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Giulio Cavalli

Pensare e ripensare

Si può cominciare da piccole cose. Creare per esempio un fondo a partecipazione pubblica e privata al quale ogni città e i privati cittadini possano accedere attraverso la presentazione di progetti dai risvolti innovativi e sociali. Conosco personalmente tantissime persone che non vedono l’ora di progettare per la loro città e ci sono in giro per il mondo idee incredibili a cui ispirarsi. Orti urbani, progetti di ‘social housing’, costruzioni eco-sostenibili, creazione di spazi sportivi o aree di incontro in aree e fabbricati dismessi. Diamo sfogo alla sperimentazione e riproponiamo poi, in altri contesti, le iniziative che funzionano ed hanno un costo basso per la collettività.

Un’idea semplice di Emanuele Ferragina. Di quelle così semplici da essere rivoluzionarie in un momento asfittico in cui l’innovazione non riesce nemmeno ad essere elaborata.

Se scompare il popolo

Al­l’i­ni­zio del de­gra­do ci so­no la cri­si del­la po­li­ti­ca e la ca­ta­stro­fe dei par­ti­ti di mas­sa fra gli an­ni ’80 e i ’90. Le ha aper­to la stra­da, e pro­prio nel­lo spe­ci­fi­co sen­so che stia­mo usan­do, la pre­cor­ri­tri­ce, de­va­stan­te av­ven­tu­ra cra­xia­na. Poi è in­ter­ve­nu­ta, par­ten­do esat­ta­men­te da lì den­tro (an­che in sen­so stret­ta­men­te so­cio­lo­gi­co) e for­nen­do al tem­po stes­so al­la po­pu­la­ce una mi­ria­de di mo­del­li as­so­lu­ta­men­te sim­pa­te­ti­ci e imi­ta­bi­li, la lun­ga fa­se ber­lu­sco­nia­na. In­fi­ne, più re­cen­te­men­te, è so­prav­ve­nu­ta, in ma­nie­ra for­se ina­spet­ta­ta ma non ir­ri­le­van­te, una for­te com­po­nen­te neo-ve­te­ro­fa­sci­sta: il fa­sci­smo, quel­lo au­ten­ti­co, è sem­pre sta­to por­ta­to­re di una di­spo­ni­bi­li­tà cor­rut­ti­va pro­fon­da.
Il ri­sul­ta­to è sta­to de­va­stan­te: il po­po­lo ita­lia­no si è di­sgre­ga­to in una se­rie di fram­men­ti, spes­so con­trap­po­sti fra lo­ro e ognu­no al­la ri­cer­ca del­la pro­pria per­so­na­le, in­di­vi­dua­le e/o set­to­ria­le ri­cer­ca di af­fer­ma­zio­ne, di de­na­ro e di po­te­re (esi­ste an­che una va­rian­te lo­ca­li­sti­ca di ta­le dis­so­lu­zio­ne, gra­vi­da tut­ta­via an­ch’es­sa di fat­to­ri di cor­rut­te­la: il le­ghi­smo ne rap­pre­sen­ta il frut­to e l’in­ter­pre­te più au­ten­ti­co).
Dal­lo spap­po­la­men­to e dal­la scom­po­si­zio­ne del­la “fi­gu­ra po­po­lo”, e di co­lo­ro che per un cer­to pe­rio­do di tem­po ave­va­no più o me­no le­git­ti­ma­men­te pre­te­so di as­su­mer­ne la rap­pre­sen­tan­za, è emer­so un nuo­vo ce­to so­cia­le, il re­si­duo im­mon­do che so­prav­vi­ve quan­do tut­to il re­sto è sta­to di­ge­ri­to e con­su­ma­to. Il ve­ro, gran­de pro­ta­go­ni­sta del­la cor­ru­zio­ne ita­lia­na è que­sto ce­to so­cia­le, una clas­se ti­pi­ca­men­te in­ter­sti­zia­le, frut­to del­lo spap­po­la­men­to o del­l’e­mar­gi­na­zio­ne o del vo­lon­ta­rio mu­ti­smo del­le al­tre, pri­va as­so­lu­ta­men­te di cul­tu­ra e di va­lo­ri, igna­ra di pro­get­to, de­pri­va­ta al­l’o­ri­gi­ne e se­co­lar­men­te di ogni po­te­re, og­gi fa­me­li­ca­men­te al­la ri­cer­ca di un in­den­niz­zo che la ri­sar­ci­sca del­la lun­ga asti­nen­za (ol­tre che i con­si­gli re­gio­na­li riem­pie fre­ne­ti­ca­men­te gli ou­tlet, inon­da le au­to­stra­de di Suv, aspi­ra ad una vi­si­bi­li­tà da ot­te­ne­re con qual­sia­si mez­zo, non te­me per que­sto né il grot­te­sco né l’o­sce­no, par­la una lin­gua che non è più l’i­ta­lia­no ma una sua ba­star­da, ri­di­co­la ca­ri­ca­tu­ra). In­som­ma, co­me in un in­cu­bo not­tur­no il so­gno ber­lu­sco­nia­no ha pre­so cor­po.
Ta­le clas­se, non so­lo pro­mos­sa ma an­che fu­ri­bon­da­men­te cor­teg­gia­ta da al­cu­ni, ma an­che au­to­pro­mos­sa in­nu­me­ro­si al­tri ca­si, ha co­min­cia­to a in­va­de­re la po­li­ti­ca na­zio­na­le, si af­fac­cia qua e là nei grup­pi di­ri­gen­ti di ta­lu­ni par­ti­ti, sie­de or­mai in ab­bon­dan­za nel­le au­le par­la­men­ta­ri. Ma ha pre­so già di­ret­ta­men­te il po­te­re in nu­me­ro­se real­tà re­gio­na­li, sot­to e so­pra la li­nea del­le pal­me, a te­sti­mo­nian­za del fat­to che il fe­no­me­no è ef­fet­ti­va­men­te na­zio­na­le, non lo­ca­le.

Alberto Asor Rosa su Repubblica di oggi.

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Si candida

Per scacciare il fantasma del Monti bis e trasformare le primarie, da ennesima faida di partito a occasione di svolta per il Paese, ci vediamo al MAV di Ercolano, sabato 6 ottobre alle 18. Accetto la sfida: per vincerla.

Lo dice Nichi Vendola. C’è un candidato con una netta posizione contraria al montismo. Ora le primarie (e il PD, finalmente) devono sciogliere il nodo.

La Germania archivia Sant’Anna di Stazzema

La Procura di Stoccarda ha archiviato l’inchiesta sulla strage di Sant’Anna di Stazzema: non ci sono documenti che provano la «responsabilità individuale» di 17 persone che erano state accusate dell’uccisione di 560 civili, il 12 agosto 1944. L’indagine era iniziata dieci anni fa: tra gli imputati c’erano dieci ex militari, otto dei quali ancora in vita, condannati all’ergastolo in contumacia dalla Procura Militare di La Spezia nel 2005, per aver partecipato al massacro. E anche Gerhard Sommer, condannato all’ergastolo in Italia, per cui era stata chiesta l’estradizione, negata però dalla Germania. I soldati tedeschi responsabili della strage appartenevano alla 16esima divisione corazzata Reichsfuehrer SS.

Secondo la Procura di Stoccarda, per emettere una sentenza d’accusa nei confronti degli imputati era necessario provare, per ogni singolo imputato, la partecipazione alla strage. E questo non è stato possibile, per la mancanza di documenti. Per la Procura, il fatto che i militari appartenessero alle unità delle Waffen-SS, non basta, da solo, per dimostrare la colpa individuale nell’esecuzione della strage. Inoltre, nonostante i reati di omicidio e concorso in omicidio della strage di Sant’Anna di Stazzema non siano prescritti, per la Procura tedesca non è stato possibile accertare con sicurezza che la strage sia stata un’azione di rappresaglia nei confronti della popolazione civile.

Nella sentenza di archiviazione, si spiega anche che non è stato possibile stabilire il numero esatto delle vittime, perché in quella zona, all’epoca, c’erano molti rifugiati di guerra proveniente da altre parti d’Italia. Secondo i giudici italiani, invece, il numero delle vittime è stato di 560 persone, tra cui 100 bambini. L’eccidio è stato compiuto la mattina del 12 agosto 1944: all’alba, tre reparti delle SS, il gruppo paramilitare del Partito Nazista tedesco, raggiunsero Sant’Anna di Stazzema, un paese in provincia di Lucca, mentre un quarto gruppo chiuse ogni via di fuga dal paese, accompagnati da militari fascisti. (via Il Post)

Ecco perché raccontare storie: per evitare l’archiviazione della memoria o peggio la prescrizione degli eccidi.

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Denunciare una banca

Quando ho letto la notizia che il Governo di Obama ha chiesto i danni a JpMorgan per il crollo dei mercati nel 2008 ho pensato ad un paio di cose d’impulso. Innanzitutto leggendo la cronologia degli eventi e la dinamica dei fatti come li racconta oggi Repubblica:

Il New York Times per la verità scrive che siamo solo all’inizio: e che altre grandi patiranno la gogna. Eric T. Schneiderman, il capo della procura dello stato di New York, non si fermerà certo qui. La causa intentata è civile: non ci sono cioè riflessi penali. E da tempo sono già state aperte d’altronde diverse inchieste che puntano a evidenziare le responsabilità delle singole banche e dei loro singoli amministratori su altrettanti singoli e diversi casi. Ma l’indagine di New York è la prima appunto partorita dalla task force ordinata da Obama. Ha dunque un valore soprattutto politico. Anche perché non entra nel merito dei casi ma si prefigge di stabilire la responsabilità – in questo caso di Bear Sterns – nella lenta e inevitabile esplosione della grande depressione che esplose proprio con la crisi dei mutui.

La denuncia sostiene che Bear Sterns e la Emc Mortgage, cioè il braccio della banca che si occupava dei mutui, truffarono consapevolmente gli investitori che comprarono i pacchetti azionari – che in realtà erano “pacchi” veri e propri.

Le vendite avvennero dal 2005 al 2007: fino insomma alla vigilia della crisi poi esplosa nel 2008. La banca, dicono i magistrati newyorchesi, mentì sulla qualità dei titoli ignorando consapevolmente i difetti pur di vendere le azioni. Di più. Quando uno di questi, diciamo così, difetti fu individuato, non solo la banca costrinse il prestatore dei mutui che formavano le azioni spazzatura a ricomprarsi quelle schifezze: ma ottenne che il riacquisto avvenisse in contanti e – ci mancherebbe – si guardò bene dal rigirare i soldi ai clienti che già avevano abboccato.

Sempre nella denuncia si legge che le perdite sui mutui impacchettati dalla Bear Sterns ammontano alla astronomica cifra di 22 miliardi e mezzo di dollari: un quarto in più di quello che sembrava accertato. E JpMorgan come reagisce? Siamo stupiti che ci abbiano denunciati senza darci la possibilità di spiegare, ha abbozzato il portavoce. E già: come se dopo tutti questi anni, i 7 milioni di posti di lavoro persi soltanto in America, la crisi che da un anno sta bruciando tutta l’Europa, ci fosse ancora bisogno di spiegare.

Basta leggere d’impatto per avere la sensazione di ritrovare una storia ciclica di questi ultimi anni che potrebbe essere accaduta negli USA, che é in fondo anche roba nostra e che si é ripetuta uguale a sé stessa in giro per l’Europa. Come se in fondo un certo modo di fare finanza goda di un’impunità di attenzione oltre che giudiziaria. Una truffa ripetuta senza che i truffati siano riusciti a passare parola (l’informazione, signori) e escogitare le difese (la finanza, appunto).
E poi mi è venuto in mente (un lampo, una cosa del genere) che le volte che mi capita di porre il tema dell’etica nella finanza e nel mondo bancario vedo sempre sguardi attoniti, furiosi o stufati come se fossi un inguaribile idealista che non vuole prendere atto che le cose siano così e non si cambiano, che c’è piuttosto da concentrarsi sulle cose realizzabili. Ed è sconfortante come può essere sconfortante pensare che ci siano battaglie giuste ma già date per perse.

Il secondo dubbio (e anche a New York lo stanno scrivendo in molti) è che questa denuncia caduta poco prima delle elezioni americane abbia un retrogusto spiacevole di propaganda.
È che da noi nemmeno per propaganda si riesce a compiere un atto del genere, nemmeno per quell’antico gioco di racimolare consenso facile abbiamo sentito un uomo di governo alzare la voce contro i piccoli o grandi scandali finanziari di questi anni (e i cittadini truffati) nonostante abbiano riempito giornali e telegiornali. C’è una riverenza servile nei confronti della finanza che impedisce anche l’apertura del dibattito. E allora ho pensato che sarebbe bello almeno per populismo vedere qualcuno alzare la voce. Ma non ci è concesso nemmeno quello. Ci teniamo la politica come “casta” e intanto ci perdiamo il punto dei politici camerieri della “casta” della finanza.

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Incendiano Telejato, accendiamo la voce

Un incendio doloso ha danneggiato gravemente la postazione di Telejatosu Monte Bonifato. Una denuncia è stata sporta dal direttore Pino Maniaci presso la caserma dei Carabinieri di Alcamo. I danni calcolati ammontano a 25mila euro. Che l’incendio fosse doloso non ci sono ormai dubbi, quel che non è chiaro è come sia possibile che le uniche apparecchiature danneggiate siano quelle di Telejato. Si sospetta che il rogo sia partito proprio dal gabbiotto della tv partenicese. Mancano solo tre giorni all’inaugurazione della nuova sede, da cui Telejato comincerà a trasmettere nelle province di Palermo Trapani e Agrigento. La sua voce si sta allargando. E questo fa paura. (qui la notizia)

A Pino Maniaci e a tutta la redazione di Telejato va il mio abbraccio. E va l’abbraccio di tutti coloro che preservano le voci libere in una terra che Pino riesce sempre a perdonare e coltivare di speranza mentre continua a riceverne minacce. Ora vedremo cosa fare e come farlo. Pino non può essere lasciato solo.

Giulio Cavalli a Cremona intervistato dai ragazzi di Controtempo

Giulio Cavalli a Cremona intervistato dai ragazzi i Controtempo
Il terzo appuntamento di “Sei Autori in Cerca di Personaggi”, organizzato dall’Associazione Culturale Giovanile Controtempo ha visto come protagonista Giulio Cavalli, attore, regista teatrake, scrittore e attualmente consigliere regionale in Lombardia.
A cura di Alessandro Lucia

Il senso dei politici (e di Gasparri) per la rete

Gasparri l’ho messo tra parentesi perché annoverarlo nella schiera dei politici mi farebbe passare la voglia di provare a crederci, alla politica ma la riflessione di Francesco su Non Mi Fermo pone un tema che viene sempre affrontato fumosamente (o furiosamente) dagli eletti che salgono sulla giostra dei social come se fosse un’auto blu parcheggiata in pieno entro per comprarsi il pane fresco.

Perché ha ragione Francesco quando scrive:

Perché qui non parliamo solo di Gasparri. Gasparri è il bulletto Polifemo che ha avuto la sfortuna di esagerare in un atteggiamento che però hanno quasi tutti i politici, un errore largamente diffuso: pensano che i Social Network siano come la televisione. Enunciano e quando si rivolgono a qualcuno, lo fanno dall’alto in basso. Oppure semplicemente non considerano, non rispondono.
Le cose, invece, stanno un po’ diversamente da come la pensano. Internet, come ho scritto in passato, è una bestia che ti si può rivolgere contro. Che ti risponde. Non è una platea nascosta dietro una regia televisiva. Attraverso Internet i politici potrebbero finalmente rendersi conto di quello che la gente dice quando da casa li guarda in TV.
Ripenso a mio nonno, che di fronte alle tribune politiche rispondeva incazzato a quei pagliacci in TV, e ai tempi mi chiedevo: chissà cosa penserebbero, se potessero sentirlo.
Ora i social network hanno dato a tutti la facoltà di rispondere, tutti sullo stesso piano. Le regole del gioco è che siamo tutti qui, io e te, noi e voi, con lo stesso diritto di pubblicazione. Questa è Internet, bellezza, e non puoi farci niente, quindi o stai al gioco, oppure te ne vai e lasci spazio a quei politici (soprattutto locali e regionali) che invece i social li usano correttamente, li usano non solo per enunciare, ma anche per interagire, per ascoltare.

Una volta mi chiesero se secondo me i politici dovrebbero avere gli account gestiti da uno staff o fare personalmente. Io risposi che  una regola non c’è, perché anche gli staff, se sono composti da persone che non hanno il “senso” della Rete, possono fare più danni che altro, aumentando quella distanza che certe macchiette della politica pensando di continuare asetticamente ad avere. L’ideale sarebbe una situazione mista, dove il politico sappia partecipare, coadiuvato da una o due persone (di più non ne servono, a nessun livello) in grado di dare presenza, garantire la diffusione e la raccolta di opinioni e anche di insulti, perché ci stanno anche quelli, se hai scelto di fare un certo tipo di vita.
Ma ogni giorno che passa, osservando con occhio da web-antropologo i comportamenti, a volte goffi, a volte sbracati, altre volte completamente insensati, dei nostri politici online, mi ritrovo a disperare sempre di più in un utilizzo corretto del mezzo. E non ci vogliono scienziati della comunicazione, esperti di social media marketing o altre cose esoteriche.
Basta il buon senso.
Internet è una piazza, con le persone tutte lì intorno, senza palchetti. Quello che non faresti in una piazza, non farlo neanche online.
Perché è vero che comunque dietro un monitor si sta belli riparati, ma è meglio non approfittarne, no?
Siamo tutti dei Nessuno.
I Polifemo, qui, si fanno male.

C’è una classe dirigente in questo Paese che sta toccando con mano la propria perdita di cittadinanza per scollegamento dalla realtà. Se succede anche con l’aiuto della rete (e noi possiamo accorgercene e giudicare), tanto meglio.

Una normalizzazione mafiosa e anche sociale (editoriale per “I Siciliani giovani”)

La discussione in corso sul ruolo della magistratura e sugli argini permessi ai magistrati nell’esprimere giudizi politici è la ciclica riproposizione di uno scontro che sembra essere diventato inevitabile in Italia. Un campo di battaglia tra favorevoli e contrari, una tribuna (spesso televisiva) di tifosi delle diverse fazioni che si esibiscono nella continua delegittimazione l’uno dell’altro e ha portato alla banalizzazione di fondo da cui sembra così difficile uscire: ci si dice che in questo Paese esistano poteri buoni e poteri cattivi, dimenticandosi le persone che li interpretano. E il risultato è fatto: giustizialismo contro il partito antiprocure, antipolitica contro politicismi e, quando il gioco sembra farsi duro, complottisti contro innocentisti. E sotto spariscono i fatti, le persone, i riscontri e alla fine la verità.

Ricordo molto bene una mia discussione qualche anno fa quando mi capitò di essere “accusato” da alcuni colleghi teatranti di scrivere spettacoli con giornalisti di giudiziaria e giudici, “è compito degli intellettuali la cultura, mica dei giudici” mi dissero. Erano colleghi che stimo, gente che scrive spettacolo preferendolo all’avanspettacolo, che ha un senso alto dell’arte e della cultura, per dire, ma quello che mi aveva colpito era l’eccesso di difesa legittimato dalla presunzione di un’invasione di campo che non poteva e non doveva essere tollerata. Confesso anche che il concetto di intellettuale oggi, nel 2012 in un’Italia culturalmente berlusconizzata alle radici, è un tipo che mi sfugge perché si arrotola troppo sugli scaffali o nei salotti televisivi di una certa sinistra piuttosto che tra le idee della gente. Un nuovo intellettuale imborghesito e bolso che mostra il suo spessore nel “l’avevo detto” piuttosto che anticipare i tempi come quei belli intellettuali che si studiavano a scuola. C’è la mafia a Milano, l’avevo detto, c’è la massoneria tra le righe del Governo, ve l’avevo detto, c’è l’Europa antisolidale, ve l’avevo detto e via così come una litania di puffi quattrocchi che svettano come giganti per il nanismo degli avversari.

C’è un momento storico negli ultimi decenni che ha svelato l’arcano: 1992-93, le bombe, Falcone e Borsellino, la mafia, Palermo che si ribella, la Sicilia che rialza la testa e per un momento si sente abbracciata da una solidarietà nazionale come non sarebbe più successo. La gente che decide di non potere stare a guardare e la magistratura che cerca la vendetta con la verità: due mondi così distanti, con regole e modi così diversi, spinti dallo stesso sdegno e uniti nella stessa ricerca. Ma non comunicanti. Il popolo con la fame dei popoli, quella tutto e subito, per riempire la pancia di quel dolore e avere almeno una spiegazione e la magistratura ingabbiata tra i veti, la politica, i depistaggi e i falsi pentiti e le leggi che non lasciano spazio all’urgenza democratica. Forse gli intellettuali ci sono mancati proprio lì. Chi poteva avere il polso di quegli anni così caldi e aveva gli occhi per metterci in guardia dai demoni che si infilano nei grandi cambiamenti storici: sono rimasti isolati, inascoltati o morti ammazzati. E tutto intorno un allineamento rassicurante, come chiedeva il popolo sotto le mura; come se la “normalizzazione” non sia stata solo mafiosa ma anche e soprattutto sociale. La rassicurazione normalizzante è stata l’ultima chiave di lettura collettiva. Poi la frantumazione, prima composta come quando si saluta per tornare a casa fino al cagnesco muso contro muso degli ultimi vent’anni.

Per questo mi incuriosisce ascoltare il dibattito sui modi e le parole della magistratura che non tiene conto del percorso che ci ha portato fino a qui, della polvere che si è appoggiata su verità che cominciano a mancare come un lutto piuttosto che un viaggio. Tutto condito con un’etica slegata dalla storia, dagli interpreti della classe dirigente che abbiamo dovuto digerire e dai protagonisti che ci siamo trascinati legati al piede da quegli anni. Non esiste un modus operandi decontestualizzato dal mondo, non sarebbe concepibile nemmeno per un filosofo utopista con fiducia illimitata negli uomini. C’è un tempo per alzare la voce, dopo anni di latitanza degli intellettuali asserviti troppo spesso al padrone di turno, un buco da colmare per tenere in piedi i pilastri della democrazia. Come dice bene Gian Carlo Caselli ci sono stagioni che impongono la parola. E ci vuole la schiena diritta per portarla in tasca, la parola.

(pubblicato per I SICILIANI GIOVANI, il numero è scaricabile dal sito)

Se EXPO assomiglia alla Salerno – Reggio Calabria

La notizia è questa e la scrive Il Fatto Quotidiano:

Expo, la Prefettura blocca un’altra impresa e stavolta il collegamento con la criminalità organizzata è la base della decisione. Un fulmine, il secondo in pochi mesi, nel cielo di Milano e sotto l’arcobaleno di Giuliano Pisapia. Nella serata di mercoledì la Prefettura ha siglato un provvedimento di interdizione nei confronti di un’azienda che opera sui lavori di interconnessione stradale che portano al cantiere dell’Expo 2015. Si tratta della Fondazioni Speciali spa, società parmense di geoingegneria del gruppoItalterra con commesse in tutta Italia che sta ristrutturando la viabilità per congiungere la fermata metropolitana di Molino Dorino con l’autostrada delLaghi A8/A9.

Forse adesso risulta più chiaro perché ci avevamo tenuto tanto a pubblicare su questo piccolo blog un articolo che ci stava a cuore e che ci interessava fosse letto (oh, viene voglia di fare la commissione antimafia 2.0, per dire):

A fare le spese più pesanti del racket dei Nasone, però, è stata la Fondazioni Speciali S.p.A., che ha ottenuto un subappalto per eseguire dei lavori di consolidamento per 850 mila euro sulla A3 all’altezza di Scilla. Hanno aperto i cantieri a luglio del 2011 e in meno di due mesi hanno subito tre danneggiamenti. Il 28 agosto a un impiegato della ditta viene danneggiata l’auto privata. Il capocantiere, che ha capito bene cosa sta succedendo, gli consiglia di «non parlare troppo», di non dire in giro che lavora per la Fondazioni Speciali. «Tu devi fare una cosa Salvo, quell’adesivo che gli hai messo cosi bello carino che si vede lì glielo devi togliere». Spiega, il capocantiere, che prima, quando non serviva, di fronte al recinto c’era una postazione dell’esercito, e che ora che servirebbe come protezione l’hanno rimossa.Poi, per diversi mesi, le acque sembrano essersi calmate. Non per merito, però, delle denunce contro ignoti ai carabinieri: pochi giorni dopo quelle intimidazioni, la Fondazioni Speciali ha accettato di rifornirsi dal bar dei Nasone in paese per la colazione degli operai. Fino a dicembre.Il 3 marzo scorso, allora, il giorno dopo avere messo in piedi un’intimidazione a un’altra ditta che lavorava su altri cantieri dell’autostrada, la cosca si riunisce al solito bar per progettare un nuovo attentato alla Fondazioni Speciali. Gli uomini del clan hanno già fatto dei sopralluoghi, hanno studiato i mezzi per scegliere quale danneggiare. Alla fine decidono di togliere i freni a un compressore e lasciarlo cadere giù per un dirupo. «Là ci sono le ruote, ci sono due pietre. Togli quelle pietre; di qua davanti ha una levetta (incomprensibile) freno a mano (incomprensibile) precipitano di sotto nella strada. Che cazzo ce ne fottiamo!».

Poi pianificano una via di fuga coi motorini, semmai qualcuno capitasse nei paraggi. E una scusa nel caso dovessero essere colti in flagrante. E se i carabinieri non dovessero credere loro, nessun problema: «Che mi interessa? Gli faccio scoppiare in aria!». L’obiettivo della missione è costringere l’azienda a trattare. L’intimidazione deve essere abbastanza grande da spingere gli uomini della Fondazioni Speciali a farsi vivi con i boss. «Io voglio almeno che andiamo al fine di farli venire. Non che io vado e loro dicono: sono stati ragazzini di due anni. Dev’essere un lavoro bello, in maniera da scendere», da farli venire a negoziare. «E se non vengono?». «E se non vengono glieli bruciamo».

Quella notte, il compressore liberato dai freni si schianta contro uno spartitraffico in cemento. La mattina dopo, gli operai della ditta lo trovano semidistrutto. Sopra c’è una bottiglia di plastica piena di una sostanza liquida, tutta avvolta da un nastro da imballaggio marrone. Sembra un ordigno pronto a esplodere, ma la miccia è finta. Serve solo a spaventare.Gli uomini della ‘ndrina però non sono soddisfatti. Quel macchinario non doveva finire sul guard rail: secondo i piani sarebbe dovuto cadere di sotto, nella scarpata. «Non valiamo nulla. Anzi, soprattutto tu non vali niente, perché io – ride, spaccone – io sarei andato. Che cazzo me ne sarebbe fottuto? Io non ho problemi con l’altezza. Io se mi devo buttare da una montagna, mi butto, non ho paura di buttarmi. Posso rompermi le gambe qualche volta. Lì sai cos’è stato? Non è caduto di sotto! Se fosse caduto lì sotto mi sarei divertito di più io!».
Quell’intimidazione non basta a ridurre la ditta a farsi viva. Bisogna tornare sul cantiere. La notte tra l’8 e il 9 marzo alla Fondazioni Speciali viene danneggiato un altro macchinario. Un semaforo finisce sotto la scarpata.Da un po’ di giorni, però, una microspia, che la Procura di Reggio Calabria aveva fatto installare nel bar, stava registrando tutti i colloqui dei boss. Gli inquirenti avevano potuto assistere in diretta al lavoro quotidiano di soprusi ed estorsioni della ‘ndrangheta. Potrebbero continuare a registrare per raccogliere altre prove. Ma c’è un imprevisto. Una talpa tra le forze dell’ordine ha avvertito i Nasone delle indagini in corso. A dire il vero, che ci fossero indagini in corso su di loro e che i magistrati fossero intenzionati a farli arrestare, i Nasone lo sapevano già da novembre. Lo era venuto a sapere Domenico Nasone e lo aveva raccontato a sua cugina Annunziatina che aveva avvertito suo fratello, Giuseppe Fulco, in carcere, dov’era andata a fargli visita accompagnata dalla madre.Nel verbale di questo colloquio, finora inedito, avvenuto nel carcere di Benevento l’11 novembre scorso e filmato a loro insaputa, la madre dice al figlio detenuto che «è tutto registrato». «Pure in cella», aggiunge la sorella. «Non devi aprire né bocca né niente», lo avvertono.Nelle indagini l’atteggiamento della ditta Fondazioni Speciali SPA risulta molto controverso, del resto. Leggere le carte, studiare, analizzare: ecco il protocollo che funziona.

Ma c’è dell’altro. Operazione “Alba di Scilla” a carico della cosca Nasone-Gaietti. Negli atti si legge:

Dalle intercettazioni telefoniche attivate in conseguenza delle denunce presentate (R.I.T. n°1718/11 – proc. pen. 6612/11 RGNR mod. 44), ed in particolare dalle conversazioni di seguito riportate, emerge il clima di timore ed omertà sorto tra i dipendenti della Fondazioni speciali spa in conseguenza di tali indimidazioni:

  • in data 25.08.2011, MUSUMECI Concetto
  • , responsabile del cantiere di Scilla per conto della Fondazioni speciali spa, riferisce ad un collaboratore quello che è successo la notte precedente in merito all’asportazione di un semaforo. Il collaboratore gli chiede se stanno continuando a lavorare. MUSUMECI gli riferisce di sì, che ci sono alcuni problemi con la direzione dei lavori e che ha saputo che la zona su cui stanno lavorando è una zona calda.

MUSUMECI C.:- Si, ci sei adesso?———————————————————————–//

CILLO:- Si, con i Carabinieri cos’era successo?————————————————-//

MUSUMECI C.:- Che questa notte hanno trafugato un semaforo, quello di monte!—————–//

CILLO:- Hanno?————————————————————————————-//

MUSUMECI C.:- Trafugato! Trafugato, che poi si è scoperto che non era stato trafugato ma solo rimosso e buttato giù per la scarpata.  E quindi niente abbiamo denunciato questo atto vandalico e sono arrivati, anche perché sembra che quella sia una zona calda e quindi particolarmente “attenzionata”. -//

(Conversazione del 25.08.2011 alle ore 16:36, registrata sull’utenza nr. 3939324493 in uso a MUSUMECI Concetto al progressivo n°9, R.I.T. n°1718/11)

  • in data 28.08.2011 MUSUMECI Concetto parla con ZAPPIA Salvatore, il quale gli racconta dell’anomalo danneggiamento del lunotto posteriore della propria autovettura. MUSUMECI Concetto gli consiglia di non far sapere in giro che lavora per conto della “Fondazioni Speciali” e pertanto di rimuovere dall’autovettura l’adesivo della ditta, ritenendo implicitamente che il danneggiamento sia stato effettuato proprio in quanto dipendente della predetta società.

ZAPPIA S.:- Pronto

MUSUMECI C.:-Ciao Totò

ZAPPIA S.:- Buon giorno!

MUSUMECI C.:-Ciao, mi hai chiamato?

ZAPPIA S.:- Ti disturbo?

MUSUMECI C.:-Eh?

ZAPPIA S.:- Ti disturbo?

MUSUMECI C.:-No, no dimmi … dimmi?

ZAPPIA S.:- Allora ieri sera mi hanno, non so se mi hanno rotto un vetro oppure è scoppiato in macchina.

MUSUMECI C.:-Cosa ti hanno scoppiato in macchina?

ZAPPIA S.:- Il vetro di dietro del porta bagagli!

MUSUMECI C.:-Ah!

ZAPPIA S.:- Non so se me l’hanno rotto o se è scoppiato, questo non lo so. Dentro non c’era nulla, fuori …incomprensibile….

MUSUMECI C.:-Ed è scoppiato da solo, ma dove?

ZAPPIA S.:- Sotto casa mia!

MUSUMECI C.:-Minchia! Ma tu non sei il Sindaco, il figlio del ….. o no?

ZAPPIA S.:- E che vuoi che ti faccio?

MUSUMECI C.:-Eh! Vedi quando ti dico di non parlare troppo perché,

quando … quando la situazione.. che … tu devi fare una cosa Salvo, quell’adesivo che gli hai messo cosi bello carino che si vede lì glielo devi togliere.

ZAPPIA S.:- Si lo so!

MUSUMECI C.:-Eh!

ZAPPIA S.:- Allora oggi vado dai Carabinieri 

MUSUMECI C.:-Fai denuncia contro ignoti. Non lo so scoppiare, che scoppia un vetro così?

ZAPPIA S.:- No, può anche .. può succedere  ..in teoria.

MUSUMECI C.:-Si va bene, però!

ZAPPIA S.:- Dentro non c’era nulla Concetto!

MUSUMECI C.:-Come?

ZAPPIA S.:- Dentro non c’era nulla.

MUSUMECI C.:-L’ho capito, ma non è detto che l’hanno spaccato per farti .. 

per rubarti qualcosa. Può essere che l’hanno spaccato così per sfregio, per dispetto, per farti danno insomma.

ZAPPIA S.:- Si va bene ma io non ho problemi, non ho mai avuto problemi con nessuno. Di questo ieri parlavo con mio padre.

MUSUMECI C.:-No, tu non hai mai avuto problemi con nessuno ma la macchina è Fondazioni Speciali

ZAPPIA S.:- Si lo so

MUSUMECI C.:-Nemmeno io ho mai avuto problemi con nessuno se no quelli che sappiamo però! 

(Conversazione del 28.08.2011 alle ore 13:05, registrata sull’utenza nr. 3939324493 in uso a MUSUMECI Concetto al progressivo n°116, R.I.T. n°1718/11)

  • in data 23.09.2011 MUSUMECI Concetto conversa con un soggetto non meglio identificato sulle difficoltà incontrate sul lavoro. L’interlocutore riferisce che “la cosa più brutta è l’aria che si respira”. MUSUMECI risponde a tale commento asserendo che da questo punto di vista “si sono calmati”, perchè egli è andato dai Carabinieri. L’interlocutore dice che, prima, quando non serviva, di fronte al cantiere c’era una postazione dell’Esercito, ora che potrebbe servire come protezione allo stesso quella postazione è stata rimossa.

UOMO:- La cosa più brutta è l’aria che si respira, veramente!

MUSUMECI C.:- Ma diciamo che da questo punto di vista si sono anche abbastanza calmati. Anche perché io me ne sono andato dove dovevo andare … dai Carabinieri ed ho detto senti o mi fanno lavorare oppure cioè non me ne fotte un cazzo!

(Conversazione del 23.09.2011 alle ore 09:57, registrata sull’utenza nr. 3939324493 in uso a MUSUMECI Concetto al progressivo n°2116, R.I.T. n°1718/11)

Per diversi mesi la ditta in questione non ha denunciato altre azioni intimidatorie, ciò fino ai primi giorni del mese di marzo 2012 allorquando sono state compiute e regolarmente denunciate dalla Fondazioni speciali spa le seguenti azioni delittuose:

  • la notte tra il 3 ed il 4 marzo 2012, presso il cantiere “PARATIA SCILLA” in cui la ditta Fondazioni speciali spa è impegnata in lavori di perforazione adiacenti alla strada Provinciale per Melia (comune di Scilla), viene liberato dai freni e dai fermi un compressore marca “INGERSOL”; il mezzo, collocato in un tratto di strada in discesa, va ad urtare contro uno spartitraffico in cemento, riportando danni rilevanti. Su tale compressore inoltre, viene rinvenuta posizionata una bottiglia di plastica contenente una sostanza liquida, avvolta da nastro da imballaggio di color marrone e con una finta miccia incendiaria realizzata con della carta arrotolata. 

Sul medesimo cantiere viene inoltre danneggiata una sonda marca “COMACCHIO” modello MC 1200 attraverso la distruzione del quadro di comando. Anche su tale mezzo viene posizionata una bottiglia di plastica avente le medesime caratteristiche di quella sopra indicata.

  • la notte tra l’8 ed il 9 marzo 2012, nel cantiere sopra indicato, viene ulteriormente danneggiato, mediante un corpo contundente, il quadro comando ed i tubi idraulici della sonda di cui sopra. Inoltre, il semaforo mobile presente sul cantiere, utilizzato per la regolazione della circolazione stradale, come già in occasione dell’atto intimidatorio compiuto il 25.08.2011, viene gettato nell’adiacente scarpata.

Ma c’è un punto che è interessante:

BURZOMATO e PUNTORIERI continuano a discutere sul come comportarsi all’interno del cantiere ed ipotizzano il rischio che il mezzo che vogliono danneggiare possa fermarsi sulla discesa a causa degli spartitraffico che sono stati posizionati in prossimità del cantiere (situazione che, come vedremo, si verificherà concretamente). Pertanto, BURZOMATO chiede a PUNTORIERI se non sia il caso di evitare di danneggiare i mezzi e limitarsi a posizionare solo delle bottiglie (“Per forza danni gli devi fare? E se gli mettiamo solo le bottiglie e basta?”). PUNTORIERI teme però che l’intimidazione non risulti  abbastanza chiara ed efficace (“E se non vengono? E se non vengono?”), in tal modo provocando la reazione di BURZOMATO, il quale lo rassicura affermando che in quel caso tornerebbero sul posto a bruciare i mezzi (“E se non vengono glieli bruciamo”). 

Il suddetto contesto dialogico conferma – se ve ne fosse bisogno – che i suddetti interlocutori stanno organizzando un’azione intimidatoria di tipo estorsivo ai danni di una ditta impegnata nei lavori di ammodernamento dell’autostrada SA-RC (nella specie la Fondazioni Speciali spa); l’espressione “se non vengono” non si presta infatti ad altra interpretazione, se non quella riferita al contatto che i rappresentanti della ditta danneggiata cercheranno al fine di regolare i conti con la cosca mafiosa operante a Scilla. 

(Per i curiosi l’ordinanza è qui in pdf)

Insomma basterebbe essere curiosi, scassaminchia, leggere e fare. Perché se le stranezze si notano nei blog non si capisce dove si perdano tra le decine di protocolli, comissioni, convegni sulla legalità e presentazioni di libri. Se ci è arrivato il Prefetto di Milano a intervenire significa che assistiamo al primato della Prefettura e quindi ha perso il primato della politica. Appunto.