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Giulio Cavalli

Prendi posizione.

Prendi posizione. La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima. Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato.

(Elie Wiesel)

Cosa si costituisce con il boss Giuseppe Pesce

'Ndrangheta: si e' costituito il capocosca Giuseppe PesceLa notizia viene data con tutti i (giusti) clamori del caso e un po’ di romanticismo:

Sul Corriere scrivono che “Giuseppe Pesce, figlio di Antonino e fratello di Francesco, detto “Ciccio Testuni”, potrebbe aver deciso di costituirsi dopo l’arresto della moglie, Ilenia Bellocco, finita ai domiciliari lo scorso 6 maggio perché avrebbe aiutato il marito latitante. Per i magistrati della dda di Reggio Calabria la Bellocco avrebbe tenuto, infatti, i contatti con Giuseppe Pesce attraverso un altro affiliato alla cosca, Domenico Sibio, uomo di fiducia dei Pesce. La donna figlia di Umberto Bellocco, capo storico della ‘ndrina di Rosarno, aveva assunto – secondo i magistrati – un ruolo di primo piano nell’organizzazione della famiglia. Il suo matrimonio con Giuseppe Pesce, aveva in qualche modo sancito una sorta di tregua tra le due famiglie di ‘ndrangheta riuscendo a cementare un rapporto che prima di quel matrimonio si era incrinato per ragioni di monopolio territoriale”.

Il fatto certo è che si è costituito ai Carabinieri di Rosarno il latitante Giuseppe Pesce. Ed è vero che è ritenuto il reggente dell’omonima cosca della ‘ndrangheta. Il 32enne era latitante dal 2010. E’ destinatario di due ordinanze di custodia cautelare, emesse nel maggio 2010 e nell’aprile 2012. Coinvolto nell’indagine della Dda di Reggio Calabria ‘All Inside’, viene ritenuto responsabile dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso in qualità di organizzatore, capo e promotore.

Ma è importante ricordarsi che anche dalla latitanza, in questi tre anni, Giuseppe Pesce ha dettato le regole e impartito ordini. La carica di reggente gli è stata impartita direttamente dal fratello Ciccio, proprio dal carcere di Palmi, attraverso un pizzino, poi sequestrato dagli agenti di custodia, aveva tentato di far arrivare al proprio fratello ordini da eseguire durante la sua detenzione. Nel foglietto sequestrato c’erano scritti i nomi d’imprenditori costretti a pagare la mazzetta e le indicazioni con le nuove cariche da dare ai picciotti di famiglia.

Visto con un po’ di senno il suo consegnarsi ai carabinieri è frutto di un’organizzazione territoriale collaudata che sopravvive al suo arresto. Non c’è molto da festeggiare.

Prova a leggere

L‘analisi di Luigi Castaldi in un momento in cui dovrebbe andare di moda essere ignoranti e dimentichi della storia politica del nostro Paese:

Io penso che la regia dell’operazione abbia la chiara impronta di quella «destra comunista», già tutta in embrione nella «svolta di Salerno», che portò Togliatti all’alleanza con Badoglio e Casa Savoia. Il fatto che quella «svolta» rispondesse unicamente agli interessi di Stalin, e che Togliatti si sia limitato ad obbedire agli ordini partiti dal Cremlino, passa in secondo piano per Mario Pirani (la Repubblica, 14.5.2013), che pure risale a quel periodo per spiegarsi la logica che ha dato vita al governo Letta. Ora, è vero, la storia non concede controprove, ma sappiamo che Togliatti fu sempre supino ai voleri di Stalin: è azzardato immaginare che, se a Mosca fosse tornato comodo che il Pci imboccasse la via insurrezionale, Togliatti non avrebbe mai teorizzato alcuna «via italiana al socialismo», Secchia non avrebbe mai lasciato il posto ad Amendola al quarto piano del Bottegone, Napolitano e gli miglioristi sarebbero stati strozzati in culla, ammesso e non concesso che avessero potuto emettere un vagito? Non ha senso discutere del passato ricorrendo ai «se», d’accordo, ma una cosa è certa: la «svolta di Salerno» fu la madre di tutti i successivi tentativi, riusciti o falliti, che il Pci mise in atto per arrivare nella mitica «stanza dei bottoni», e fu sempre evocata, in primo luogo dai suoi dirigenti, come una scelta coraggiosa di maturità politica contro ogni velleitarismo e ogni avventurismo. Non mancò mai, d’altronde, chi nella linea decisa da Togliatti nel 1944 vide la prima grande prova del suo cinismo, il primo dei tanti tradimenti che la dirigenza del Pci avrebbe consumato ai danni dei suoi militanti e dei suoi elettori. Tutto sommato, è un errore, perché già nel 1936, quando il regime fascista sembrava indistruttibile, Togliatti gli offriva collaborazione dalle pagine di Stato Operaio: «Noi tendiamo la mano ai fascisti, nostri fratelli… Siamo disposti a combattere assieme a voi e a tutto il popolo italiano per la realizzazione del programma fascista del 1919».
Anche nel comunista più ripulito persiste incoercibile la tentazione al compromesso con quello che è indicato come peggior nemico del popolo fino a quando c’è speranza di sconfiggerlo e annientarlo. Naturalmente parlo del comunista che abbia responsabilità dirigenziali e che il crollo del muro di Berlino ha impreziosito con un «post»: parlo del post comunista che sta al Quirinale o in Largo del Nazareno. Fino a quando Berlusconi è stato con un piede nella fossa, la sua demonizzazione era uno strumento eccezionale per galvanizzare militanti ed elettori, per fare incetta di voti di quanti volevano sbarazzarsi della mostruosa atipia. Poi, quando sfuma il sogno di poterlo impiccare a testa in giù, ecco l’impellente bisogno di un governo di «coesione nazionale», di una «große Koalition», lamentando «il fatto – e qui cito Napolitano – che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse», «segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche». Di colpo, l’elettore che votava Pd per mero antiberlusconismo, convinto che quello fosse il voto utile, diventa un bruto, o come minino un incolto che nulla sa della politica come arte del possibile.

Vogliono la certezza a ogni costo

Gli uomini hanno bisogno di punti d’appoggio, vogliono la certezza a ogni costo, anche a spese della verità. Poiché essa è corroborante, e loro non possono farne a meno anche quando sanno che è menzognera, non ci sarà scrupolo capace di trattenerli dallo sforzo di procurarsela.

(Emil Cioran)

Trezzano sul Naviglio: il PGT come pompino per un centro commerciale

La Lombardia e i suoi comandamenti. Primo: desidera il centro commerciale d’altri.

Sono 8 in tutto, le persone arrestate, nella mattinata, da personale della D.I.A. di Milano, tra pubblici amministratori, professionisti e imprenditori a seguito di un’indagine, diretta e coordinata da Paolo Storari e da Laura Pedio della D.D.A. di Milano, che ha fatto luce su un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Numerosi i fatti emersi in gran parte legati all’approvazione del P.G.T. del comune di Trezzano sul Naviglio e ai tentativi di condizionarne gli atti. Eseguite, con la collaborazione di personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, piu’ di 30 perquisizioni.

Le perquisizioni sono state fatte in varie localita’ della provincia di Milano, Varese e Bergamo e notificate informazioni di garanzia nei confronti di altre 8 persone coinvolte a vario titolo negli illeciti accertati. Gli arrestati, indagati per associazione a delinquere e corruzione aggravata in concorso, sono: Oreste Sciumbata di 54 anni, Assessore ai Servizi Sociali del comune di Trezzano; Giacomo Velardita di 54 anni, Comandante della Polizia Municipale del citato comune; Giorgio Rossetto di 65 anni, Assessore ai Lavori Pubblici del medesimo ente; Antonio Di Stasio di 66 anni, imprenditore; Massimo D’Anzuoni, di 49 anni consulente; Anna Galli di 43 anni, commercialista con ufficio a Bergamo; Alessandro Beccaro Migliorati, di 66 anni, commercialista in Milano; Marco Citelli di 59 anni, geometra dell’Ufficio Tecnico del comune di Trezzano.

Dalle indagini e’ emerso un pesante quadro di corruttele e illegalita’ con pubblici amministratori asserviti agli interessi di imprenditori e con professionisti abili nel mascherare, con un giro di false fatturazioni, il pagamento di tangenti. Significativo l’episodio legato al tentativo di spostare l’asilo comunale di via Fogazzaro nel comune di Trezzano sul Naviglio per far posto ad un parcheggio destinato ad un centro commerciale. Vicenda collegata alla promessa di una somma non inferiore a 500 mila euro e alla corresponsione, in piu’ occasioni, di una somma non inferiore a 230 mila euro; in una circostanza e’ stata documentata la consegna di una tangente avvenuta all’interno di un’auto; tangenti di cui e’ stato accertato il trasferimento su conti in Svizzera.

Il doppio “pacco” dall’Europa

Mentre discutiamo delle prodezze minorili di B., delle Epifanie nel PD e delle diarie grillesche l’Europa decide:

Il Consiglio Europeo ha approvato oggi il cosiddetto “two-pack”, un insieme di provvedimenti finalizzati a rafforzare la governance economica dell’Eurozona. In particolare è previsto un rafforzamento del monitoraggio e della valutazione dei budget dei Paesi dell’Eurozona, con una maggiore attenzione verso quelli sottoposti a procedura per eccesso di deficit. Prevista anche una ulteriore sorveglianza degli Stati membri minacciati da serie difficoltà finanziarie o che abbiano richiesto un’assistenza economica. Le proposte sono state presentate dalla Commissione nel novembre del 2011 a seguito dell’adozione delle misure note con il nome di “six-pack”. L’accordo con il Parlamento europeo è stato raggiunto il 20 febbraio del 2013.

E’ previsto che il 15 ottobre di ogni anno ogni Paese membro presenti all’Unione il proprio budget per l’anno successivo e, se questo dovesse presentare scostamenti eccessivi dagli obblighi di budget previsti dal Patto di stabilità e crescita, la Commissione chiederà una revisione del documento presentato. Ogni Stato membro che sia sottoposto a forte stress finanziario o abbia ricevuto un supporto precauzionale sarà sottoposto a una maggiore sorveglianza. I Paesi membri che ricevano un supporto economico Ue (non precauzionale) e non vengano incontro ai requisiti di budget saranno anche soggetti a un piano di correzione macroeconomica.

Una conversazione, un dibattito o delle analisi sulla politica economica europea forse ci farebbe bene al di là del gossip. Perché c’è un’Europa sopra le nostre teste e degli incompetenti a (non vigilare).

Un giornale-canzone, una ballata di cronaca e il senso di essere cantastorie

Ci ho pensato tante volte alla funzione “giornalistica” e “politica” del fare narrazione. Ci ho pensato, in fondo, perché spesso sono rimasto incastrato tra i campi dell’una e dell’altra cosa senza che per me fosse un problema eppure ricevevo richieste pressanti di chiarimenti quasi come fosse una colpa. Ricordo che con alcuni colleghi si pensava addirittura di fare una sorta di teatro-giornale che affrontasse i fatti della settimana (in fondo è la stessa evoluzione che poi ci ha portato a RadioMafiopoli) e l’idea piaceva a molti nonostante le difficoltà tecniche e di spazi.

Non so dire perché si sia spenta l’urgenza di essere contemporanei nei temi del fare il cantastorie, affidandosi piuttosto ad una memoria che se sta lontana nel tempo risulta più facile e comoda. Forse sarà che la crisi ha spento anche la voglia (e la forza) di ricamare arte su una male ultimamente misero e banale oltre che ciclico e breve all’inverosimile.

Per questo il progetto di Massimo Bubola, ‘InstantSongs‘, è un passo coraggioso e notevole: perché Massimo è stato un cantastorie già entrato nella letteratura e ha deciso di non riposare.

Il manifesto è chiaro:

Il sito ed il progetto “Instant songs” vuole ricondurre la canzone alla sua funzione originaria: cioè quella di raccontare i personaggi e i fatti salienti del nostro tempo e della nostra realtà, con particolare attenzione per quella che oggi viene definita “cronaca nera”. Prima dell’avvento della letteratura scritta, la letteratura orale di Omero ed Esiodo nella Grecia del VII-VIII secolo, era perlopiù cantata e recitata ed era uno dei principali modi per tramandare la storia che si fondeva nella mitologia. Per questo la canzone e la ballata hanno assunto nel tempo una funzione di memoria collettiva. Nel momento in cui si affronta la cronaca con una canzone, la cronaca si espande dai motivi che l’hanno ispirata e diventa epica cioè racconto condiviso, riuscendo a parlarci al di là dei fatti diretti che l’hanno ispirata. Un fatto di cronaca per quanto efferato, per quanto possa colpire e impressionare profondamente l’immaginario collettivo, si esaurisce giornalisticamente, per propria natura, nell’arco di poco tempo. Le instant songs, vorrebbero essere una cronaca in forma musicale che rimane a parlarci, così come le ballate dei cantastorie che ci hanno accompagnato fino ad oggi.

Massimo Bubola ha già scritto in 35 anni tante “instant song” che si sono protratte nel tempo da Cocis, sulla mala del Brenta, ad Alì Zazà, che narrava di un baby killer napoletano, a Don Raffaè* sul rapporti tra stato e anti-stato. Corvi sul conflitto nella ex-Jugoslavia e sui nuovi signori della guerra, Una storia Sbagliata* sulla morte di Pierpaolo Pasolini, Coda di Lupo* sugli indiani metropolitani, Cuori ribelli su un tentativo di insurrezione di indipendentisti texani e tante altre.

La canzone ‘Quante volte si può morire e vivere’ è dedicata alla storia di Federico Aldrovandi (ne abbiamo parlato molto da queste parti)  e arriva diritta alla piazza e al cuore. Come i cantastorie:

E forse vale la pena anche riguardare il docufilm sulla morte di Federico:

Speriamo che prima di allora le biblioteche non siano vuote.

Una cultura che si subordina agli indici d’ascolto, quindi al successo di pubblico, è una cultura persa. Si può fare cultura solo in opposizione agli indici d’ascolto o a dispetto di un indice basso. Quando la tanto decantata varietà dell’informazione si sarà definitivamente svelata come varietà propagandistica, allora si ritornerà con desiderio ai libri. Speriamo che prima di allora le biblioteche non siano vuote.

(Heinrich Böll)

Potevano stare zitte

Quindi Silvio Berlusconi decide di paragonarsi a Enzo Tortora volendo farci intendere di essere vittima di “errori giudiziari” (l’abbiamo capito vero che il senso era questo in previsione di sentenze di condanna?).

La figlia d Tortora puntualizza che le cose non sono proprio simili anzi per niente.

Berlusconi dichiara: “le figlie di Tortora potevano stare zitte”.

Capite perché ogni pacca sulla spalla a questo uomo e il partito che possiede è una manciata di fango sulla politica, sulla democrazia e sulla memoria di questo Paese? Eh, Letta?