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Giulio Cavalli

Lo dicevano una follia e ora lo inseguono tutti: il reddito minimo garantito

E, devo dire, che comunque questo improvviso interessi può farci solo piacere. Perché ridisegnare il welfare partendo dalla comparazione dei diversi Paesi europei sul reddito minimo garantito (come si può leggere nel documento del MISSOC, il sistema informativo comune sulla protezione sociale negli Stati membri dell’Ue e nell’area economica europea) noi lo stiamo dicendo da un po’. E la riflessione di Tito Boeri per La Repubblica di oggi ci conforta:

Il premier ha garantito che troverà soluzioni alla questione esodati-esodandi. Bene che cerchi soluzioni universali anziché affidarsi alla discrezionalità dei tavoli tecnici invocati da più parti e prefigurati nella stessa audizione parlamentare del ministro Fornero.

I tavoli non sono fatti per questo governo e il tavolo tecnico, chiamato a gestire “in modo pragmatico” la vicenda, rischia di essere la premessa di una nuova moltiplicazione di regimi previdenziali ad hoc per specifiche categorie di lavoratori, quando il più che condivisibile obiettivo della riforma varata alla genesi del governo Monti era stato proprio quello di uniformare i trattamenti previdenziali, stabilendo regole uguali per tutti. Peggio ancora, il tavolo rischia di dare ai lavoratori un messaggio di cui proprio non si sentiva il bisogno: se vuoi avere la pensione nei tempi preventivati, devi ricorrere alle rappresentanze sindacali e alla mediazione della politica.
Cerchiamo di riassumere i tortuosi tratti della vicenda. In gioco le sorti previdenziali di lavoratori coinvolti in processi di ristrutturazione con licenziamenti collettivi, esuberi con uscite volontarie più o meno incentivate prima dell’entrata in vigore della riforma. Questi lavoratori si sono visti spostare in là nel tempo la data con cui avrebbero potuto fruire della pensione, su cui contavano in genere al termine di un periodo di cosiddetta “mobilità lunga”, con sequenza di buonuscita, cassa integrazione, indennità di mobilità e, infine, pensione. Per questi lavoratori, inizialmente dimenticati, poi stimati in una platea di 50.000 persone, “prudenzialmente” elevata a 65.000 al varo della riforma e infine lasciata indeterminata nel milleproroghe, è stata introdotta una clausola di salvaguardia che preservava il loro diritto ad andare in pensione con le regole (e i tempi) precedenti. Oggi le nuove stime del ministero parlano di 120.000 persone, ma sarebbero addirittura 370.000 secondo i consulenti del lavoro e 390.000 nei calcoli dell’Inps.
Perché la platea coinvolta è stata così grossolanamente sottostimata?
La gestione privatistica delle informazioni statistiche da parte del presidente dell’Inps ha giocato un ruolo importante. Il problema non è la fuga di notizie, ma l’assenza di notizie, perché Mastrapasqua non rende disponibili i dati che raccoglie nell’esercizio delle sue funzioni. Si limita a filtrarli a suo piacimento. Ha pesato anche l’incapacità del ministero del Lavoro di monitorare gli accordi aziendali: come mai i tanti ministri succedutisi nel Dopoguerra, quasi sempre ex leader sindacali, non hanno pensato di costruire un’anagrafe degli accordi aziendali? Conta, certo, anche la fretta con cui è stato varato il provvedimento, come riconosciuto dal ministro Fornero. Ma bisogna saper intervenire bene e in fretta perché spesso le riforme si riescono a fare solo in condizioni di emergenza: ricordiamo che la riforma delle pensioni andava fatta 15 anni fa. Infine, c’è un altro fattore dietro alla sottostima, importante perché ci dà una misura delle insidie che si celano dietro al tavolo tecnico: il problema è che la scelta dei lavoratori “esodandi” di restare in azienda dipenderà proprio dal modo con cui il “tavolo tecnico” interpreterà l’estensione della clausola di salvaguardia. È questa una scelta che dipenderà principalmente dalla forza contrattuale delle diverse categorie di lavoratori coinvolti. E si porterà dietro un inevitabile strascico di tensioni e recriminazioni, di cui abbiamo già avuto qualche anticipazione in queste settimane.
Per tutti questi motivi, invece di affidarsi alla discrezionalità del tavolo tecnico, meglio ritoccare le regole per le pensioni, gli ammortizzatori sociali o entrambi, senza creare regimi ad hoc, ma semmai anticipando l’entrata in vigore delle nuove normative.
La riforma varata a dicembre impone un drastico incremento dell’età effettiva di pensionamento per chi ha anzianità aziendali inferiori ai 42 anni e innalza rapidamente l’età pensionabile a 67 anni. La vicenda esodati è figlia proprio di questo blocco, che oscura alla memoria gli “scaloni” di Maroni e Tremonti. Invece di bloccare così drasticamente le uscite, si sarebbe potuto adeguare il livello delle prestazioni a seconda dell’età di pensionamento, lasciando poi libertà di scelta fra i 63 e i 68 anni, come avverrà per le generazioni che avranno pensioni maturate interamente col metodo contributivo. Perché dal punto di vista del bilancio dello Stato (e del debito pubblico), quando si applicano riduzioni attuariali negli importi delle pensioni non c’è differenza fra pagare una pensione più bassa più a lungo o una pensione più alta per un periodo più breve. Questa strada può essere ancora perseguita, applicando i coefficienti di trasformazione previsti dal metodo contributivo anche alle pensioni calcolate col regime retributivo o quello ibrido, parzialmente retributivo e parzialmente contributivo. I lavoratori in esubero si troverebbero così con una pensione più o meno nei tempi preventivati, anche se fino al 15% più bassa di quella su cui avevano inizialmente pianificato l’uscita. Avrebbero però la possibilità di cumulare a questa pensione redditi da altri lavori. Inoltre, ai loro datori di lavoro potrebbe venire richiesto di continuare a versare i contributi previdenziali per qualche anno, se lo desiderano reintegrando i lavoratori magari a orari e salari ridotti, onde permettere loro di rimpinguare la pensione.
La seconda ragione per cui la vicenda esodati è oggi esplosiva è che contestualmente all’aver introdotto un rigido blocco delle uscite, il governo ha ridotto la durata delle indennità di mobilità con la riforma del mercato del lavoro, che si dovrà approvare prima del vertice europeo. Il tutto, nel mezzo di una pesante recessione. Chi è rimasto senza lavoro con più di 60 anni si sente così preso tra due fuochi: una pensione che si allontana e sussidi di disoccupazione che si accorciano con scarse prospettive di trovare lavoro. Sarebbe perciò opportuno cominciare a muoversi nella direzione che dovrebbe prendere ogni seria riforma degli ammortizzatori sociali, costruendo, come nel resto d’Europa, un sistema di assistenza per i disoccupati di lunga durata che non hanno altre fonti di reddito. Potrebbe essere inizialmente sperimentato sulle fasce di età coinvolte dalla riforma, per poi essere generalizzato a tutti, non appena le condizioni di finanza pubblica lo renderanno possibile. Una sperimentazione di un reddito minimo garantito è stata prevista anche in sede di conversione in legge del decreto semplificazione, quindi si tratterebbe di circoscrivere la platea dei beneficiari non in base al Comune di residenza, ma all’età, il che rende tra l’altro più agevole la sperimentazione. Essendo i trasferimenti condizionati al manifestarsi di condizioni di indigenza ed essendo la povertà oggi concentrata in altre fasce di età, questa misura avrebbe costi comparabili a quelli della sperimentazione già prevista o potrebbe essere finanziata attingendo ai fondi comunitari (si tratta tra l’altro di costi associati all’attuazione di una riforma strutturale, come previsto dai progetti di riforma dei fondi strutturali in discussione a Bruxelles).
Ciò che accomuna i due correttivi è il fatto di anticipare l’entrata in vigore di regole che, prima o poi, varranno per tutti. Ci si muove perciò sulla strada dell’universalismo. Ci sembra una strada di gran lunga preferibile alle deroghe, alle proroghe e alle eccezioni fatte solo per dare più potere ai partiti e convincere gli italiani, una volta di più, che in Italia non esistono diritti soggettivi, ma solo privilegi cui si può accedere trovandosi un rappresentante con muscoli e voce stentorea, cui delegare la difesa dei propri interessi, rigorosamente in contrapposizione a quelli di tutti gli altri.

Intanto in rete vede la luce il sito del comitato promotore per una legge di iniziativa popolare (http://www.redditogarantito.it) e noi in Lombardia siamo pronti per la raccolta firme.

Insomma, si prova a fare politica.

#peraldro i guasconi in divisa

E’ un sollievo sentire l’indignazione per le offese alla madre di Aldovrandi da parte degli stessi poliziotti che le hanno ucciso di botte il figlio.

Ma anche se non fossero loro e fossero semplicemente poliziotti sarebbe intollerabile lo stesso.

Perché il mascariamento che uccide con le parole dopo avere usato la violenza è una pratica da guasconi di periferia e non da forze dell’ordine. Insomma, la nausea sarebbe la stessa se fosse un vigile urbano di Cantù o Vattelapesca.

E il silenzio dei colleghi, dei comandanti e del Ministro dell’Interno avrebbe gli spigoli dell’omertà. Come in quelle altre brutte storie.

Casini ha detto sì

Ad un’alleanza con il PD perché la colpa è di Berlusconi, della sua deriva populista e perché Bersani invece è serio: lo dice oggi in un’intervista al Corriere Pierferdinando Casini, l’uomo della politica dei due forni di vecchio stampo andreottiano ma con molta meno arguzia. E poi qualche altra chicca: dice di volere costruire un’offerta nuova per il Paese (lui, che è in Parlamento dal 1983) e che il fatto che il consigliere del Quirinale parli con Mancino è la dimostrazione dell’umanità (dice così) all’interno delle istituzioni.

Vengono i brividi.

 

Appello per Cinecittà

Inoltro con preoccupazione l’appello che mi hanno inviato i lavoratori degli studi di Cinecittà. Gli ingredienti poi sono sempre gli stessi. Sarebbe un film di scontata e pessima qualità:

I lavoratori di Cinecittà chiedono a tutti i cittadini di questo paese di levare con forza la loro voce contro chi vuole distruggere i famosi stabilimenti cinematografici, vanto e orgoglio dell’Italia.

Abete e soci, per rilanciare il cinema, vogliono seppellire Cinecittà sotto una colata di cemento: un albergo di 200 stanze, 6000 parcheggi, piscina, ristoranti, sale fitness, in sfregio alla mission e ad ogni forma di cultura.

Per realizzare tutto questo progettano di affittare, vendere e licenziare i lavoratori.

Se va in porto questo disegno sparirà per sempre un mondo, la capacità di decine di migliaia di artigiani, che grande hanno fatto la storia del cinema, andrebbe persa per sempre.

Cinecittà rimarrebbe soltanto un sogno del passato e l’Italia sarebbe derubata di uno dei suoi simboli più magici.

Rsu di Cinecitta

Sarebbe un peccato

Oreste Pivetta scrive sull’Unità quello che proviamo a dire da un po’:

L’ultima parola potrebbe toccare ai magistrati. Sarebbe un peccato. Se c’è un sistema politico in declino, sarebbe meglio che cadesse di fronte ai progetti dell’opposizione e di una volontà pubblica di novità. Ma la regione non è questione «popolare» e la debolezza presente, il vuoto di idee, l’opportunismo tanto per sopravvivere e per non perdere il “posto” potrebbero lasciare la Lega al solito «posto», al fianco di Formigoni, lo studentello lecchese seguace di don Giussani, diventato «politico» raccomandando, strada facendo, «obbedienza, povertà e verginità», il governatore che ci lascerà l’indelebile immagine del tuffatore in bermuda dalla barca di Daccò.

Primarie “aperte”

Non so voi, ma mi hanno colpito le frasi di Bersani sul Corriere quando dice: «non andremo con un’ammucchiata». Quindi senza Di Pietro? «Se il voto fosse domani non ci sarebbe storia: lui sarebbe fuori». Invece la porta è sempre aperta per Casini: «I centristi sanno che non si può non governare con la sinistra riformista. D’altronde anche quello che sta succedendo in Europa lo dimostra: Bayrou in Francia si è spostato a sinistra. Quindi il Pd può pure vincere le elezioni, ma in ogni caso proporrò ai moderati un patto di legislatura».

Ecco, io trovo che sia una gran bella notizia che ci siano primarie aperte. Sul serio. E trovo anche che sia stato coraggioso Bersani a metterle sul tavolo. Ma sono solo io a non capire di quale coalizione si sta parlando? E, se ce ne sono diverse in campo, quali sono e chi propone cosa?

Questa non è la Lombardia: tutti gli indagati

Non è l’immagine della regione che dovrebbe rappresentare:

Daniele Belotti (Lega Nord) è indagato per una vicenda di tifo violento verificatasi a Bergamo l’8 febbraio 2011. E’ ritenuto l’anello di congiunzione tra le istituzioni e la tifoseria; deve rispondere di concorso in associazione per delinquere.

Monca Rizzi (Lega Nord), indagata a Brescia per presunti dossieraggi nei confronti di avversariall’interno del Carroccio, si è dimesso il 16 aprile 2012.

Davide Boni (Lega Nord) il 6 marzo 2012 il presidente del consiglio regionale lombardo viene indagato per corruzione per un totale di circa un milione di euro, soldi che potrebbero essere finiti nelle casse del partito di Umberto Bossi. L’indagine si concentra su presunte tangenti in campo urbanistico.

Renzo Bossi (Lega Nord) indagato a Milano per truffa ai danni dello Stato nell’inchiesta sui fondi della Lega, con il padre Umberto e il fratello Riccardo il 16 maggio 2012. 

Nicole Minetti (Pdl) il consigliere regionale è indagata insieme a Lele Mora ed Emilio Fede per induzione e favoreggiamento della prostituzione nella vicenda di Ruby. L’iscrizione nel registro avviene il 15 gennaio 2010.

Gianluca Rinaldin (Pdl) il 16 aprile 201o viene iscritto nel registro degli indagati per corruzione, truffa aggravata, finanziamento illecito ai partiti e falso. L’inchiesta riguarda presunte tangenti nel settore turistico del lago di Como. L’indagine era stata ribattezza la “Tangentopoli lariana”.

Massimo Ponzoni (Pdl) il 19 settembre 2011 l’ex assessore regionale all’Ambiente é indagato per bancarotta e poi per corruzione, nonché coinvolto nella maxi-operazione Infinito contro la ‘ndrangheta. Arrestato.

Franco Nicoli Cristiani (Pdl), ex vicepresidente del Consiglio regionale lombardo, è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta per una presunta tangente da 100 mila euro. Le indagini hanno portato anche al sequestro di alcuni cantieri della Brebemi in territorio di Milano e Bergamo. Le manette scattano il 30 novembre 2011.

Angelo Giammario (Pdl) il 14 marzo 2012 riceve la visita dei carabinieri che indagano il consigliere per l’ipotesi di corruzione e finanziamento illecito dei partiti. La vicenda in questione è legata agli appalti per il verde pubblico, soprattutto tra Milano e la Brianza.

 Romano La Russa (Pdl)l’assessore alla sicurezza della regione Lombardia e fratello dell’ex ministro alla Difesa viene indagato il 19 marzo 2012 per finanziamento illecito ai partiti nell’ambito dell’inchiesta sul caso Aler.

Roberto Formigoni (Pdl) presidente della Regione Lombardia è stato iscritto nel registro degli indagati il 23 giugno 2012, nell’inchiesta della Procura di Milano sui 70 milioni di euro che il polo privato della sanità Fondazione Maugeri ha pagato negli anni al consulente-mediatore Pierangelo Daccò.

Filippo Penati (Pd) è indagato dal 20 luglio 2011, per presunte tangenti per gli appalti dell’area Falck, si è dimesso dalla sua carica nel Consiglio regionale della Lombardia, dove era vicepresidente, mai da consigliere.

Alessandra Massei ex dirigente alla Programmazione sanitaria è indagata il 7 giugno 2012 per la vicenda giudiziaria che ruota intorno alla fondazione Maugeri.

Carlo Lucchina il direttore generale dell’assessorato alla Sanità compare il 14 giugno 2012 come indagato, perché accusato di turbativa d’asta su finanziamenti regionali, stanziati e in alcuni casi già erogati dalla Regione Lombardia, nell’ambito degli accordi stipulati tra aziende private.

“Ma vero c’è il mondo?”, non ci credo che c’è il mondo, sono farfanterie

Pastore: Io faccio il pastore, questo ci posso dire.
Giuseppe Romolo Morelli: Perfetto, parla da’ pastorizia.
Pastore: La cosa bella di essere pastore è che con le stelle ci ragiona. I paesani non li talíano mai alle stelle, invece il pastore, in campagna, di notte, è diverso. Io dalle volte guardo le stelle e parlo: “Ma vero c’è il mondo?”, non ci credo che c’è il mondo, sono farfanterie. Lo penso pure quando talío un coniglio ammazzato. L’occhio pare sempre vivo e mi talía, come quando si talía un quadro. Io una volta l’ho visto un quadro, e pure che mi muovevo di una parte e dall’altra talíava sempre a me.

(L’uomo delle stelle, 1995)

Formigoni e la farsa che si sgretola (cronaca di una conferenza stampa bipolare)

Meraviglioso. Un pezzo che nemmeno Beckett riuscirebbe ad immaginare.
Formigoni arriva in sala stampa con i collaboratori e gli assistenti che non sanno più come limitare il suo sfanculamento facile a qualsiasi cosa puzzi di informazione.
Dice che la notizia è falsa.
Non è indagato.
Anzi, no, forse semplicemente non è ancora stato informato.
E comunque se è indagato non si dimette (l’avevo scritto stamattina, non c’è bisogno di essere sibille).
E qualcuno gli ricorda che aveva promesso le dimissioni. “Altro tempo storico” dice lui. Ah. Allora va bene così, certo.
Poi parla della stampa comunista che gli tende un trappolone (il Corriere della Sera comunista è roba da TSO).
Dice che anche gli altri sono indagati. E che anzi lui sarebbe tra i più bravi perché è durato da “vergine” più a lungo.

Nessuno parla del punto politico.

Qualcuno non può permettersi di urlare troppo perché da altre parti siamo al rinvio a giudizio per il braccio destro del segretario nazionale.

Nessuno dice che è il modello a fallire, mica Formigoni.

Tutti sanno che non si dimette.
Tutti sanno che bisogna correre per fare un comunicato stampa in cui si chiedono le dimissioni.
Poco, però, non troppo.
Finisce la conferenza stampa.
Si va tutti a pranzare.

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