L’assenza annunciata della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alla prossima COP29 a Baku che inizierà lunedì suscita perplessità e preoccupazione tra gli osservatori climatici. L’Europa, storicamente pioniera nella lotta contro il cambiamento climatico e baluardo delle politiche ambientali globali, sembra vacillare proprio quando la crisi richiederebbe invece ancora più intransigenza. L’assenza di von der Leyen, definita da molti come “un segnale fatale”, ora rischia di minare ulteriormente la credibilità dell’Unione in un momento critico.
Cop29, l’Europa tra leadership e assenza
Ma non è solo von der Leyen a disertare l’evento. Anche altri leader europei chiave, come il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, hanno deciso di non partecipare alla COP29. La mole di assenze inevitabilmente solleva interrogativi sulla volontà politica dell’Europa di mantenere il proprio ruolo di guida nella lotta contro il cambiamento climatico.
Le conferenze internazionali sul clima, da anni, sono il palcoscenico dove i leader mondiali devono dare prova di leadership e assumere impegni tangibili. La scelta di von der Leyen e di altri leader di non partecipare alla COP29 viene letta da molti come un segnale di debolezza o, peggio, di indifferenza.
L’assenza segna un disallineamento tra le dichiarazioni solenni di Bruxelles e le azioni concrete necessarie per fronteggiare una crisi sempre più pressante. La COP29 si tiene in un contesto già teso, con emissioni globali che non accennano a calare e con la fiducia del pubblico che si sgretola sotto il peso delle promesse non mantenute.
La scelta di Baku: una sede controversa
A questo si aggiunge, il controverso ruolo dell’Azerbaigian come ospite della COP29. Sebbene il paese abbia investito in alcune iniziative energetiche rinnovabili, la sua economia resta fortemente dipendente dall’estrazione e dall’esportazione di combustibili fossili. In molti sottolineano come l’Azerbaigian abbia spesso adottato politiche contraddittorie, dichiarando ambizioni ecologiche mentre continuava a rafforzare la sua produzione di petrolio e gas.
L’Europa, che solo pochi anni fa aveva lanciato il Green deal europeo come strumento di rinascita economica e sostenibilità, sta cambiando. Le pressioni interne ed esterne, dai costi energetici alle divisioni politiche tra gli stati membri, hanno indebolito la capacità di von der Leyen e degli altri leader di sostenere un ruolo di primo piano nella diplomazia climatica.
Alcuni critici vedono in questa mossa un tentativo di evitare l’assunzione di nuove responsabilità o impegni troppo vincolanti, che potrebbero trovare resistenze nei governi più reticenti. Tuttavia, l’assenza non fa che ampliare il divario tra le parole e i fatti, minando la credibilità dell’Ue agli occhi dei partner internazionali e degli elettori europei.
Effetto Trump sulle politiche green
In parallelo, la COP29 si tiene in un contesto mondiale caratterizzato dal ritorno di politiche climatiche negazioniste. Donald Trump, nuovamente presidente degli Stati Uniti, ha riaperto la stagione delle dichiarazioni infondate e pericolose. In una recente intervista, ha affermato: “Il cambiamento climatico è una bufala. Non c’è nessuna prova che il clima stia cambiando a causa dell’attività umana.” Parole che riecheggiano vecchi slogan ma che, tornate in auge sulla scena mondiale, complicano ulteriormente la ricerca di soluzioni condivise.
Mercoledì, la Commissione europea in una nota aveva scritto: “La nostra leadership è dimostrata dalle nostre azioni coerenti a livello nazionale e internazionale. Siamo sempre una voce di spicco per la nostra ambizione nella lotta al cambiamento e non cambieremo atteggiamento anche quest’anno”. Non resta che vedere.
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