C’è un’Italia che non sa leggere né fare i conti. È un’Italia che si arrampica tra percentuali desolanti e classifiche Ocse che inchiodano un quarto della popolazione al livello minimo di comprensione del testo e calcolo matematico. Il rapporto Piaac non è solo l’ennesimo studio su un Paese che fatica a stare al passo: è il ritratto di un declino che si perpetua. Perché non è che siamo fermi ma stiamo scivolando più in basso mentre il mondo accelera. Un Paese dove il 35% degli adulti fatica con testi semplici non è solo un Paese ignorante è un Paese fragile. E se il 46% non sa risolvere problemi con più variabili non è solo un problema di competitività economica.
È il segno di una società che non riesce a immaginare soluzioni complesse ad affrontare il cambiamento o a costruire un futuro. Non basta evocare la qualità dell’istruzione o la formazione continua che pure restano nodi centrali. Il rapporto parla di una questione sociale: un divario che si allarga tra chi ha gli strumenti per comprendere e chi è condannato a rimanere ai margini. Ci sono responsabilità politiche certo ma anche un tema culturale. L’istruzione non è mai stata una priorità per il nostro Paese. Investire in conoscenza richiede visione ma qui è la miopia a dominare. E così restiamo a guardare. Non una crisi improvvisa ma una lenta agonia. E non c’è indicatore economico che tenga: un Paese che non legge è un Paese che non pensa. E un Paese che non pensa è già perduto. Alla fine sorge un dubbio: ma non è che la politica ignora l’allarme perché anche lei non ha gli strumenti per leggere la profonda gravità di un un Paese che non sa leggere?
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