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Giulio Cavalli

Ecco, sarebbe da imparare anche dalle nostre parti

Leggevo (lo so, è inaspettato da parte di un consigliere regionale in Lombardia) e pensavo allo snobismo che sta prendendo piede qui in tutti questi anni e (ci interessa di più) nella Lombardia milanocentrica di un pezzo del centrocentrosinistra. E ho trovato questo, che sarebbe da tenere a mente prima di lanciarsi in spericolati civismi partecipati e partecipativi nella forma e diversamente nei contenuti:

[…] Un’altra cosa contribuì ad offendermi: il modo arrogante, tipico dell’alta società, col quale invece di rispondere alla mia domanda e fingendo anzi di non averla sentita, l’aveva interrotta con un’altra, come per farmi notare che m’ero spinto troppo in là, mi ero preso troppa confidenza osando rivolgergli simili domande. Per questa tattica dell’alta società nutrivo un’avversione che rasentava l’odio.

Fëdor Dostoevskij, Umiliati e offesi (Einaudi tascabili, pagina 224)

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No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere.

Nei miei tanti incontri con i ragazzi delle scuole non tralascio mai di ricordare loro il monito di un giovane martire della Resistenza modenese, Giacomo Ulivi, studente diciannovenne, fucilato dai fascisti nel novembre del 1944. Prima dell’esecuzione nella sua lettera agli amici scrive: «No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto ciò è successo perché non ne avete più voluto sapere». Esortazione a tutti coloro che, ancora oggi, non ne vogliono più sapere e, sfiduciati, si ritraggono dalla lotta per quel mondo diverso che noi resistenti sognavamo.

[Germano Nicolini con Massimo Storchi, Noi sognavamo un mondo diverso, Reggio Emilia, Imprimatur 2012, pp. 89-90]

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Non hai visto Silvio?

img1024-700_dettaglio2_big_Berlusconi-Santoro-2Me lo chiedono in molti: essersi persi il duello Berlusconi – Santoro evidentemente è una colpa da espiare con dolore per una settimana buona.

Però ho letto Giorgio stamattina sul suo blog e concordo con lui quando dice: credo che il fenomeno di cui parli non abbia evoluzioni significative: credo anzi si ripeta in una modalità sempre identica. Forse, invece, dovremmo domandarci perché lo spirito critico di chi vi assiste non è maturato. E spesso si accontenta della critica sotto forma di un tweet sarcastico, o dello spettacolo stesso cui ha partecipato Berlusconi – uno spettacolo ben impostato, ma che obbediva alle regole stesse del suo sistema.

E già mi ero annotato le sue parole di marzo quando scriveva a proposito del berlusconismo e dell’approccio di questo Paese al berlusconismo:

La domanda è ora se siamo finalmente immuni da questo germe. Io non credo. Che il suo aspetto più ridicolo e grottesco sia sopito non è una buona ragione per ritenere la guarigione avvenuta. Meglio procedere con maggiore cautela.

Quello che sembra ragionevole dire, invece, è che ci troviamo di fronte a un abisso narrativo. La dialettica berlusconismo/antiberlusconismo ad ogni costo è stata svuotata: il palcoscenico appare deserto. Questa è un’ottima notizia: le modalità di lettura del reale saranno costrette a uscire da una gabbia che ci ha inchiodati per anni. Eppure, una nuova strada per raccontare l’Italia del presente è ancora tutta da trovare.

Perché una tossina del berlusconismo particolarmente complessa da smaltire è proprio questa: il disinteresse per la verità. La naturalezza con cui le dimensioni più importanti del discorso pubblico — argomentazione, approfondimento, dialogo — vengono sepolte da tutt’altro: la facile reazione di pancia, l’enfasi ad ogni costo, la legittimazione strisciante dell’egoismo. Tutto questo non è scomparso con il novembre 2011. È ancora lì. Non ci siamo trasformati di colpo in un popolo responsabile, cosciente e pronto a mettere il bene comune di fronte a quello privato.

Abitiamo un Paese che ha alle spalle un’autentica catastrofe dell’immaginario. Il modesto consiglio che si può offrire è quello di non pensare di averla già superata, ma di adoperarsi fino in fondo per superarla realmente.

Gaber diceva di non temere “Berlusconi in sé, ma il Berlusconi in me”. A costo di essere un po’ pessimista, io temo la facile e improvvisa scomparsa di questo “Berlusconi in me” dal palcoscenico delle nostre anime. Essersi sbarazzati di lui politicamente — ah, ma sarà davvero così? — non corrisponde affatto a una liberazione simbolica. Gli ultimi mesi non sono una forma assolutoria per ciò che il berlusconismo — un affare ben più ampio e complesso del singolo individuo — ha determinato.

Per combattere un virus linguistico e morale come questo ci vuole un grosso sforzo. Limitarsi a darlo per morto significa reiterare la solita mancanza d’intransigenza di cui l’Italia ha dato prova nel corso della propria storia: dimenticare rapidamente un passato difficile, invece di farne i conti fino in fondo. Per quanto complesso o doloroso possa essere.

Allora vale la pena rileggersi il libro di Giorgio Fontana “La velocità del buio” e studiare il senso del narcisismo e delle sue infezioni.

 

E quella che era una visione è un modo di vivere. Il mio modo. Adesso.

Ci sono vite passate sott’acqua. Anni nell’acquario a nuotare tra le bollicine artefatte sparate un tot al minuto. Come una vita passata con gli occhialini appannati sotto il livello del mare.
Poi emergi. Nelle cose vere. Nella vita vera veramente.
E poi ami, amo, sei amato, sono amato.
Ed è un minuto in cui si scioglie tutta una vita. E quella che era una visione è un modo di vivere. Il mio modo. Adesso.

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L’ultima volta. Giuro.

roberto-formigoni-770x513Perché ho deciso da tempo di non dare retta a ciò che dice quell’egocentrico millantatore che è Roberto Formigoni, degno delfino dell’impunito visto ieri sera mentre trasformava la politica in paradosso per di più divertendosi pure.

Ma Formigoni che non ha nemmeno lo spessore per rivendicare una sana incazzatura (che in fondo gli spetterebbe) contro la Lega e recita la parte della pecorella ravveduta nei confronti della Lega rende bene l’idea dello spessore politico di un governatore forte delle proprie mura ventennali piuttosto che delle proprie pratiche di governo. Forse perché la Lombardia dovrebbe essere l’Ohio e invece sembra sempre un quartierino simile a quelli di lodigiana memoria (memento Fiorani, semper) dove l’aggregazione (ance nelle sue forme criminali) conta più del consenso.

“Lavorerò con il Pdl per Maroni” ha dichiarato oggi Formigoni in conferenza stampa mettendo il timbro (non che ce ne fosse bisogno) ad un’allegra brigata che vorrebbe avere la faccia pulita del candidato ex Ministro dell’Interno e invece ha lo stesso odore di sempre. Di sempre. Solo con 17 anni alle spalle  e qualche arrestato in più di un anno fa.

Carcere e diritti umani: chi ce lo fa fare?

penitenziario_progetto_Maria Fux_danzaterapia_danza_Valentina_Vano_Milano_riabilitazione_sociale_arti terapie_carcereUna riflessione del Comandante della Casa Circondariale di Chieti Valentino Di Bartolomeo che in carcere ci lavora e che vive la quotidianità di una situazione che ha bisogno di condanne europee per fare notizia una volta all’anno. Eppure in questi due anni eravamo proprio in pochi a visitare con insistenze le carceri lombarde (approdo facile, tra l’altro, di troppi nostri colleghi consiglieri regionali) e ogni volta è un dolore per un dramma che non riesce a soffiare all’esterno tra le sbarre. Una Lombardia più attenta e etica per il futuro non può non passare da un Garante che lo sia davvero e una commissione che costringa il Governo ad intervenire, almeno a dare una risposta. Una risposta diversa da un “eh, sì ci dispiace” recitato una volta all’anno.

Già mesi addietro avevo espresso le mie perplessità circa l’uso del termine sovraffollamento riferito al contesto carcerario italiano, perché a mio giudizio evoca la spontaneità dell’afflusso di persone verso luoghi di festa e quindi con l’espressione “sovraffollamento” si riesce ad edulcorare la situazione amara dei luoghi di pena della Penisola (le isole le hanno sconsideratamente chiuse da anni). Nel caso del carcere faremmo meglio ad esprimerci con il termine di “ammucchiamento”, perché i detenuti così stanno, “ammucchiati”. E’ infatti condivisibile la teoria secondo la quale le carceri scoppiano di gente solo perché la società “inventa” reati ed attua così il controllo sociale.

Oggi, 8 gennaio 2013, mentre da solo a casa consumavo un panino, il telegiornale mi ha informato, in prima notizia, che l’Europa ha condannato ancora l’Italia per violazione dei diritti umani nelle nostre prigioni, ove gli spazi sono angusti, le condizioni minime di dignità non sono garantite, i detenuti convivono ammucchiati. Non solo per una questione di metri quadri a disposizione, quanto per le carenze di attività, per quello che nel gergo carcerario si definisce “ozio forzato”. Gli addetti ai lavori ed i detenuti lo sapevano e lo sanno che nelle carceri si vive male.

Ascoltando il telegiornale però ho scoperto che anche il Ministro si aspettava che l’Europa ci condannasse, anche il Ministro condivide lo stigma verso le condizioni di detenzione, anche il Ministro si è messo nella posizione di coloro che hanno condannato le condizioni di vita in cui vengono costretti i detenuti.

Eppure mi hanno insegnato che il Governo, l’Amministrazione, i mega dirigenti, sono bravi se riescono a gestire bene con le risorse che hanno: economiche, umane, strutturali, normative. L’acqua usata da Pilato per lavarsi le mani, oggi è stata sostituita da una espressione semplice ed abusata: “Io lo avevo detto, io lo avevo previsto”. Quanto ci piacerebbe sentire: “Con il poco che ho, questo è quello che ho fatto”; facendo seguire all’incipit l’elenco del quanto fatto.

Io sono un addetto ai lavori. Sento solo slogan e frasi coniate: sorveglianza dinamica, regime aperto, riperimetrazione degli spazi. Nessuno che spieghi, con parole semplici, quale articolo dei Decreti abbia fatto modificare o proposto di modificare, quale circolare abbia elaborato, quale filosofia della pena condivida (se ancora esiste una filosofia della pena).

Ed anche: se la Corte di Strasburgo ci ha concesso un anno di tempo per adeguare il trattamento riservato ai detenuti agli standard europei di dignità, il Ministro e l’Amministrazione hanno un progetto o vorranno ancora lamentarsi di una presunta inerzia del Senato? E gli oltre 500 ricorsi già incardinati avanti la Corte europea dei diritti dell’uomo?

Non sono pervenute circolari a firma del Ministro, nemmeno del Sottosegretario. Non dico che avrebbero risolto il problema ma almeno lo avrebbero definito compiutamente, analizzato, fornito di legittimazione politica nelle proposte di soluzione. Macchè! La politica, anche questa politica dei tecnici, mi pare si tenga ben lontana dai problemi del carcere e del cosiddetto “sovraffollamento”. Si tiene lontana dalla dignità dell’uomo.

Ma, soprattutto, la governance, (come si fa chiamare oggi per non essere identificata), sconosce anche le buone prassi di chi veramente lavora e non le utilizza per evitarci le condanne dell’Europa. Ed allora, a lavorare bene senza che ci venga almeno riconosciuto, chi ce lo fa fare?

ma che poi chi lo sa chi eravamo


Gli facevo questo sorriso in questo vetro, che dietro si vedeva la strada con quelli che passavano e poi più indietro dall’altra parte della strada, nello scuro del parco Tiburtino, s’incominciavano pure a vedere questi articoli dietro la rete della serranda abbassata, che parevano pure qui tutte tazze, bicchieri, altri pezzi che non si capiva, e in mezzo a questi che pareva che eravamo noi che stavamo a guardare, ma che poi chi lo sa chi eravamo, e tutto quanto che era.

Franco Lucentini, Notizie degli scavi

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Tutto il resto, da questo momento e per sempre, io lo spengo.

motivi-spegnere-la-televisione-effetti-negativiE spesso mi capita di sentirmi urtata da ciò che leggo.
Politici concentrati sulle liste e nemmeno lì sanno dare un segnale di cambiamento.
Politici che parlano a vanvera di cose che non conoscono.
Politici che non hanno la minima idea di cosa significhi andare a dormire con la spada di Damocle , che pende inesorabile sulla testa, di un mutuo o di un affitto che non si riuscirà a pagare.
Politici che non sanno niente della vita che si svolge fuori dai Palazzi perché altrimenti parlerebbero di lavoro, andrebbero nelle ditte con gli operai, penserebbero a ridurre tutte le spese inutili e non lascerebbero morire un paese sotto il peso delle spese militari o di altri sprechi di cui sentiamo parlare ogni giorno.
Quella che vedo non è politica come non reputo giornalismo quello che ancora gli da spazio.
Per questo anche stasera il mio televisore rimarrà spento, perché la mia vita non ruota intorno a quella di un megalomane, non ruota intorno a chi lo vede ancora come avversario e si concentra su questo piuttosto che mettere in atto proposte concrete.
La mia vita ruota intorno a bollette da pagare, un lavoro da salvare.
La mia vita ruota intorno alle persone, quelle che conducono un’ esistenza reale.

Tutto il resto, da questo momento e per sempre, io lo spengo.

Il post su lamartocchia mi è stato segnalato via twitter da Marta ed è il sentire comune che si ascolta per strada e tra gli amici. Ma soprattutto è l’orlo che sarebbe il caso di cominciare a riconoscere (e rispettare) il prima possibile.

Perché abbiamo chiesto la partecipazione dei civilissimi elettori per le primarie nazionali, per le liste locali e per le decisioni politiche in questi ultimi mesi. Abbiamo chiesto di entrare nella vita politica attivamente e ora ci si chiede quando la politica attivamente possa ascoltare la richiesta di entrare nella vita sociale. Perché una nuova composizione delle liste funziona se cambiano (e si evolvono) i processi di ascolto i ruoli attivi dei partiti. Perché ora è il caso di mollare le segreterie e la modulistica e provare a chiedere in piazza o sui piazzali delle fabbriche cosa è mancato in questi ultimi anni e cosa serve nella prossima Italia e nella prossima Lombardia. Perché sarebbe ora di iniziare la campagna elettorale comune (e la politica comune soltanto può occuparsi dei beni comuni) smettendo di coltivare diffuse campagne elettorali personali. Perché il privilegio peggiore che la politica si è concessa (e abbiamo concesso alla politica) è quello di essere scollegata, fuori, altro e quindi inevitabilmente spenta.

Magari questa sera dedicarla a qualche riunione di quartiere piuttosto che guardare la preistoria in prima serata.

Ripartire dalla cultura

Un impegno chiaro e definito sulla cultura. L’appello Ripartire dalla cultura è molto di più di una semplice raccolta firme: un impegno preciso. Che volentieri sottoscrivo (e vi invito a sottoscrivere) per declinarlo il prima possibile qui nella Prossima Lombardia che sarà.

 

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Promotori:

MAB Musei Archivi Biblioteche:
AIB – Associazione Italiana Biblioteche
ANAI – Associazione Nazionale Archivistica Italiana
ICOM Italia- International Council of Museums
Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli
Italia Nostra
Legambiente
Comitato per la bellezza

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Chiediamo che l’azione del Governo e del Parlamento nella prossima legislatura, quale che sia la maggioranza decisa dagli elettori, si orienti all’attuazione delle seguenti priorità.

I promotori e i firmatari del presente appello chiedono di accogliere nei programmi elettorali queste priorità e di sottoscrivere i dieci obiettivi seguenti, che dovranno caratterizzare il lavoro del prossimo Parlamento e l’azione del prossimo Governo. Il nostro sostegno, durante e dopo la campagna elettorale, dipenderà dall’adesione ad esse e dalla loro realizzazione.

  1. Riportare i finanziamenti per le attività e per gli istituti culturali, per il sistema dell’educazione e della ricerca ai livelli della media comunitaria in rapporto al PIL.
  2. Dare vita a una strategia nazionale per la lettura che valorizzi il ruolo della produzione editoriale di qualità, della scuola, delle biblioteche, delle librerie indipendenti, sviluppando azioni specifiche per ridurre il divario fra nord e sud d’Italia.
  3. Incrementare i processi di valutazione della qualità della ricerca e della didattica in ogni ordine scolastico, riconoscendo il merito e sanzionando l’incompetenza, l’inefficienza e le pratiche clientelari.
  4. Promuovere sgravi fiscali per le assunzioni di giovani laureati in ambito culturale e creare un sistema di accreditamento e di qualificazione professionale che eviti l’immissione nei ruoli di personale non in possesso di specifici requisiti di competenza. Salvaguardare la competenza scientifica nei diversi ambiti di intervento, garantendo organici adeguati allo svolgimento delle attività delle istituzioni culturali, come nei paesi europei più avanzati.
  5. Promuovere la creazione di istituzioni culturali permanenti anche nelle aree del paese che ne sono prive – in particolare nelle regioni meridionali, dove permane un grave svantaggio di opportunità – attraverso programmi strutturali di finanziamento che mettano pienamente a frutto le risorse comunitarie; incentivare formule innovative per la loro gestione attraverso il sostegno all’imprenditoria giovanile.
  6. Realizzare la cooperazione, favorire il coordinamento funzionale e la progettualità integrata fra livelli istituzionali che hanno giurisdizione sui beni culturali, riportando le attività culturali fra le funzioni fondamentali dei Comuni e inserendo fra le funzioni proprie delle Province la competenza sulle reti culturali di area vasta.
  7. Ripensare le funzioni del MiBAC individuando quelle realmente “nazionali”, cioè indispensabili al funzionamento del complesso sistema della produzione, della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, per concentrare su di esse le risorse disponibili. Riorganizzare e snellire la struttura burocratica del ministero, rafforzando le funzioni di indirizzo scientifico-metodologico e gli organi di tutela e conservazione, garantendone l’efficienza, l’efficacia e una più razionale distribuzione territoriale.
  8. Inserire la digitalizzazione del patrimonio culturale fra gli obiettivi dell’agenda digitale italiana e promuovere la diffusione del patrimonio culturale in rete e l’accesso libero dei risultati della ricerca finanziata con risorse pubbliche.
  9. Potenziare l’insegnamento delle discipline artistiche e musicali nei programmi di studio della scuola primaria e secondaria e sviluppare un sistema nazionale di orchestre giovanili.
  10. Prevedere una fiscalità di vantaggio, compreso forme di tax credit, per l’investimento privato e per l’attività del volontariato organizzato e del settore non profit a sostegno della cultura, con norme di particolare favore per il sostegno al funzionamento ordinario degli istituti culturali. Sostenere la fruizione culturale attraverso la detraibilità delle spese per alcuni consumi (acquisto di libri, visite a musei e partecipazione a concerti, corsi di avviamento alla pratica artistica); uniformare l’aliquota IVA sui libri elettronici a quella per l’editoria libraria (4%); prevedere forme di tutela e di sostegno per le librerie indipendenti.