Dice Giorgia Meloni, e dicono i ministri del governo, che questo 2024 tra le altre cose sarà ricordato per il fumoso “Piano Mattei” che si propone di essere “ponte per una crescita comune” con l’Africa come annunciato nel vertice Italia-Africa dello scorso 29 gennaio. A oggi di quel piano è disponibile la cabina di regia e poco altro. Sappiamo per certo che gli attori coinvolti non sono stati consultati: il presidente della commissione dell’Unione africana Moussa Faki Mahamat l’ha denunciato pubblicamente e le organizzazioni del settore non sono ancora state coinvolte nonostante il decreto preveda la loro presenza.
Piano Mattei, l’Italia abbandona la cancellazione del debito
I numeri a disposizione sono quindi quelli delle risorse dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) che l’Italia ha destinato a paesi africani nel corso degli ultimi vent’anni da cui si possono cogliere, da un rapporto di Openpolis, due chiare fasi distinte. Nella prima fase, tra 2000 e 2011, quasi ogni anno una parte consistente e spesso maggioritaria delle risorse bilaterali era destinata a programmi di cancellazione del debito dei paesi africani. Come scrive Openpolis a partire dal 2012 però, come effetto della crisi finanziaria a cui fu esposto il paese, “le risorse destinate all’Africa subirono un netto ridimensionamento. Le politiche di cancellazione del debito sparirono quasi del tutto e anche l’Aps restante venne sostanzialmente dimezzato”. Nonostante l’ammontare complessivo delle risorse sia aumentato, gli unici interventi di riduzione del debito pubblico di paesi africani sono quelli del 2016 nei confronti della Guinea-Bissau (per 113 milioni di euro) e nel 2021 nei confronti della Somalia per un valore di 519 milioni di euro.
A dicembre scorso l’Ocse ha rilasciato i dati definitivi sulla cooperazione internazionale nel 2022 e il primo dato che salta all’occhio è la crescente incidenza di forme di aiuto che vengono considerate da molte organizzazioni (in particolare Concord Europe) come impropriamente inserite nel computo della cooperazione allo sviluppo e quindi gonfiate. L’aumento è stato pari al 19%, in confronto all’anno precedente. Prosegue quindi un incremento che era iniziato già nel 2020. Tuttavia rispetto al 2021, quando il tasso di crescita era stato del 37,3%, c’è un relativo rallentamento. Un aumento che però, occorre sottolineare, ci mantiene ancora lontani dall’obiettivo dell’Agenda 2030, ovvero di destinare lo 0,70% del reddito nazionale lordo (Rnl) all’aiuto pubblico allo sviluppo, più del doppio dell’attuale 0,33%.
Gioco delle tre carte
Quindi siamo diventati più buoni? Per niente. A ben vedere infatti, ad aumentare tra 2021 e 2022 è stata soprattutto una specifica voce all’interno della rendicontazione ufficiale della cooperazione internazionale, ovvero la voce di spesa destinata ai rifugiati nel paese donatore: il famoso aiuto gonfiato. Il 2022 non è stato un’eccezione e anzi ha confermato la tendenza in modo molto evidente. Se nel 2020 la spesa per i rifugiati si attestava al 5,4% dell’aiuto allo sviluppo italiano, nel 2022 l’incidenza ha superato ampiamente un quinto del totale. Tra 2021 e 2022 l’aiuto gonfiato è quasi triplicato. Se escludiamo la componente gonfiata dal calcolo dell’Aps, vediamo che il rapporto Aps/Rnl in Italia che dovrebbe essere dello 0,70% entro il 2030 scende allo 0,25%, una differenza di 0,08 punti percentuali. Si tratta tra l’altro di numeri che fanno riferimento al 2022, quando il numero di sbarchi era cresciuto rispetto all’anno precedente ma è molto più basso rispetto al 2023. Del Piano Mattei si sa poco ma le premesse sono nere.
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