La strage di Bologna, compiuta sabato 2 agosto 1980, è uno degli atti terroristici più gravi avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra. Per Bologna e per l’Italia è stata una drammatica presa di coscienza della recrudescenza del terrorismo.
Alle 10:25, nella sala d’aspetto di 2º classe della Stazione di Bologna Centrale, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose, causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio. L’esplosivo, di fabbricazione militare, era posto nella valigia, sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su di un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest, allo scopo di aumentarne l’effetto; l’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investì anche il treno Ancona-Chiasso, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina, ed il parcheggio dei taxi antistante l’edificio.
L’esplosione causò la morte di 85 persone ed il ferimento o la mutilazione di oltre 200.
20 anni dopo, 2 agosto 2010, di Bologna ci rimangono i nomi dei presunti esecutori (Valerio Fioravanti e Francesca Mambro), qualche nome eccellente tra i depistatori (come Licio Gelli, cancro della prima repubblica e inventore della seconda) e un esercito di sopravvissuti: vedove, figli, madri e padri. Eppure nessun membro di questo governo di vili parteciperà alla manifestazione. E’ la codardìa del sultano e la sua corte che si sfila dai luoghi e dalle commemorazioni dove non è riuscito ad imporre la propria verità. Dove non è riuscito a prostituire il favore del popolo all’immagine pubblicitaria che vuole dare di questo Paese. La nuova strategia (che in realtà di nuovo ha ben poco) è evitare di partecipare a tutte quelle cose che non si vogliono affrontare e raccontare. Perché nella Telecrazia meno si parla e si fa parlare di qualcosa e meno magicamente comincia ad esistere. Come un gioco di spot applicati alla coscienza, un aggiotaggio dell’informazione e della conoscenza. Il Re vuole solo bocche aperte di meraviglia o bocche piene; niente fischi o sdegni. In una tirannìa del consenso espresso dove l’olio di ricino e i manganelli sono stati sostituiti dall’arma dell’oblìo. Un arma che gli abbiamo costruito (e regalato con colpe politiche bipartisan) nel momento in cui al Re Berlusconi è stato concesso (o addirittura “garantito” come ha riferito alla Camera l’allora capogruppo dei DS Luciano Violante) di diventare il detentore unico della memoria presente, del revisionismo storico e del pensiero unico futuro.
A Bologna l’assenza del governo non è bile da condominio (con La Russa che si può permettere di dire “Gli altri anni i ministri li avete fischiati. E allora avete già la risposta al perché non viene nessuno…”) e nemmeno l’ennesimo atto di una codardia che conosciamo ormai troppo bene (dalle manganellate agli aquilani fino al valzer triste su Falcone e Borsellino): a Bologna si celebra l’assenza impunemente possibile coltivata da anni di indifferenza, di superficialità e di inconsistenza politica di un popolo che è bravissimo nelle cerimonie ma latitante nella ricerca della verità. A Bologna si celebra uno Stato a cui permettiamo di non dare risposte.