Abitava a Sesto San Giovanni. E convocava summit tra i clan di Alcamo, Castellammare e Calatafimi in aperta campagna per appianare le divergenze tra le famiglie. Come un buon mediatore agricolo.
Gli arrestati sono Antonino Bonura, imprenditore alcamese 49 anni residente a Sesto San Giovanni (Milano), pregiudicato per mafia, Antonino Bosco, pregiudicato mafioso di Castellammare del Golfo, 58 anni, detenuto all’ergastolo, Vincenzo Bosco, operaio di 49 anni, Sebastiano Bussa, pregiudicato di 38 anni,Vincenzo Campo, procacciatore d’affari pregiudicato di 45 anni, Salvatore Giordano, 54 anni, imprenditore pregiudicato di Ravanusa (Agrigento) e residente a Milano, Rosario Tommaso Leo, 44 a nni, imprenditore agricolo pregiudicato, Salvatore Mercadante, 28 anni, allevatore, Nicolo’ Pidone, 50 anni, dipendente stagionale del Corpo Forestale di Calatafimi, Diego Rugeri, 33 anni, pregiudicato, Giuseppe Sanfilippo, 30 anni, operaio pregiudicato, Michele Sottile, 50 anni, pregiudicato.
Su Salvatore Giordano di Ravanusa, dopo oggi, forse si spiega un antico articolo del 2008 di Repubblica:
18 gennaio 2008 — pagina 6 sezione: PALERMO
UNA misteriosa estorsione da un milione di euro a un ingegnere milanese di origini siciliane, Salvatore Giordano, nato a Ravanusa. Una storia che la polizia ascolta in diretta durante le indagini dell’ operazione Gotha ma i cui protagonisti sono i due uomini del racket fermati a Milano e sui quali si erano concentrate da qualche tempo anche le indagini della squadra mobile milanese coordinate dal pm Ilda Boccassini, piombata a Palermo qualche giorno fa dopo aver saputo per caso che l’ imminente fermo disposto dai colleghi palermitani avrebbe finito con il guastare la sua indagine su Luigi Bonanno, il rampollo della nota famiglia palermitana che agiva in territorio lombardo. Che l’ estorsione milionaria ai danni dell’ ingegnere ci sia stata, con il versamento in due tranche da 500 mila euro e con un “pensiero” anche per la famiglia di Ravanusa, competente per le origini del facoltoso professionista, sembra accertato. Quello che gli inquirenti non sono ancora riusciti a chiarire, neanche con l’ ausilio dei collaboratori, è quali sono «gli interessi di Giordano che potrebbero aver spinto l’ organizzazione a contattarlo per una richiesta di denaro per circa un milione di euro». Una richiesta che, per altro, avrebbe visto spartirsi la cifra tra famiglie mafiose diverse. «Lo abbiamo sotto contratto», si sente dire ad un esponente della famiglia di Pierino Di Napoli. «Ora appena l’ ingegnere scende a Palermo ci facciamo una camminata, uno, due, tre e l’ ingegnere». I mafiosi vengono intercettati mentre fanno i conteggi di come la grossa cifra verrà divisa: «Cinquecento milioni di lire a quelli là sopra (probabilmente – scrivono i magistrati – i soggetti che nel territorio milanese avevano curato il contatto con l’ imprenditore) e cinquecento milioni sono i nostri». Centossessanta milioni di lire, erano già stati riscossi «dai picciutteddi del paese che avevano il discorso nelle mani». Parte attiva nella trattativa avrebbero avuto “Angelino” e lo “zio Luigi”, Angelo Chianello e Luigi Bonanno, i due arrestati del blitz dell’ altra notte. Ma da altre intercettazioni, la polizia scopre che il misterioso ingegnere è stato attenzionato anche da un’ altra famiglia mafiosa, quella dei Mandalà di Villabate. E proprio Nicola Mandalà, andato personalmente a Milano, avrebbe chiesto all’ ingegnere Giordano altri quattrocentomila euro. Preoccupato però che la vittima predestinata si rivolgesse al fratello, finanziere, e denunciasse tutto. Resta misterioso, dunque, come e perché Salvatore Giordano fosse finito nel mirino del racket. L’ ingegnere risulta presidente del consiglio di amministrazione della ditta Hi-Tech Speciality srl con sede a Sesto San Giovanni ma che cosa rendesse giustificabile una tangente così alta e un interesse così trasversale nelle famiglie mafiose palermitane non si è ancora capito. a. z.