123,04 euro. Insomma, la sentenza dei giudici europei non lascia dubbi: dopo una battaglia legale durata anni, l’ex eurodeputato Rivellini dovrà rifondere il Parlamento Ue.
Intanto Bianca D’Angelo, l’assistente parlamentare “fittizia” di cui si parla nella sentenza è tornata alla ribalta durante la presentazione in grande stile del ministro Matteo Salvini a Napoli, quando lo scorso aprile l’ha accolta come membro del gruppo della Lega nel Consiglio comunale. Sul palcoscenico Salvini applaudiva, D’Angelo sorrideva. Rivellini era in prima fila, ma dopo la sentenza del Tribunale del Lussemburgo non gli resta molto da festeggiare.
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