Mentre tutti danno lezioni di giornalismo non si può non ricordare che un valente giornalista (qui da noi venerato come un idolo) intervistò un dittatore, proprio Hitler in persona, con un solo piccolo particolare: l’intervista se l’è completamente inventata. Che Indro Montanelli fosse un giornalista (e un uomo) più bravo a raccontarsi che a raccontare è cosa nota ma l’intervista a Hitler è un episodio imperdibile.
Lo racconta su Twitter Dark: «Un cazzaro compulsivo, Montanelli, di quelli che infestano molte compagnie di amici, generalmente tollerati quando il loro aneddoto è divertente e presi per il culo quando la sparano troppo grossa. I più bravi e istrionici riescono talvolta persino a declinare questo “difetto” in ambito professionale, diventando dei veri e propri artisti della cazzata. Tra i casi più emblematici vi è quello di Richard Benson, poliedrico personaggio dotato di una comicità travolgente che da anni sbarca il lunario con i suoi racconti clamorosi.
Sfortunatamente, con Montanelli la sorte è stata beffarda, preferendo ricompensarlo per il sopravvalutato (e spesso servile) contributo al giornalismo anziché farlo assurgere agli allori per quella che indubbiamente fu la sua dote migliore: la stronzata epistemologica. (parlo ovviamente della nostra, di sorte, visto che a lui è andata ovviamente meglio così). Un vero peccato, personalmente avrei preferito che nei vari corsi ed esami che mi è toccato dare all’università Montanelli venisse presentato e descritto come il precursore del gossip, delle fake news e dei titoli click-bait, oltre che ovviamente come il pedofilo razzista che ben sappiamo essere stato, anziché come uno dei padri del giornalismo italiano. Sfortunatamente (per noi, ribadisco) non è andata così, motivo per cui negli atenei si tende a non menzionare la rilevantissima sequela di bugie ed esagerazioni raccontate dal nostro mitomane preferito durante tutta la sua ricca e fin troppo lunga vita, tra cui:
- la presenza in piazza Venezia nel giorno in cui Mussolo annunciò l’entrata in guerra dell’Italia.
- – la presenza, che in taluni casi tende a sfiorare l’ubiquità, in tutti i più importanti teatri di invasione del fronte orientale durante la WW2: Polonia, Estonia, Finlandia, Norvegia. Per carità, che ci sia stato è (quasi) fuor di dubbio, ma il presenzialismo sistematico che il nostro riesce a manifestare in tutti i POI dove si sono consumati gli episodi chiave del conflitto più che un cronista di guerra ricorda un antesignano di Forrest Gump.
- la presenza a P.le Loreto, per sua fortuna da astante, durante i fatidici giorni della Liberazione.
Ma la fandonia più clamorosa che il nostro abbia mai raccontato, quella che più di ogni altre merita di farlo salire nel palmarès dei fantacazzari, è quel capolavoro dell’intervista a Adolf Hitler, da lui narrata innumerevoli volte e che adesso non mancherò di ricordare. Il racconto è ambientato l’1 settembre del 1939, giorno in cui la Wehrmacht invase la Polonia: il nostro, neanche a dirlo, era lì, forte del suo carnet di biglietti per un posto in prima fila agli Appuntamenti con la Storia stagione 1939-1945. Secondo alcune (sue) testimonianze si trovava “semplicemente” nel pubblico, presumibilmente appena fuori dal campo della celeberrima foto dei soldati tedeschi che sollevano la sbarra del confine. Secondo altre (sue) versioni, invece, stava orinando in un cespuglio nei pressi. La variante del “cespuglietto” è quella che preferisco perché consente di mettere a fuoco le doti da fanfaluchiere del nostro, che era solito aggiungere curiosi e talvolta imbarazzanti aneddoti ancillari per conferire maggiore verosimiglianza ai suoi mirabolanti racconti. Ma non divaghiamo: Montanelli era proprio lì, a un passo dalla sbarra, intento a curiosare (o a compiere atti osceni) sul luogo del misfatto, quando a un certo punto viene avvicinato da un soldato tedesco che, comprensibilmente, gli chiede a quale titolo si trovasse lì. “Sono un giornalista!” tuona il nostro a quel punto in perfetto italiano, dimostrando notevole acume: praticamente una condanna a morte. In un attimo si trova con la schiena rivolta contro un albero, presumibilmente lo stesso che aveva inopinatamente battezzato poco prima. Ma proprio in quel momento, un attimo prima che il soldato potesse risolvere sul nascere un problema di maschilismo tossico che sarebbe durato 60+ anni, avviene il miracolo: il portello di un Panzer che stava nei pressi si apre di scatto ed esce nientemeno che lui, baffetto. Come in ogni buon racconto revisionista che si rispetti, il bad guy per antonomasia è in realtà un personaggio positivo: non soltanto Adolf grazia Indro ma, saputo che trattasi nientemeno che un giornalista, decide di cogliere la palla al balzo e lo apostrofa così: “Prendi il taccuino, Indro, che ti spiego come mai la Germania sta entrando in guerra”. E così Montanelli, senza neanche aver avuto il tempo di lavarsi le mani, si ritrova a realizzare la prima intervista rilasciata da Hitler in assoluto. E che intervista! “Parlò a lungo e sempre lui, non mi lasciò il tempo di fargli domande, sembrava invasato. Poi, girò i tacchi e se ne tornò nel Panzer, riprendendo l’avanzata”. Il racconto, sfortunatamente, termina con un fine non troppo lieto: Montanelli riesce a telegrafare l’intervista al Corriere, ma gli allora poteri forti (il MinCulPop di Alessandro Pavolini, futuro fondatore delle Brigate Nere) ne bloccarono la pubblicazione. “Mussolini in persona intervenne per porre il veto”, dichiarerà in seguito Montanelli, giusto per aggiungere l’ennesima iperbole. Termina così quello che, a mio modesto parere, è senza ombra di dubbio il lascito più grande di Indro Montanelli: una fiaba breve ma ben costruita, forte di una morale populista e revisionista che ne sussume efficacemente l’esistenza e l’apporto che ha dato alla professione».
Buon martedì.
Nella foto: la statua di Indro Montanelli ricoperta di vernice rossa durante una manifestazione di Black Lives Matter, Milano, 13 giugno 2020