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“Che sotto la camicia bianca e l’abbronzatura spiccata si celassero le sembianze di un camaleonte sarebbe dovuto apparire chiaro a quelli che in una bella giornata di maggio del 2018 lo convocarono in un albergo romano per offrirgli con una mano la presidenza del Consiglio dei ministri nascondendo però nell’altra i fili con cui avevano deciso di guidarlo considerandolo poco più che un burattino”. Nell’ultimo giorno di campagna elettorale Repubblica si riserva di mirare quello che evidentemente è il nemico numero uno: Giuseppe Conte.
Public enemy
Un “longform” che descrive, analizza (?) e racconta il leader del Movimento 5 Stelle con stralci degni di un brutto romanzo rosa: “Che sotto la camicia bianca – scrive Repubblica – e l’abbronzatura spiccata si celassero le sembianze di un camaleonte sarebbe dovuto apparire chiaro a quelli che in una bella giornata di maggio del 2018 lo convocarono in un albergo romano per offrirgli con una mano la presidenza del Consiglio dei ministri nascondendo però nell’altra i fili con cui avevano deciso di guidarlo considerandolo poco più che un burattino”.
Gli aggettivi si sprecano. Si passa da Conte decritto come “pupo” (“Messo in piedi il “pupo”, si trattava di costruirgli la squadra”) a “il quasi Lula italiano, ma con la giacca di sartoria sulla spalla, la cera nera sui capelli e la clamorosa assenza della pochette, un vuoto che stropiccia verso sinistra l’aria conversativa e indulgente del trasformista che non ha più bisogno di voltare la gabbana”. Conte sarebbe “un’opera firmata Rocco Casalino.
L’alter ego, lo stratega, il maestro di social e di telegenia. L’ex inquilino del Grande Fratello votato alla causa cinque stelle. “Il portavoce”, preferisce lui, come da titolo dell’autobiografia”. Conte, ci spiega Repubblica, sarebbe solo un povero fesso. Casalino, scrivono, “gl’insegna a parlare dritto in camera, frasi semplici, toni suadenti. Si sceglie un ufficio spazioso al primo piano di Palazzo Chigi e da lì programma dirette e post acchiappa-clic, pianifica con messaggi vocali ai giornalisti una comunicazione insieme cinica e naïve, pettinata e sentimentale”.
Otto persone hanno lavorato al ritratto di Conte – nove se teniamo conto del coordinamento editoriale – per descrivere il “voltagabbana” con tutti i suoi tic fisici. Non siamo ingenui. Sappiamo bene che il giornalismo, soprattutto in questi giorni, decide da che parte stare – è sempre stato così – ma è proprio l’attacco del gruppo Gedi a segnalare un fatto politico che conta: per Elkann e soci il Movimento 5 Stelle è il nemico, ancora di più di Meloni e Salvini e Berlusconi.
Come dire: va bene il pericolo fascismo e vanno bene gli amici di Putin ma mi raccomando non votate M5S. Repubblica involontariamente diventa così il miglior sponsor per la volta finale della campagna elettorale di Conte. Non c’è soddisfazione più grande, tra gli elettori del Movimento 5 Stelle, dell’essere odiati da quella stessa stampa che propaganda l’aporofobia (il disprezzo per i poveri ormai per i giornali del Gruppo Gedi è una missione editoriale) e per chi ha santificato Draghi in tutte le sue mosse, perfino in quelle non compiute.
Ospite da Myrta Merlino, Conte disse due giorni fa alla conduttrice “lei legge i grandi giornali e rimane fuorviata”, gli è bastato aspettare 24 ore per trovare conferma. A 48 ore dalle elezioni in cui per la prima volta il partito più votato sarà l’erede della fascia tricolore un giornale che si definisce progressista manganella Conte. è evidente che qualcuno sia in contraddizione con la propria storia. E no, non sono quelli della fiamma.
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