Il Decreto Paesi sicuri del governo Meloni, a detta dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), rappresenta una forzatura che travolge il diritto di asilo con una lista di Paesi “sicuri” costruita su criteri più politici che reali. Apparentemente è una norma per velocizzare le pratiche, evitare lungaggini, risparmiare soldi pubblici. Ma, nella sostanza, Asgi solleva un dubbio pesante: chi stabilisce cosa sia sicuro e cosa no, e soprattutto, come può questa lista non essere una scorciatoia che fa saltare garanzie fondamentali?
A prima vista, il decreto è semplice: chi proviene da Paesi dichiarati “sicuri” non avrebbe diritto a un percorso di protezione completo. In sostanza, con questa norma, il governo spera di sfoltire le richieste di asilo, trattando intere categorie di richiedenti come “a basso rischio”. Asgi tuttavia sottolinea come questa semplificazione sacrifichi il diritto a una valutazione personalizzata, un aspetto che dovrebbe essere basilare quando si parla di vite umane. La lista dei Paesi sicuri, infatti, include Stati che la stessa comunità internazionale – per non parlare delle associazioni umanitarie – ha più volte dichiarato “problematici” per la tutela dei diritti umani. La Tunisia, per esempio, è nella lista, eppure Asgi ricorda che il Paese è stato segnalato per casi di tortura e repressione. Dichiararla sicura, sostiene Asgi, è un atto di comodo che ignora i fatti.
La presunzione di sicurezza che mette a rischio le tutele
Ma il problema non finisce qui: come osserva Asgi, il decreto introduce una “presunzione di sicurezza” che finisce per ribaltare l’onere della prova. Invece di tutelare chi chiede protezione, costringe chi proviene dai Paesi in lista a dimostrare in tempi strettissimi e con prove stringenti di essere a rischio “individuale e straordinario”. Chi fugge da questi Paesi deve correre contro il tempo, raccogliere documenti che spesso è difficile procurarsi, e tutto questo per convincere una macchina burocratica che non intende soffermarsi su storie individuali, ma applicare un principio generale: se vieni da lì, te la cavi.
Asgi avverte che il decreto taglia le garanzie: le decisioni arrivano entro un mese, troppo poco per chi fugge da persecuzioni, lasciando spesso tutto alle spalle, compresi i documenti. Non solo: con il decreto diventa praticamente impossibile presentare un ricorso efficace. E così si svuota il diritto alla difesa, una scorciatoia che potrebbe tradursi in respingimenti di persone che secondo i trattati internazionali avrebbero pieno diritto alla protezione. Asgi descrive il decreto come un sistema accelerato che però si basa su una logica pericolosa: non contano le ragioni individuali, conta solo da dove vieni. Un passo indietro, un passo verso il rischio di violare i principi sanciti anche dall’articolo 10 della Costituzione italiana, che garantisce asilo a chiunque scappi da violazioni dei diritti umani.
L’Asgi sottolinea che questa accelerazione della procedura, a scapito delle garanzie, contraddice i principi che l’Italia ha firmato nelle direttive europee, che impongono valutazioni individuali e aggiornate. Con il decreto, dice Asgi, il governo tratta situazioni complesse con uno schema burocratico che elimina la dimensione umana del diritto di asilo.
Il cuore del problema, secondo Asgi, è nella stessa nozione di Paese “sicuro”: come si fa a catalogare come sicuro un intero Stato, ignorando i diversi contesti locali e politici? Chi garantisce che per ogni richiedente asilo proveniente da quel Paese esista un livello di sicurezza accettabile? Il diritto di asilo, come sottolinea Asgi, non dovrebbe dipendere da una lista geografica, bensì da una valutazione del rischio effettivo per la persona. Il decreto invece fa esattamente l’opposto: tratta chi arriva da un Paese “sicuro” come un caso di basso rischio, lasciando indietro la complessità di storie e situazioni.
Dl Paesi sicuri, un automatismo che ignora la complessità delle storie individuali
Il quadro delineato da Asgi è chiaro: il decreto, con la sua lista di Paesi sicuri, rischia di creare un’automatizzazione pericolosa. Questa “presunzione di sicurezza” porta a respingere persone che, se ascoltate, potrebbero rientrare nei criteri di protezione. L’Italia si impegna, in apparenza, a rispettare il diritto d’asilo, ma questa nuova lista tradisce quello che dovrebbe essere un principio di umanità.
Asgi avverte che questo decreto non solo rischia di violare i trattati internazionali, ma rischia di mettere l’Italia al centro di possibili violazioni dei diritti umani. L’associazione denuncia un pericolo concreto: queste scorciatoie burocratiche non risolvono la crisi migratoria, la spingono solo lontano dalla vista. Chi rimane fuori dalle porte chiuse, che il governo chiama “efficienza”, è una persona, una vita che rischia. Perché il rischio di chi fugge da un Paese dichiarato “sicuro” non scompare con un decreto.
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