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Matteo dice No e Giorgia tace

Nessuna questione di competenze, nessun dibattito sui risvolti politici nella maggioranza europea, nessun mea culpa sul voto contrario alla Commissione von der Leyen: per Giorgia Meloni la vicepresidenza di Raffaele Fitto è soprattutto una questione di rispetto per la nazione. Ergo, chi era contro Fitto (come il Pd, che però ci ha ripensato) era contro la nazione.

I patrioti, del resto, usano spesso il trucco di trattare gli oppositori politici come traditori della patria. Avremmo potuto imparare la lezione, studiare un po’ meglio la storia, e invece la trasposizione di Fitto a bene nazionale, come il Colosseo o la Torre di Pisa, è passata, con l’aiuto di politici di rango come Prodi e Monti e con la moral suasion – si dice – del Quirinale.

La retorica della maggioranza, anche questa volta, ha funzionato. Fitto, trasformato nell’ambasciatore dell’Italia a Bruxelles, ha intimorito persino i socialisti europei. Qualcuno di loro addirittura esulta – come il “riformista” Giorgio Gori – spiegandoci che il governo italiano ha indicato nell’ex ministro al Pnrr “un nome obiettivamente rispettabile”, anche se l’attuazione del nostro Pnrr a Bruxelles è ritenuta molto discutibile.

Solo che ieri, a prendere le distanze dalla nuova Commissione europea (e quindi anche da Fitto), è stato Paolo Borchia, capodelegazione della Lega al Parlamento europeo, che, a Il Foglio, ha confermato il voto contrario del gruppo europeo dei Patrioti. Quindi la Lega, alleata di Fitto e Meloni in Italia, vota contro la Patria a Strasburgo? Meloni, in questo caso, tace.

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