Scrive Nadia Urbinati su Repubblica che “il piano di tagli agli sprechi messo in cantiere dal governo Monti prevede alla voce scuola una ingiustificata partita di giro che toglie 200 milioni di euro alle istituzioni pubbliche per darli a quelle private. Con una motivazione che ha dell’ironico se non fosse per una logica rovesciata che fa rizzare i capelli in testa anche ai calvi. Leggiamo che si tolgono risorse pubbliche alle università statali al fine di “ottimizzare l’allocazione delle risorse” e “migliorare la qualità” dell’offerta educativa. Stornare risorse dal pubblico renderà la scuola più virtuosa. Ma perché la virtù del dimagrimento non dovrebbe valere anche per il settore privato? Perché solo nella già martoriata scuola pubblica i tagli dovrebbero tradursi in efficienza?”.
Ne parlavo ieri citando Mila Spicola che l’insegnante la fa di professione, tra l’altro. Nel senso più alto del termine, professando i propri valori nel proprio lavoro. Ma l’opinione migliore, che suona come uno schiaffo al progetto di Monti, è molto più datata. Del 1950. E sembra valere oggi ancora di più. E se le critiche di sessant’anni fa valgono nel nostro tempo forse significa che abbiamo imparato poco, ricordato meno e accettato l’indifendibile.
«L’operazione si fa in tre modi: (1) rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico… Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l’operazione… Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito». (Piero Calamandrei, 1950)
La Gdf di Milano, nell’ambito dell’inchiesta della Dda sulla presunta cosca mafiosa dei D’Agosta con al centro l’intestazione fraudolenta di beni per 5 milioni di euro, ha sequestrato lo ‘storico’ bar-ristorante milanese ‘Samarani Cafe”, in piazza Diaz, a due passi dal Duomo. Nell’ambito delle indagini sul reimpiego di capitali illeciti, i finanzieri del nucleo di polizia tributaria hanno messo i sigilli anche all’hotel ‘Il Faro Molarotto’ in Costa Smeralda e ad un altro bar in provincia di Olbia.
Gli accertamenti dei militari della Gdf hanno riguardato, in particolare, due presunti appartenenti a una cosca mafiosa di Vittoria (Ragusa), Carmelo e Gianfranco D’Agosta, gia’ condannati a vario titolo per associazione mafiosa e traffico di droga. Stando alle indagini, coordinate dal pm Claudio Gittardi, sarebbero emerse una serie di ”discrasie” tra i redditi dichiarati dai due e i beni intestati a loro o a presunti prestanome. Ipotesi che ha fatto scattare il sequestro preventivo, deciso dal gip di Milano Anna Maria Zamagni, in base alle norme sull’intestazione fittizia di beni relative a soggetti gia’ condannati per associazione mafiosa.Il ‘Samarani cafe” era gia’ stato coinvolto, negli anni ’90, in indagini simili che riguardavano presunti esponenti mafiosi siciliani e investimenti illeciti in locali e attivita’ a Milano. Ieri poi nel capoluogo lombardo era stato sequestrato anche il bar ‘Gran Caffe’ Sforza’, sempre in centro, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli sulla camorra ‘cutoliana’ del clan Belforte. Nel blitz di oggi, invece, sono stati sequestrati anche l’hotel a quattro stelle ‘Il Faro Molarotto’, a una quarantina di minuti da Porto Cervo, e un altro bar in Sardegna, oltre ad un’auto di grossa cilindrata.
Oggi su Repubblica uno scambio epistolare tra un lettore e Colaprico che è un punto di programma per la Lombardia che deve accadere. Perché a volte la politica sta tra le parole e le opinioni che non stanno per forza nei grandi editoriali di statisti à la page:
CARO Colaprico, malgrado il parere contrario di tutti (comuni interessati, proprietari dei terreni sotto esproprio, ecologisti, geologi, economisti, eccetera) gli insani e cervellottici «piani per il traffico» della giunta regionale lombarda sono stati avviati.
Mi riferisco alla realizzazione delle «famose» Pedemontana, nuova autostrada Milano/Brescia e alla Tangenziale est esterna. Altri milioni di ettari di terreno fertile saranno coperti dall’asfalto, benché sia a tutti evidente che il traffico su gomma sta diminuendo, sia per il costo dei carburanti che per la crisi economica, ed è destinato inesorabilmente in futuro a diminuire ancora.
Queste opere inutili diventeranno altre «cattedrali nel deserto», con un assurdo e mai tanto insensato spreco di denaro pubblico, a maggior ragione in un momento come questo. Naturalmente «i soliti noti» (fra i quali dovremo annoverare le varie mafie?) ringraziano. La pianura Padana è storicamente la parte più fertile del nostro paese, quella naturalmente destinata allo sviluppo agricolo. È diventata un’immensa megalopoli, nella quale la teoria continua di case e capannoni è interrotta, di tanto in tanto, da qualche distesa di campi. Temo che fra non molti anni si dovranno arare le strade (qualcunos’ingegni a studiare vomeri adeguati!).
Silvano Fassetta
Vorrei avvisarla che la rivoluzione industriale risale all’800, che il boom economico italiano è avvenuto alla metà del secolo scorso e che Milano e Brescia sono città dove le ciminiere sono spuntate un bel po’ di tempo fa. Lei credeva di essere in Arcadia, tra pecore e pastorelle e flauti? Basta percorrere la Milano-Brescia per rendersi conto del mondo in cui siamo. Molti anni fa Giorgio Bocca raccontava ai lettori che usando il Po come una via d’acqua per le merci, si sarebbe ottenuto il duplice scopo di far diminuire la congestione del traffico su strada e trasferire i container presto e meglio. Molti anni fa… Meno anni fa, quando cominciavo anch’io a fare il cronista, vedevo da vicino molte cose e purtroppo oggi, con tutta la mia esperienza, dopo Tangentopoli, le mafie, gli scandali, i discorsi a pera sul Nord, ancora mi chiedo che cosa mai ci resta da fare di legale. Perché noi poveracci sappiamo vedere spesso le cose giuste e le cose sbagliate e ci chiediamo: come mai, in politica, passano spesso le cose sbagliate? In quale labirinto oscuro s’imprigiona chi fa politica?
Piero Colaprico
Con il lavoro, l’impegno, la serietà poi alla fine la storia non si inventa ma succede davvero: Monsignor Francesco Montenegro vieta le esequie di Giuseppe Lo Mascolo, arrestato pochi giorni prima di morire con l’accusa di essere il boss di Cosa nostra a Siculiana: “L’unico modo per imbavagliare la mafia è rifiutare i compromessi”. La notizia è qui.
Per immaginare le ore di Giulio Tamburini, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mantova, impegnato anche come distaccato per la DDA di Brescia.
Per la bomba scoppiata vicino alla sua abitazione. Lo spavento. La notte. Il dolore. La famiglia da proteggere oltre all’ordinarietà non facile della vita.
A Mantova. Dove già parlarne è già troppo disturbo.
Solo un abbraccio solidale. A tutta la sua famiglia.
Mila Spicola su l’Unità, oggi ne scrive. Ed è un’altro di quei punti su cui la coalizione che ha in testa Bersani difficilmente ha un senso. La nostra posizione (per specificare, eh) è quella di Mila. Anche (e soprattutto) in Lombardia. Sono curioso di sapere quella dei cattolici del PD e dell’UDC. Anche qui in Lombardia.
Questa storia dei fondi alle parificate private è chiarissima. Parte di quei fondi vanno ad asili e materne parificate. E vabbè, amen. Sappiamo com’è la questione: non ce ne sono..e dunque chiudiamolo st’occhio, anche se ci dobbiamo mettere sottosopra per far aprire asili statali e comunali. Ma dall’altro ci sono le scuole degli altri gradi e sono diplomifici (o sbaglio?) o scuole delle “pie opere di carità” con rette mensili allucinanti che, in parte, contribuiscono a pagare anche i papà e le mamme dei miei alunni disgraziati, con le loro tasse. Possono girarmi le scatole, di grazia?
I governi, di qualunque colore fossero nulla è cambiato, finanziando le prime, i diplomifici, producono a nostre spese generazioni di ragazzi ignoranti, a danno loro e della collettività, e finanziando le cattoliche (che non abbiano tutto sto gran livello qualitativo) comprano voti di elettorato cattolico dalla Chiesa. Cioè omaggiano il Vaticano. Già sento il coro levarsi dal lato della platea cattolica, se non qualche lancio di oggetti. Attenzione: ciascuno può e deve andare nella scuola che più gli aggrada. Libera è la cultura e libero l’insegnamento. Ma per favore senza oneri per lo Stato. Quante volte lo dobbiamo ripetere? Senza oneri per lo Stato. Lontani dalle mie tasche. Figuriamoci adesso. Possono anche maledirmi. Ma io non sono nè cattolica, nè religiosa, le maledizioni mi bagnano e si asciugano: con le mie tasse pagatemi il riscaldamento, non la divisa delle orsoline.
Ovunque durante le recessioni la disoccupazione aumenta di più per i giovani che nelle altre fasce di età. Questo avviene perché i datori di lavoro bloccano le assunzioni restringendo ogni canale di ingresso nel mercato del lavoro. Ma nella media dei paesi Ocse la disoccupazione giovanile è arrivata in questa crisi a essere al massimo il doppio di quella per il resto della popolazione. Da noi, invece, è quasi quattro volte più elevata.
Il fatto è che ai problemi strutturali del nostro mercato del lavoro e del sistema educativo si è aggiunto il dualismo fra contratti temporanei e contratti permanenti che ha causato questa volta, in aggiunta al blocco delle assunzioni, anche licenziamenti in massa di giovani lavoratori precari. Inoltre i giovani italiani, a differenza che in altri paesi, non hanno reagito alla crisi decidendo di continuare a studiare, ma anzi hanno ridotto le loro iscrizioni all’università. Probabilmente perché si sono resi conto che le lauree triennali non offrono uno sbocco adeguato sul mercato del lavoro rispetto ai diplomi di scuola secondaria, non sono in grado di ripagare l’investimento aggiuntivo fatto in istruzione.
Infine, essendo questa una crisi finanziaria, è ancora più difficile per i giovani che hanno progetti imprenditoriali avere accesso al credito. Di solito nelle recessioni c’è anche una parte creativa perché il costo minore del credito, del lavoro, dei fabbricati, del capitale permette a chi ha nuove idee di realizzarle. Ma questo non avviene durante le crisi finanziarie, soprattutto da noi dove le banche non hanno investito nella selezione di nuovi progetti imprenditoriali.
Ogni strategia che voglia davvero affrontare il problema della disoccupazione giovanile deve perciò avere tre cardini principali: primo, deve migliorare il percorso di ingresso nel mercato del lavoro; secondo, deve affrontare il problema dei trienni, spingendo più giovani a continuare gli studi oltre la scuola secondaria; terzo, deve favorire l’accesso al credito per chi ha idee imprenditoriali.
Sul primo aspetto, sarebbe stato importante introdurre in Italia un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, applicabile a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro età o qualifica. Purtroppo il governo ha scelto una strada diversa, lasciando che le tutele contro il licenziamento siano indipendenti dalla durata dell’impiego. Licenziare un lavoratore con contratto a tempo indeterminato che è da un solo mese in azienda continuerà a costerà quanto licenziare un lavoratore che ha 20 anni di anzianità aziendale. Questo scoraggia le assunzioni dei giovani soprattutto nei comparti dove il loro capitale umano verrebbe meglio utilizzato. Nei settori tecnologicamente avanzati è, infatti, molto difficile per un datore di lavoro valutare le competenze delle persone che assume. Si possono dunque commettere molti errori. Al tempo stesso, bisogna fare un investimento di lungo periodo sui lavoratori che si assume. La persistente dicotomia fra contratti a termine e contratti a tempo determinato impedisce tutto questo. E non potrà certo il contratto di apprendistato riproposto dalla riforma Fornero a risolvere il problema. Semplicemente perché le sue regole (in termini di età, quote sulle assunzioni e costi degli incentivi fiscali) impediscono che possa essere esteso alle grandi platee coinvolte dalla disoccupazione giovanile.
Per stimolare gli investimenti in istruzione bisogna spingere i giovani a lavorare e studiare allo stesso tempo. L’opposto dei NEET (giovani che non studiano e non lavorano al tempo stesso) di cui abbiamo oggi il triste primato. Per fare questo bisognerebbe introdurre in Italia la formazione tecnica universitaria sul modello delle scuole di specializzazione tedesche, le cosiddette Fachhochschule. Ciascuna università, anche sede periferica, in accordo con un certo numero di imprese locali, potrebbe introdurre un corso di laurea triennale caratterizzato da una presenza simultanea in impresa e in ateneo. Metà dei crediti verrebbe acquisito in aula e metà in azienda. Il lavoratore sarebbe impiegato in azienda e seguito da un tutor. Con controlli reciproci fra università e impresa sulla qualità della formazione conferita al lavoratore che ridurrebbero fortemente il rischio di abuso. I grandi atenei potrebbero organizzare una decina di questi corsi con un bacino di circa 800 studenti per ateneo, pari a 80 studenti per anno in ciascun corso di specializzazione. I piccoli atenei difficilmente ne organizzeranno più di due o tre ciascuno. In questo modo si potrebbe arrivare ad avere ogni anno 12-15mila nuovi giovani occupati. A regime, su tre anni, la riforma potrebbe portare i giovani occupati e impegnati in lauree brevi di specializzazione intorno alle 50mila unità, un numero significativo, data la dimensione delle coorti di ingresso nel mercato del lavoro.
Le due riforme di cui sopra sono a costo zero per le casse dello Stato. La terza avrebbe costi limitati. Potrebbe impegnare i fondi strutturali inutilizzati mettendo a disposizione fino a 150 milioni per il decollo di nuove iniziative imprenditoriali soprattutto nelle aree più svantaggiate del paese. Mediante un accordo con le banche, potrebbe selezionare 1.000 progetti imprenditoriali da sostenere attivando credito fino a quattro o cinque volte questa cifra. La fase di selezione dei progetti comporterebbe il finanziamento di uno stage all’estero (o in regioni con un forte tessuto imprenditoriale e buone università) in cui perfezionare il proprio business plan per 5.000 aspiranti imprenditori. I soldi verrebbero dati ai giovani, ma servirebbero di fatto come garanzia per i prestiti bancari. Sarebbe un modo anche per spingere le banche a spostare la loro attenzione dai clienti consolidati e spesso non più in grado di generare valore aggiunto a chi ha idee e la forzaed entusiasmo per portarle avanti.
Clemente Gasparri (sì, il fratello di Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato) in qualità di vice comandante dell’Arma in occasione di una lezione sulla pedopornografia presso Scuola Ufficiali dei Carabinieri di Roma regala un insegnamento abbastanza spericolato: «Ammettere di essere gay, magari facendolo su un social network, come un graduato della Guardia di Finanza, non è pertinente allo status di Carabiniere. L’Arma è come un treno in corsa, i passeggeri sono vincolati, prima di scendere, alla responsabilità di lasciare pulito il posto occupato. Gli ufficiali del Ruolo Speciale che fanno il ricorso, i giovani ufficiali dell’applicativo che fanno istanze per avvicinarsi alla famiglia, gli omosessuali che ostentano la loro condizione, sono in sintesi tutti passeggeri sciagurati dell’antico treno, potenzialmente responsabili della sporcizia o del deragliamento».
Le sue affermazioni ci riportano indietro di decenni. Il suo “consiglio” (e noi militari sappiamo benissimo cosa significa questo termine quando proviene da un Superiore) a non palesare il proprio orientamento sessuale è un macigno che cade in testa a quei militari che magari dopo tanta fatica e sofferenza interiore avevano deciso di uscire alla luce del sole. Di essere e di vivere finalmente la loro vera natura senza dover più fingere di essere quello che non sono. Sperando di essere giudicati non per chi si portano a letto o per chi amano ma solo in quanto buoni militari.
Non so se la conosce, Generale, ma in Italia esiste una associazione a cui sono fiero di appartenere, Polis Aperta, che è composta da appartenenti gay e lesbiche di tutte le Forze dell’Ordine e Forze Armate, inclusa la sua, che vivono serenamente e apertamente la propria condizione di gay in un ambiente militare o militarmente organizzato. Ci conosciamo tutti e siamo sparsi per la Penisola. Provi a conoscerci, Generale, provi a parlare con un suo militare gay e vedrà che si troverà di fronte ad un Carabiniere come tutti gli altri, con gli stessi pregi e gli stessi difetti. Non impedisca ad un suo militare di amare. Nessuno dovrebbe vergognarsi di quello che è. Io non sono fiero di essere gay, così come non sarei fiero di essere etero. Io sono fiero di essere quello che sono. Punto.
Non so se la Sua posizione sia condivisa dal Comandante Generale dell’Arma ma spero vivamente di no.
Appuntato Scelto Marcello Strati
Ecco, sarebbe bello smettere tutto intorno di balbettare sul tema.
La camorra ‘cutoliana’ nel cuore di Milano e in provincia attraverso bar, societa’ immobiliari, attivita’ commerciali e fabbriche di videopoker. C’e’ anche il bar ‘Gran Caffe’ Sforza’, nel centro storico del capoluogo lombardo, tra i beni sequestrati durante un’operazione antimafia dei carabinieri del Noe di Roma a Milano e nell’hinterland e nel Casertano. Sequestrati beni per 20 milioni riconducili a Mauro Russo, appartenente al clan Belforte o dei Mazzacane, che e’ stato arrestato. Indagate 12 persone.
Russo, 47 anni, e’ accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso. Non avrebbe solo reinvestito capitali sporchi ma, secondo un’intercettazione del 15 novembre scorso, anche rivelato di poter superare alcuni passaggi dell’iter amministrativo. ”Mi servirebbe, pero’ urgentemente, il certificato camerale, con la dicitura antimafia, per il bar qua di via Sforza”, avrebbe detto Russo al telefono con tale Paolo. L’associazione camorrista estorceva denaro agli operatori commerciali e si scontrava con le armi con altri gruppi camorristici per il controllo dello spaccio di droga e per l’imposizione di macchinette videopoker o slot machine agli esercenti di bar. Le indagini hanno portato alla luce un vasto giro di affari realizzato attraverso il reimpiego di capitali sporchi e una rete di prestanome legati a Russo. Secondo alcuni pentiti, Russo sarebbe il referente di Pasquale Scotti, latitante dal 1985, detto ‘Pasqualino o’ collier’ per aver regalato un collier alla moglie di Raffaele Cutolo, lo storico boss della Nuova Camorra Organizzata (Nco). Fin dal 1999 Russo si e’ associato al clan Belforte, ex cutoliano. Dapprima ha imposto la distribuzione delle proprie slot machine agli esercizi commerciali di Marcianise (Caserta) e in zone limitrofe per poi diventare affiliato del clan. Al punto da fornire armi e auto usate per omicidi, offrendo appoggio logistico ai latitanti del gruppo, ma anche per il riciclaggio dei proventi illeciti, soprattutto nella zona di Milano. Il decreto di sequestro preventivo e’ stato eseguito dai carabinieri del Noe di Roma guidati dal colonnello Sergio De Caprio, noto anche come ‘Ultimo’, e dal capitano Pietro Rajola Pescarini. A disporlo il gip del Tribunale di Napoli Andrea Rovida su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo campano.
Spesso giro il mondo, per fare discorsi, e la gente mi fa domande sulle sfide, sui miei momenti, sui miei rimpianti. 1998: Mamma single, di 4 bambini, tre mesi dopo la nascita del mio quarto figlio andai a lavorare, come assistente ricercatrice, nella Liberia del nord. Come parte del contratto, il villaggio ci forniva un alloggio. Mi diedero un alloggio con una madre single e sua figlia.
La ragazza era l’unica ragazza di tutto il villaggio che era arrivata alla prima superiore. Era lo zimbello della comunità. Altre donne dicevano a sua madre: “Tu e tua figlia morirete povere”. Dopo due settimane di lavoro in quel villaggio, fu tempo di rientrare. La madre venne da me, in ginocchio, e mi disse: “Leymah, prendi mia figlia. Voglio che diventiun’infermiera”. Poverissima, vivevo a casa con i miei genitori, non potevo permettermelo.Con le lacrime agli occhi, dissi “No”.
Due mesi dopo, visitai un altro villaggio per lo stesso incarico e mi chiesero di vivere con il capo del villaggio. Il capo delle donne del villaggio aveva una bambina, come me, la pelle chiara, sporca da capo a piedi. Se ne andava in giro tutto il giorno in mutande. Quando chiesi: “Chi è quella?” mi disse: “Quella è Wei. Il suo nome significa maiale. Sua madre è morta dandola alla luce, e nessuno sa chi sia il padre”. Per due settimane, diventò la mia compagna, dormiva con me. Le comprai vestiti usati e le comprai la sua prima bambola. La sera prima di partire, venne in camera da me e disse: “Leymah non lasciarmi qui. Voglio venire con te. Voglio andare a scuola.” Poverissima, senza soldi, in casa con i miei genitori, ancora una volta dissi: “No”. Due mesi dopo, entrambi i villaggi furono coinvolti in un’altra guerra. Ad oggi, non ho idea di dove siano quelle due ragazze.
Avanti veloce, 2004: al culmine del nostro attivismo, il ministro per la parità della Liberia mi chiamò e disse: “Leymah, ho una bimba di nove anni per te. Voglio che la porti a casaperché non abbiamo case sicure”. La storia di questa ragazzina: Era stata violentata dal nonno paterno, tutti i giorni, per sei mesi. Venne da me tutta gonfia, molto pallida. Tutte le sere tornavo dal lavoro e mi sdraiavo sul pavimento freddo. Lei si sdraiava accanto a me e diceva: “Zia, voglio stare bene. Voglio andare a scuola.”
2010: Una giovane donna, di fronte al Presidente Sirleaf, testimonia di come lei e i suoi fratelli vivessero insieme, il loro padre e la loro madre morti durante la guerra. Lei ha 19 anni; il suo sogno è andare all’università per poterli aiutare. È molto atletica. E succede chesi candida per una borsa di studio. Una borsa di studio completa. La ottiene. Il suo sogno di andare a scuola, il suo desidero di ricevere un’istruzione, alla fine si avvera. Va a scuola il primo giorno. Il direttore degli sport, responsabile per averla inserita nel programma le chiede di uscire dall’aula. E nei 3 anni successivi, il suo destino sarà avere relazioni sessuali con lui ogni giorno, come favore per averla fatta entrare a scuola.
Globalmente, abbiamo delle regole, strumenti internazionali, dirigenti che lavorano. Grandi persone hanno preso impegni — proteggeremo i nostri figli dal bisogno e dalla paura. Le Nazioni Unite hanno la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia. Paesi come gli Stati Uniti hanno la legge No Child Left Behind [Nessun bambino lasciato indietro]. Altri paesi fanno cose diverse. Uno degli obiettivi di sviluppo del millennio chiamato Three si focalizza sulle bambine. Tutti questi grandi lavori di grandi persone con lo scopo di portare i giovani dove vogliamo che vadano globalmente, credo abbiano fallito.
In Liberia, per esempio, il tasso di gravidanza tra le adolescenti è di 3 ogni 10 ragazze. La prostituzione tra le adolescenti è al suo massimo. In una comunità, ci dicono, ti alzi la mattina e vedi preservativi usati come se fossero carte di caramelle. Le ragazze di appena 12 anni si prostituiscono per meno di un dollaro a notte. È scoraggiante, è triste. E poi qualcuno mi ha chiesto, poco prima che parlassi a TED, qualche giorno fa: “Dov’è la speranza?”
Diversi anni fa, alcuni amici decisero che era arrivato il momento di colmare il vuoto tra la nostra generazione e la generazione delle giovani donne. Non è sufficiente dire di avere due premi Nobel nella Repubblica di Liberia, se le vostre ragazzine sono del tutto abbandonate,senza speranza, o sembrano senza speranza. Abbiamo creato uno spazio chiamato Young Girls Transformative Project [Progetto di Trasformazione per le Ragazze]. Andiamo nelle comunità rurali e tutto quello che facciamo, come è stato fatto in questa sala, è creare lo spazio. Quando queste ragazze si siedono, si dà spazio alla loro intelligenza, alla loro passione, al loro impegno, alla loro determinazione, si dà spazio a delle grandi leader.Finora abbiamo lavorato con più di 300 di loro. E alcune di queste ragazze che sono entrate nella stanza molto timide hanno fatto passi da gigante, da giovani madri, per tornare nel mondo e promuovere i diritti di altre giovani donne.
Una giovane donna che ho incontrato, madre adolescente di 4 bambini, che non aveva mai pensato di finire le superiori, si è diplomata con successo; non aveva mai pensato di andare all’università, si è iscritta all’università. Un giorno mi ha detto: “Il mio desiderio è finire l’università ed essere in grado di crescere i miei figli”. Al momento non riesce a trovare il denaro per andare a scuola. Vende acqua, vende bibite e vende ricariche del telefono. Potreste pensare che, quei soldi, li investe nella propria istruzione. Si chiama Juanita. Prende quei soldi e cerca madri single, nella sua comunità da rimandare a scuola.Dice: “Leymah, il mio desiderio è avere un’istruzione. E se non posso avere un’istruzionequando vedo le mie sorelle con un’istruzione, il mio desiderio si è avverato. Desidero una vita migliore. Desidero cibo per i miei bambini. Desidero che si metta fine agli abusi sessuali e allo sfruttamento nelle scuole.” Questo è il sogno della Ragazza Africana.
Diversi anni fa, c’era una ragazza africana il cui figlio desiderava un pezzo di ciambellaperché aveva molta fame. Furiosa, frustrata, molto preoccupata per le condizioni della sua società e dei suoi figli, questa ragazza ha dato il via a un movimento, un movimento di donne comuni che si sono riunite per la pace. Io esaudirò il desiderio. Questo è il desiderio di un’altra Ragazza Africana. Ho fallito nell’esaudire il desiderio di quelle due ragazze. Ho fallito. Questi erano i pensieri che passavano per la mente di questa giovane donna — ho fallito, ho fallito, ho fallito. Quindi farò questo. Le donne si sono esposte, per protestare contro un feroce dittatore, parlando con coraggio. Non solo il desiderio di un pezzo di ciambella è diventato realtà, il desiderio di pace è diventato realtà. Questa giovane donnadesiderava anche andare a scuola. È andata a scuola. Questa giovane donna desiderava altre cose, che si sono avverate.
Oggi, questa giovane donna sono io, sono un premio Nobel. Ora sto intraprendendo un percorso per esaudire il desiderio, delle bambine africane con le mie limitate capacità — il desiderio di ricevere un’istruzione. Abbiamo creato una fondazione. Diamo borse di studio complete di 4 anni a ragazze di villaggi che mostrano un potenziale.
Non ho molto da chiedervi. Sono stata anche in zone degli Stati Uniti, e so che anche le ragazze di questo paese hanno dei sogni, il sogno di una vita migliore, da qualche parte nel Bronx, sogni di una vita migliore da qualche parte nel centro di Los Angeles, sogni di una vita migliore da qualche parte nel Texas, sogni di una vita migliore da qualche parte a New York, sogni di una vita migliore da qualche parte nel New Jersey.
Volete accompagnarmi nell’aiutare quella ragazza, che sia una ragazza africana o una ragazza americana o una ragazza giapponese, a esaudire il suo desiderio, a esaudire il suo sogno, a realizzare il suo sogno? Perché tutti questi grandi innovatori, questi inventori con cui abbiamo parlato e che abbiamo visto in questi ultimi giorni sono anche loro seduti in un angolo in diverse parti del mondo, e tutto quello che ci chiedono di fare è creare quello spazio per liberare l’intelligenza, liberare la passione, liberare tutte quelle belle cose che loro trattengono dentro di sé. Facciamo la strada insieme. Facciamola insieme.
Grazie.
(Applausi)
Chris Anderson: Grazie infinite. Oggi in Liberia, qual è il problema che più la preoccupa?
LG: Mi è stato chiesto di guidare l’Iniziativa di Riconciliazione Liberiana. In quanto parte del mio lavoro, faccio queste visite in diversi villaggi, nelle città — 13, 15 ore su strade sconnesse — e in nessuna delle comunità in cui sono stata mancavano le ragazze intelligenti. Purtroppo, la visione di un grande futuro, il sogno di un grande futuro, è solo un sogno, perché abbiamo tutti questi problemi. La gravidanza in età adolescenziale, è diffusissima.
Quello che mi preoccupa è che io stessa ero una di loro e in qualche modo ora sono qui, e vorrei non essere l’unica ad essere qui. Cerco di fare in modo che altre ragazze siano con me. Tra 20 anni voglio guardarmi indietro e vedere un’altra ragazza liberiana, una ragazza del Ghana, una ragazza nigeriana, una ragazza etiope sul palco di TED. E forse, dico forse, dirà: “Grazie a quel premio Nobel oggi sono qui.” Sono preoccupata quando vedo che in loro non c’è speranza. Tuttavia non sono pessimista, perché so che non ci vuole molto per dare loro la carica.
CA: E in quest’ultimo anno, ci dica una cosa incoraggiante che ha visto accadere.
LG: Le posso parlare di molte cose incoraggianti che ho visto accadere. Ma nell’ultimo anno, siamo andate nel villaggio da cui proviene il presidente Sirleaf per lavorare per quelle ragazzine. E non c’erano neanche 25 ragazze alle scuole superiori. Tutte le ragazze andavano alle miniere d’oro, ed erano in prevalenza prostitute, che facevano altre cose.Abbiamo preso 50 di queste ragazze e abbiamo lavorato con loro. Eravamo all’inizio delle elezioni. Questo è un luogo dove le donne — anche le più anziane a malapena si siedono accanto agli uomini. Queste ragazze si sono riunite, hanno formato un gruppo e hanno lanciato una campagna per registrare gli elettori. È un villaggio molto rurale. Il tema che hanno usato è stato: “Anche le ragazze carine votano.” Sono riuscite a mobilitare le giovani donne.
Ma non hanno fatto solo questo, sono andate dai candidati a chiedere: “Cosa farete alle ragazze di questa comunità se vincerete?” E uno di loro che aveva già un incarico — perché la Liberia ha una delle più forti leggi contro lo stupro, e lui era uno di quelli che in parlamento si batteva per far revocare quella legge perché diceva che era barbara. Lo strupro non è una barbarie, la legge lo è, diceva. Quando le ragazze hanno iniziato a coinvolgerlo, lui era molto ostile nei loro confronti. Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.
(Applausi)
CA: Leymah, grazie. Grazie di essere venuta a TED.