A proposito di lacrime e Banca Etruria forse è il caso di ricordare le lacrime di Luigino D’Angelo, suicida nel novembre del 2015. D’Angelo aveva perso 110 mila dei suoi risparmi e ha deciso di impiccarsi alla scala della sua villetta in via La Malfa a Civitavecchia. Quei 110 mila euro li aveva messi da parte con una vita fatta di lavoro e sacrifici e li ha persi a seguito dell’entrata in vigore del decreto salvabanche. «Chiedo scusa a tutti, il mio gesto non è per i soldi che abbiamo perso, ma per lo smacco subìto…», si leggeva nella lettera che aveva scritto 20 munti prima di suicidarsi. E poi ancora rivolgendosi alla moglie Lidia «denuncia il direttore e gli addetti ai titoli per comportamento scorretto, anzi, direi criminale».
Il profilo di rischio dietro cui i funzionari si sono nascosti
A febbraio del 2020 la moglie Lidia Di Marcantonio in aula per l’udienza del crac Etruria ha raccontato quei giorni ed è una storia che merita di non essere dimenticata: «Mio marito diceva sempre al suo consulente di custodire il ‘gruzzoletto’ per la nostra pensione. Un giorno ci propose di investire tutto in un buon prodotto e noi ci fidammo. A luglio 2015 arrivò una lettera che ci diceva che il nostro investimento non era adeguato al nostro profilo. Siamo tornati in banca e un altro impiegato ci ha detto che era una lettera che mandavano di routine. Siamo andati via tranquilli. A settembre è arrivata un’altra lettera simile. Siamo tornati in banca e siamo stati tranquillizzati un’altra volta. Luigino disse di voler disinvestire. Parlò con il direttore e lui ci tranquillizzò che aveva investito anche lui così. Mio marito iniziò a informarsi fino a quando sentimmo a Canale 5 che il presidente del Consiglio Renzi aveva firmato il decreto salvabanche. Mio marito è rimasto con le fettuccine in mano dicendo abbiamo perso tutto». A proposito del “profilo di rischio” dietro cui i funzionari della banca si sono nascosti Lidia ha detto al giudice: «Non sapevamo neppure cosa fossero i profili di rischio, forse eravamo ignoranti noi. Alla fine abbiamo capito che il nostro profilo di rischio era stato modificato».
I dipendenti in uno slalom di bugie, rassicurazioni e risposte evasive
Forse sarebbe il caso di ricordare le parole di Marcello De Benedetti, l’ex impiegato della banca Etruria di Civitavecchia ora finito a montare caldaie che a Repubblica disse: «Avevamo l’ordine di convincere più clienti possibili ad acquistare i prodotti della banca, settimanalmente eravamo obbligati a presentare dei report con dei budget che ogni filiale doveva raggiungere. L’ultimo della lista veniva richiamato pesantemente dal direttore». Racconta De Benedetti: «Eravamo tutti in una sorta di sudditanza psicologica. Dal 2007 al 2014 le azioni sono crollate da 17 euro e rotti a 1 euro e 50 e questo era indicativo del fatto che dovevamo dirottare le entrate su altri prodotti e che dovevamo fare acquistare la qualunque, anche le subordinate. Avendo ingolfato i creditori medio-piccoli tutti noi convincevamo i più danarosi assicurandogli che sarebbe stato un bene per loro, un affare seguendo i nostri consigli. E poi via con lo slalom di bugie, rassicurazioni e risposte evasive».
Dietro la vicenda giudiziaria di Banca Etruria c’è stata un’utile carne da macello
Dietro alla vicenda giudiziaria su Banca Etruria c’è un’umanità che di finanza e economia non ne sa e non è interessata a saperne eppure è l’utile carne da macello. Al di là della vicenda giudiziaria e dei suoi strascichi politici ci sono le lacrime che non finiscono sui giornali. I risparmi di Banca Etruria sono andati in fumo – era già accaduto e accadrà ancora – e noi siamo anestetizzati sulle ricadute che la finanza poco etica ha sull’ordinarietà delle persone. Sembriamo non avere nemmeno le parole per scrivere dei fallimenti affettivi che stanno dietro ai decreti. Forse conviene riportarle in superficie, le lacrime di Luigino.
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