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Giulio Cavalli

Chernobyl, provincia di Brescia: il ritorno

La trasmissione Presa Diretta dell’ottimo Riccardo Iacona ha alzato il velo sulla situazione bresciana. La stessa situazione che sul blog (e in Aula) avevamo più volte sollevato anche grazie all’aiuto del sempre puntuale Andrea Tornago. Basta farsi un giro sul blog qui per trovare gli indizi (forse sarebbe meglio dire le prove, forse) di un lavoro faticoso di politica e di informazione che per molti mesi i comitati, i cittadini e le associazione bresciane hanno sostenuto completamente inascoltati dalle istituzioni.

Oggi qualcuno mi diceva che “è vergognoso che queste cose vengano scoperte dalla televisione e nessuno ne parli”. Chi me ne parlava è una persona mediamente informata e politicamente responsabile: una persona sopra la media, verrebbe da dire, dal punto di vista dell’attivismo di cittadinanza.

Ecco, mi è venuto da pensare che forse abbiamo sbagliato anche noi, se non siamo riusciti a raccontare che quegli argomenti li abbiamo portati in commissione, in aula, negli uffici di Regione Lombardia con la costanza che abbiamo provato a mettere in campo. E forse è tempo di aprire una riflessione politica (ma seria) sulla rivalutazione del lavoro che in Aula e in Commissione i partiti (o i movimenti, fate voi) e i politici (che non sono tutti uguali, ahivoi) svolgono con piglio e professionalità. E allora smetteremo di giocare ai salvatori della patria, alle streghe, agli eroi e ai portatori di sogni e torneremmo a parlare di serietà dell’ impegno. E sarebbe una boccata di ossigeno per tutti.

Radiomafiopoli: una chiamata alle armi

Quando abbiamo cominciato a fare Radiomafiopoli eravamo tutti siciliani dentro, in fondo. Anche se di siciliani veri di Sicilia ce n’erano pochi che si contavano sulle dita di una mano: c’era Carmelo che mi ha insegnato la visione disincantata e l’arguzia feroce che sta dentro i palermitani che decidono di prendersi tutto il vento in faccia, c’era Francesca con il piglio di chi ordinatamente colloca le cose e le persone e c’era Pino Maniaci che la satira con l’informazione la serve tutti i giorni come piatto quotidiano.

Poi c’eravamo noi, i non indigeni, che eravamo travolti da questa Sicilia che profumava di fresco profumo di libertà e con una voglia matta (matta, eh, sì) di affilare la parola, la risata, l’amicizia tutti insieme. In fondo l’appuntamento settimanale di Radiomafiopoli, quel mettersi davanti al microfono con la rassegna stampa della settimana e ridere fino alle lacrime durante il montaggio, era un confronto e un conforto con la nostra paura e con il nostro stare così lontani e comunque così insieme. Dentro le mail e le telefonate c’era un ponte. Un ponte.

Ora sono passati anni e alla fine di antimafia e di mafie dentro le carte e nelle parole è scandita la mia giornata. Ebbene sì: un professionista dell’antimafia. Ed è un piacere. Anche se poi alla fine per motivi diversi magari ti accorgi che in fondo il sorriso si è sbiadito, quell’energia così bambina è diventata desueta e malinconica come sono malinconici solo i ricordi e le fotografie di quelli che sorridono in foto ma non ti rispondono più al telefono.

Abbiamo deciso di mettere la nostra malinconia al passo dei tempi per scrollarcela di dosso e per non perdere il nostro scopo originario: non prendersi mai troppo sul serio. Sì, coltivarci il sorriso, il sorriso per serenità, per indignazione, di denuncia, per dovere di informazione e per diritto di non avere paura. Ma comunque il sorriso.

Partiamo. Radiomafiopoli si rimette i vestiti della domenica che aveva lasciato nei cassetti in fondo all’armadio e si esce in piazza. Ogni settimana (tra poco) per “disonorare gli uomini d’onore”. Chi vuole darci consigli, una mano, una notizia o una voce siamo qui. Ora.

Sono andato a riprendere il perché che ci eravamo dati anni fa. Funziona ancora:

«M’hanno chiesto – perché sfottere la mafia? Ho risposto – perché no? Siamo nell’epoca del culto per la credibilità e per l’onore, della comunicazione masticata e poi sputata, della dignità da discount; in tutto questo magma di garantismo avanzano nel borsellino, come la moneta, quelli che a ragion veduta dovrebbero essere il braccio armato della “cosa nostra di chi?” al soldo di qualche incravattato nelle stanze del potere. Perché sfottere la mafia? Perché siamo stanchi di questi falsi miti da fiction che qualcuno vuole convincerci possano tenere sotto scacco una nazione. Perché disonorare la mafia è una questione di onore. Perché è il nostro modo da giullari per urlare il nostro no. Perché fanno ridere mentre si mettono in posa per fare paura. Perché come diceva Peppino la mafia è una montagna di merda. Perché smontare la loro credibilità è il nostro modo per opporsi ad un racket culturale e in più ci divertiamo un mondo».

Nell’uovo

Sarebbe bello avere trovato un Governo presieduto da un cittadino eletto. ELETTO. Sarebbe una buona lezione di democrazia, no?

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Quando le dimensioni contano

A Ferrara mezza città scende in piazza per ricordare Federico, stare vicini alla madre Patrizia e sottolineare l’imbecillità di cani patetici benché feroci, travestiti da poliziotti.

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Saggi, seggi, tsunami e democrazia

untitledE’ Pasqua e passa la voglia di parlare anche oggi di politica, sarà perché in questo campo le resurrezioni sono quasi sempre una pessima notizia.

Non vorrei nemmeno sottolineare per l’ennesima volta come in questo Paese sia impossibile declinare la “saggezza” al femminile: qui le grandi donne al massimo riusciamo a concepirle come sfondo di un grande uomo, alla faccia del rinnovamento.

Non mi viene nemmeno da infliggere lezioni su chi siano Violante e Quagliarello, i due politici (onomatopeici) che hanno firmato pagine politiche troppo mediocri per meritare una santificazione (basta farsi un giro nel web per rinfrescarsi la memoria). Non mi piacciono i saggi e non mi piace la soluzione.

Una riflessione però vorrei farla: doveva essere il Parlamento di svolta per la democrazia diretta, la rappresentanza, le scelte dal basso, e invece ci ritroviamo dieci persone che sono state nominate (nominate) da un Presidente della Repubblica (che, nonostante l’autorità non è propriamente l’espressione della rappresentanza diretta). Non solo siamo passati dai tecnici ai saggi ma ancora una volta inghiottiamo il metodo del “porcellum” nobile che dall’alto ci indica le intelligenze. Auguri, ne abbiamo bisogno.

p.s. (e SEL?)

 

Antimafia di quartiere

CL176x300_9231Un progetto di Terre di Mezzo, agenzia Codici e il Consiglio di Zona 9 del Comune di Milano che prova “su strada” ad ascoltare e fare antimafia. Il federalismo dei curiosi “scassaminchia” in ogni quartiere è il federalismo che serve.

Un gruppo di giovani volontari scout, di Libera e del comitato di quartiere, sta battendo palmo a palmo le vie Farini, Thaon de Revel, Sassetti, De Castillia e Pepe per consegnare il questionario. Partner dell’iniziativa sono l’agenzia di ricerche sociali Codici, che ha curato la formazione dei volontari, e il Consiglio di zona 9, che ha dato un contributo di 2.500 euro. “Il nostro auspicio è di avere un quadro complessivo di quanto stia accadendo all’Isola e speriamo che questa fotografia non sia eccessivamente negativa. In ogni caso, siamo pronti ad affrontare qualunque risultato”, dichiara Beatrice Uguccioni, presidente del parlamentino di zona 9. In questi anni non sono mancate le segnalazioni al Consiglio di zona di episodi sospetti. “Confido che con l’iniziativa di Terre di mezzo, commercianti e cittadini si sentano affiancati. Bisogna tenere alta l’attenzione, promuovendo sempre più incontri e dibattiti sul tema mafia”, conclude Uguccioni.

“L’effetto positivo è che così si inizierà a parlare in quartiere della presenza e degli interessi mafiosi -aggiunge David Gentili, presidente della Commissione consigliare antimafia-. Mi aspetto inoltre che dai risultati del questionario si possa capire perché ci sono continui cambi di licenza e attentati incendiari”.

L’episodio più inquietante è avvenuto il 28 settembre 2011, quando è andato a fuoco lo Sugar Lounge di via Alserio 9, bar che compare nell’inchiesta Redux Caposaldo che sei mesi prima aveva portato in carcere Davide Flachi, figlio del boss della ‘ndrangheta Pepé Flachi. Nella stessa via, negli anni precedenti, avevano subito attentati incendiari anche una videoteca e un ristorante. “Ci sono persone che aprono nuovi locali e ti chiedi con quali soldi, data la crisi che c’è. So quanto serve per iniziare e non è poco”, ci ha detto un commerciante qualche settimana fa. Un altro dice di non aver mai sentito notizie di minacce, ma non si sbilancia. Si sa che tra i commercianti si tende a non toccare certi argomenti. Chissà se un questionario anonimo non faccia venir la voglia di parlare.

Per approfondire: un articolo pubblicato sul Corriere della sera (27 marzo 2013) racconta il progetto (leggi, qui).
Per dare il proprio contributo al progetto (segnalazioni, suggerimenti, contatti): redazione@terre.it 
Per seguire gli step: Twitter @terredimezzo #isolalamafia 

La rinocentite e la casta

In tempo di facilonerie e pancismi un articolo equilibrato, finalmente, di Alessandro Campi per Il Messaggero:

basta-castaPersino Maurizio Crozza – che è un grande professionista, ma rimane pur sempre un comico – alla fine ha riconosciuto che «forse stiamo esagerando». Sentire i presidenti delle Camere che all’unisono, appena eletti, annunciano in diretta televisiva di essersi ridotti lo stipendio (ma perché solo del 30%? perché non rinunciarvi del tutto?), leggere di un parlamentare grillino messo sotto accusa dai suoi colleghi per aver mangiato al ristorante di Montecitorio invece che alla mensa, tutto ciò dà il segno – ha sostenuto Crozza – di «una escalation assurda».

Se continua così, ha concluso fra le risate del pubblico, fra qualche tempo qualcuno si inventerà in televisione un’inchiesta-denuncia su un onorevole sorpreso a mangiare una brioche con crema all’autogrill di Roma Sud. Uno scandalo, ovviamente, visto che i parlamentari degli altri Paesi europei le brioche le mangiano vuote. E chi la paga la crema se non i poveri contribuenti italiani?

La verità, messa in luce da uno spettacolo satirico ma che si ha evidentemente paura di sollevare a livello di dibattito pubblico, è che la campagna mediatica contro la casta e gli sprechi della politica è sfuggita di mano a coloro che, nel corso dell’ultimo decennio, l’hanno meritoriamente promossa. Ma il loro obiettivo, apprezzabile dal punto di vista dell’impegno civile, era la riforma del sistema dei partiti, non la sua paralisi o peggio la sua distruzione.

Una riforma peraltro sostenuta da argomenti che ormai oscillano sempre più tra la demagogia e l’invettiva vera e propria. Nata per denunciare i costi oggettivamente esorbitanti delle assemblee rappresentative (centrali e periferiche) e in genere della macchina burocratico-istituzionale italiana, per mettere a nudo la corruzione dei singoli e i molti privilegi, diretti e indiretti, connessi allo svolgimento di ruoli e incarichi politici, tale campagna ha tuttavia finito per gettare una sorta di discredito generalizzato, un’ombra di sospetto permanente, su chiunque occupi uno scranno o svolga una funzione di governo, avallando implicitamente l’idea che la politica sia in sé un affare sporco.

Il trionfale ingresso di Grillo e dei suoi seguaci nelle aule parlamentari è in gran parte da attribuire proprio a questo sentimento collettivo, che da anni è largamente ostile alla politica e ai suoi attori tradizionali. Sentimento che Grillo – un Savonarola nell’epoca dei social network – ha capitalizzato, accomunando destra e sinistra in una condanna senza appello.

La sua vittoria ha spinto tutte le altre forze politiche, frastornate e impaurite, ad assecondarlo a costo di sfondare il limite del grottesco. Tutto, ivi comprese le trattative politiche più riservate e delicate, deve essere reso trasparente e accessibile. Ogni atto o parola deve essere ripreso in video e sottoposto al giudizio del pubblico. Ogni spesa, ivi comprese caramelle e penne a sfera, deve essere documentata scontrino alla mano.

Non c’è competenza o carriera professionale, non c’è funzione o incarico, per quanto delicato e prestigioso, che possa giustificare uno stipendio o una pensione che offenda l’amor proprio (o stimoli l’invidia sociale) di un pensionato, una casalinga o uno studente fuori corso. Tutti – purché cittadini – possono occuparsi di tutto e svolgere qualunque mansione, in omaggio all’idea che le istituzioni funzionano in virtù della volontà e dei desideri di chi momentaneamente se ne appropria, non delle conoscenze tecniche di chi opera stabilmente al loro interno.

Ma non basta. Ogni esperienza politica pregressa, aver già ricoperto un incarico pubblico o un mandato politico, è da considerarsi con sospetto, in una versione aggiornata e un tantino ridicola del delirio rivoluzionario che nella Cambogia degli anni Ottanta spingeva i seguaci di Pol Pot a deportare nelle campagne o eliminare chi indossava un paio di occhiali o possedeva un titolo di studio, e a consegnare il potere ai fanciulli.

E guai naturalmente a farsi vedere in un ristorante del centro, meglio recarsi a piedi in Parlamento, tutti a chiedere di tagliare: stipendi, province, rimborsi, numero dei deputati e dei senatori, auto blu, scorte, appannaggi, pensioni, in una gara nella quale il qualunquismo travestito da morigeratezza sembra superato solo da un’ipocrita insipienza.

Per chi si ricorda di Ionesco e del teatro dell’assurdo, sulla scena politica di queste settimane sembra essersi realizzata la trasformazione di milioni di italiani – ivi compresi opinionisti eccellenti e politici di lungo corso – in rinoceronti impazziti che caricano senza risparmiare nulla, mossi dallo spirito di rivalsa e dal desiderio di fare tabula rasa.

La “rinocerontite”, come la chiamava il drammaturgo romeno, sembra aver colpito la maggioranza e si va diffondendo come un virus. E l’unico che abbia sin qui avuto l’ardire (e il buon senso) di opporsi a questo delirio febbrile sembra essere stato Crozza, un uomo di spettacolo ma per sua fortuna ancora politicamente pensante.

L’ingenua prova contraria

bersani-crimi-lombardi-620x350Scriveva anni fa Stefano Rodotà (che forse Bersani avrebbe anche potuto ogni tanto consultare) che l’uomo di di vetro è una metafora totalitaria. Lo riscrivo: l’uomo di vetro – l’idea stessa che il cittadino che non ha nulla da nascondere debba poter essere interamente esplorato – è una metafora totalitaria. Vale per l’ultimo di noi ma vale, almeno in parte, anche per i nostri rappresentati in Parlamento. E non è un caso che Beppe Grillo inneggi ad una sua personalissima idea di trasparenza a corrente alternata, dove l’unanimità dei parlamentari grillini è ottenuta in segreto e diventa comunicazione fiduciaria (perché come ha sostenuto la povera Lombardi oggi senza nemmeno accorgersi delle enormità che le uscivano di bocca loro sonocredibili) mentre il punto di vista di chiunque altro (tutti gli altri sono invece per definizione gli “incredibili”) resta il risultato di un commercio sottobanco fino a prova contraria. E la prova contraria, l’ingenua prova contraria nella mente dei semplici è la presenza della telecamera.

(Massimo Mantellini via manteblog)

Expo 2015 e la società abusiva che controlla gli abusivi

Villa-campaaAbbiamo detto che il controllo degli accessi nei cantieri Expo è un nodo cruciale per evitare le infiltrazioni. Dico: ce lo siamo detti in tutte le salse, in tutte le serate di campagna elettorale, in tutti i convegni, in tutti i libri senza bisogno di essere saggi o ex ministri degli interni o professori.

Ogni tanto mi viene il dubbio che a qualcuno basti avere la soddisfazione di esprimere la propria analisi più o meno autoreferenziale (quando almeno è un’analisi e non solo una declamata masturbazione), che a qualcuno basti potere dire “l’avevo detto”, “vi avevo avvisato”, “era prevedibile” e ci si dimentichi del pezzo del “fare”.

Perché il “fare” oggi dovrebbe essere (correggetemi, vi prego, se sbaglio) quel potente signore ex ministro con gli occhialini che siede nel piano alto di Palazzo Lombardia e i garanti (a tutti i livelli politici, Comune incluso) delle varie commissioni e delle centinaia di protocolli “per la legalità” che ci propinano tutti i giorni con una santa conferenza stampa, tutti i giorni.

Perché non si capisce se il nodo degli accessi ai cantieri è un punto nevralgico per l’antimafia in Expo, ecco, non si capisce come possa succedere che la cooperativa CMC (che non è proprio di destra, diciamo) affidi la sicurezza dei cantieri alla Pegaso srl che da una denuncia per mancati pagamenti scopriamo non avere nemmeno le carte in regola per svolgere quel lavoro.

Come dice bene MilanoX “sono insomma degli abusivi che controllano che non ci siano abusivi nel cantiere.” 

O in fondo sono abusivi gli “esperti dell’antimafia” che qui hanno raccolto qualche briciola di troppo di credibilità.

 

‘Ndrangheta a Milano, i Pelle, la coca e gli spari alle vetrine

saracinesca_internaLa notte tra venerdì e sabato 23 marzo 2013, le serrande del lounge bar Stardust sono state colpite da cinque proiettili. Due giorni dopo il locale doveva essere comprato da un imprenditore milanese. Ex titolare è Giovani Scipione legato alle cosche di San Luca.

Cinque colpi di pistola contro le serrande di un locale in piazza Bernini a Milano. L’ultimo capitolo dell’infiltrazione mafiosa nel cuore dell’ex capitale morale d’Italia riparte da qua. Dalle tre vetrine dello Stardust. E da quei fori di grosso calibro penetrati all’interno fino a mandare in frantumi le vetrate del bancone di questo lounge bar di lusso. Il locale è stato chiuso circa un anno fa, dopo che uno dei suoi titolari è inciampato in un’indagine su un massiccio traffico di droga coordinato da Angelo Antonio Pelle, originario di San Luca, legato alla famiglia Giorgi, a sua volta coinvolta nella strage di Duisburg del 15 agosto 2007‘Ndrangheta ai massimi livelli, che, stando alla ricostruzione fatta dalla squadra Mobile di Roma e dal Ros di Milano, sotto la Madonnina aveva la sua centrale della cocaina. Qui la polvere arrivava dal Sudamerica per poi scendere verso la Capitale.

L’indagine romana si chiude nel maggio del 2012 con 40 arresti. Parallelamente a Milano indaga il Nucleo operativo speciale all’epoca comandato dal colonnello Alessandro Sandulli. Obiettivo: fotografare gli interessi delle cosche di San Luca in riva al Naviglio. In questo modo i militari arrivano in piazza Bernini davanti allo Stardust. E non a caso. Visto che uno degli ex soci del locale con una quota del 20% è Giovanni Scipione, nato a Locri nel 1981, ma residente a Milano in via Andrea Costa. Scipione sarà arrestato dalla squadra Mobile di Roma perché organico al cartello dei narcos calabresi con un ruolo preciso: “Offrire rifugio e assistenza logistica ai latitanti, mettere a disposizione schede telefoniche e auto a noleggio, da usare per i trasporti”. E infine “curare la gestione della ricezione della cocaina e del successivo smistamento delle partite nel mercato illecito”. Capo d’imputazione sostanzialmente identico per il fratello Santo Rocco, anche lui residente in via Andrea Costa. I due risultano nipoti di Santo Scipione, alias papi, classe ’33 oggi latitante. L’anziano trafficante inoltre risulterà in costante contatto con Angelo Antonio Pelle. Per chiudere il quadro ecco le parole del giudice per le indagini preliminari Massimo Di Lauro. “Nel capoluogo lombardo, Angelo Pelle ha sfruttato la disponibilità dei due fratelli Scipione”.

E così mentre nella Capitale, la squadra Mobile comandata di Vittorio Rizzi scrive la mappa delle piazze di spaccio, al nord i carabinieri riannodano rapporti e contatti. Intercettazioni, tabulati telefonici e servizi di appostamento delimitano la zona della città, compresa tra via Padova, via Porpora e piazzale Loreto. Una fetta di Milano che in passato ha fatto da sfondo agli affari criminali del boss Giuseppe Onorato regolati ai tavolini dell’Ebony bar di via Ampere. Stessa strada dove abita il siciliano Giuseppe Bellinghieri, alias Pippo l’americano, il quale tiene i rapporti tra Pelle e i fratelli Scipione. Nel 1998 viene coinvolto in un traffico di auto di grossa cilindrata. All’epoca la squadra Mobile di Milano annota: “Giuseppe Bellinghieri, personaggio scaltro e intelligente, dalla spiccata proclività a delinquere, ritenuto appartenente ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso per i suoi assidui contatti con Angelo Epaminonda”. E ancora: “Il 27 giugno 1991 personale del I Commissariato di Roma lo sottopose a controllo di Polizia unitamente al pregiudicato Salvatore Contorno, noto esponente della mafia siciliana”.

Via Ampere, via Andrea Costa, non distante piazza Bernini e lo Stardust. Questa la geografia delle potenti cosche di San Luca a Milano. Geografia ancora parziale visto che dopo gli arresti di Roma, anche il Ros sospende le proprie informative. Agli atti, però, restano i dialoghi catturati da una microspia piazzata nell’appartamento milanese degli Scipione. All’interno della casa, gli investigatori trovano il passaporto di Rocco Santo Scipione. Annotano: “Attraverso l’esame del timbro apposto dall’Ufficio Immigrazione, si rilevava che lo stesso era rientrato in Italia in data 29.05.2010, proveniente dalla Colombia”. Di più: al civico 33 di via Andrea Costa troverà alloggio Angelo Pelle, durante il periodo della sua latitanza, ma anche Luigi Martelli, luogotenente del boss incaricato di coordinare il traffico di droga tra Roma e la Calabria.

L’ultimo capitolo di questa storia (ancora tutta da scrivere) si chiude così tra la sera del 22 marzo e la mattina del 23 marzo 2013. Poco dopo le tre, la custode del palazzo di piazza Bernini viene svegliata da quelli che lei pensa siano petardi. Sono, invece, colpi di pistola. Cinque, tutti contro la serrande di sinistra dello Stardust. La scoperta sarà fatta solo il lunedì successivo, quando davanti al locale si presentano i due nuovi acquirenti, padre e figlio che vogliono rilevare il locale dal vecchio titolare, una donna sudamericana che dopo averlo preso non lo ha mai aperto. Impossibile, però, sapere perché. Certo le coincidenze degli spari due giorni prima dell’arrivo dei nuovi compratori insospettiscono e non poco la polizia che ben conosce il passato criminale dello Stardust.

(da Il Fatto Quotidiano)