L’Unicef ha registrato 300 bambini afgani evacuati dal Paese, non accompagnati e separati dalle proprie famiglie. Ma è un numero destinato a crescere. E in Afghanistan sono 10 milioni i piccoli che hanno bisogno di assistenza umanitaria
Le scene dell’aeroporto di Kabul hanno fatto il giro del mondo. I bambini passati di mano in mano, con i genitori che accettavano lo strappo pur di salvarli. Di bambini poi si sono riempiti la bocca tutti, perfino i più sovranisti dei più destrorsi sovranisti, quelli che ci dicevano che bisognasse “salvare i bambini” e noi ci siamo permessi fin dall’inizio di fare notare che dividere le famiglie fosse davvero un modo discordante con la sacralità della “famiglia tradizionale” che proprio loro continuano a cavalcare.
Ma che fine hanno fatto i bambini? L’Unicef e i suoi partner hanno registrato circa 300 bambini non accompagnati e separati evacuati dall’Afghanistan. Ma sono numeri assolutamente precari, destinati a crescere mentre proprio in questi giorni sono in corso le identificazioni. Parliamo di circa 300 bambini che non hanno accanto a loro nessun legame famigliare, vulnerabili e scossi. Per questo Unicef ieri ha raccomandato che «durante i processi di tracciamento e ricongiungimento, i bambini dovrebbero ricevere un’accoglienza alternativa sicura e temporanea, preferibilmente con parenti o in un contesto familiare. La collocazione all’interno di centri di accoglienza dovrebbe essere l’ultima risorsa, e solo temporanea».
Dice Henrietta Fore, direttrice generale del’Unicef: «I governi dei Paesi in cui si trovano i membri della famiglia di bambini separati e non accompagnati dovrebbero cooperare e facilitare il ricongiungimento e percorsi migratori sicuri e legali per questi bambini, se ciò è nel superiore interesse del bambino. La definizione di membri della famiglia dovrebbe essere abbastanza ampia affinché i bambini non accompagnati possano essere affidati in sicurezza a parenti che si prendano cura di loro. Allo stesso modo, i bambini che viaggiano con adulti di fiducia dovrebbero rimanere con loro se ciò è nel loro superiore interesse. Separare i bambini da adulti che conoscono e dai quali ricevono cure potrebbe causare ulteriori problemi. Tutti i bambini hanno il diritto di stare con le loro famiglie. Le parti coinvolte nell’evacuazione e nell’accoglienza delle persone che fuggono dall’Afghanistan dovrebbero compiere ogni sforzo per evitare la separazione delle famiglie in primo luogo. Questo significa assicurare un adeguato coordinamento tra gli attori civili e militari, stabilire una registrazione di base dei bambini e delle famiglie, e verificare le liste di volo».
La solidarietà non si decanta, la solidarietà si attua mettendo in campo tutti gli strumenti a disposizione. Ora, passati i giorni convulsi dell’assalto all’aeroporto per la fuga, è il tempo di stabilire le priorità e di trovare le soluzioni. Quei bambini (così come tutti gli afgani) non durano il tempo utile per essere filmati in qualche servizio di un telegiornale ma esistono anche (e soprattutto) dopo, mentre soggiornano in centri di accoglienza senza avere la bussola per immaginare una ricostruzione affettiva. Non è un questione di bontà, è quello che si deve fare. A proposito: in Afghanistan più di 550mila persone sono state sfollate a causa del conflitto e 10 milioni (10.000.000) dei bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria. Il dolorosissimo disastro è qui, ora, sotto i nostri occhi.
Buon mercoledì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.