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Trump vs Harris: una sfida culturale globale che l’America esporta al mondo

Le ultime ore della campagna elettorale americana si sono trasformate in una contesa dal palcoscenico globale. Trump e Harris non si limitano a contendersi il cuore degli elettori americani: le loro campagne parlano ormai al mondo intero, con alleanze e antagonismi che disegnano un quadro geopolitico complesso. E mentre Trump arringa le folle tra promesse di restaurazione e scenari di terrore, Harris cerca di raccogliere un consenso basato su valori di uguaglianza e inclusività. Non è solo una battaglia per il voto ma una sfida aperta tra due anime dell’Occidente.

Trump e il richiamo alla forza: un’America divisa tra paura e restaurazione

Donald Trump, nel suo ultimo tour elettorale, accentua un’immagine fosca dell’America odierna: la vede come una nazione occupata dalla “decadenza” e dalla “debolezza” imposte dai democratici. Propone rimedi duri e netti, promette di “liberare” il Paese, di punire con la morte i migranti colpevoli di crimini e di ridare agli americani una prosperità che sembra, secondo la sua visione, appannata. Al suo fianco, si schiera anche Joe Rogan, influente podcaster e voce di un’America che si riconosce nei toni populisti e crudi del tycoon. Rogan non ha esitato, alla vigilia del voto, a dare il suo endorsement a Trump, lodandone le politiche di “pace attraverso la forza” e la “determinazione” economica. Nonostante i numerosi scandali.

Harris e la visione dell’inclusività: un messaggio di speranza tra le tensioni globali

Dall’altra parte, Kamala Harris trascorre il giorno prima del voto tra Reading e Pittsburgh, in Pennsylvania, accompagnata da figure iconiche come Alexandria Ocasio-Cortez e Andra Day. In un’atmosfera vibrante, i suoi sostenitori le riservano cori, abbracci e lacrime di emozione: è la visione di un’America inclusiva, che sostiene i diritti civili e promette di lottare contro ogni forma di discriminazione. L’obiettivo della Harris è chiaro: dimostrare che l’alternativa non è solo possibile, ma necessaria per ridare una stabilità all’America che non faccia leva sulla paura o sull’odio.

Intanto, fuori dai confini nazionali, il mondo osserva e spera, o teme, a seconda dei propri interessi. Vladimir Putin, che nel 2016 aveva visto nell’elezione di Trump un’opportunità per indebolire la presenza americana in Europa, questa volta non si fa illusioni. Alla Duma non ci sono più i brindisi e nessuno a Mosca crede alle promesse di Trump, che afferma di poter fermare la guerra in Ucraina in un solo giorno. Da quando Trump è stato alla Casa Bianca, la Russia ha visto solo nuove sanzioni e una NATO rafforzata sul suo confine. Per alcuni, il sogno è che Trump possa portare a una sorta di “guerra civile americana”, uno scontro interno che indebolisca gli Stati Uniti dall’interno.

Un mondo in attesa: Trump vs Harris come sfida geopolitica globale

Israele invece non ha mai nascosto le sue preferenze. Benjamin Netanyahu, fedele alleato di Trump, sogna una vittoria del suo amico americano e, in questo, non è solo: secondo l’Israel Democracy Institute, quasi tre israeliani su quattro sperano che sia lui a vincere. La vicinanza tra Netanyahu e Trump è ormai consolidata, e Israele teme che con Harris alla Casa Bianca l’impegno statunitense in Medio Oriente possa essere più tiepido. La Cina, invece, rimane cauta e in bilico: Pechino sa che qualsiasi esito non sarà comunque favorevole. Tra le minacce di nuovi dazi e la possibilità di un’America più isolazionista, Xi Jinping non può ancora stabilire quale dei due scenari sia più conveniente per i suoi piani di espansione.

E in Europa, la posta in gioco è altissima. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, e molti leader del continente appoggiano apertamente Harris. La linea comune è chiara: Trump rappresenta un rischio per la stabilità della NATO e per l’economia europea, già provata dalla crisi energetica e dall’inflazione. Il protezionismo economico che il repubblicano ha già minacciato rischierebbe di dimezzare la crescita del Vecchio Continente. Ma l’Europa, stavolta, è meno compatta: il premier ungherese Viktor Orbán, alla guida dell’UE fino alla fine dell’anno, e Giorgia Meloni fanno il tifo per Trump. 

Le ultime ore della campagna elettorale americana si chiudono così. Da un lato, l’uomo che parla alla pancia di un’America divisa, promettendo la vendetta contro un sistema che egli definisce corrotto; dall’altro, una donna che cerca di convincere che l’unione, anche se faticosa, è ancora possibile. Un’elezione che, questa volta più che mai, non riguarda solo gli Stati Uniti ma i destini intrecciati di un pianeta intero.

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