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Giulio Cavalli

I reati ambientali in serie B

Sto leggendo (e faccio solo un esempio) una sentenza della Corte d’Appello L’Aquila che conferma una sentenza di  condanna del Tribunale di Sulmona; reati di abuso edilizio e collegati. Fatti accertati nel novembre 2005, quindi  verosimilmente applicabile la vecchia prescrizione (4 anni e mezzo). Sentenza di primo grado nel 2008, sentenza di appello 7 giorni dopo la scadenza dei quattro anni e mezzo; prescrizione non dichiarata, con scelta assolutamente non motivata.
Primo motivo di ricorso: mancata estinzione dei reati per prescrizione.
Osservo:
1.  in cinque anni di lavoro in Terza Penale è la prima volta (se non erro) che vedo una sentenza per reati edilizi pronunciata dal Tribunale di Sulmona. Lo stesso potrei dire per molte altre sedi di tribunale;
2. fissare l’udienza di appello sette giorni dopo la scadenza dei quattro anni e mezzo può essere casualità (con quel che ne consegue), se no sarebbe una beffa;
3. non dichiarare i reati prescritti senza alcuna motivazione è da solo elemento che può giustificare un ricorso (e dunque la prescrizione anche quinquennale);
4. l’eventuale dichiarazione di prescrizione in cassazione travolge l’ordine di demolizione.

Ne parliamo sabato, a Brescia, con #nonmifermo alle 14.30 presso l’Oratorio S. Maria in Silva (Via Sardegna, 24 – vicino alla stazione ferroviaria). Partendo dalla riflessione pubblicata sul blog di Non Mi Fermo.

La cultura che si oppone alle mafie

Video della conferenza su “La cultura che si oppone alle mafie”, del 18 maggio 2012, tenuta da Giulio Cavalli autore di teatro civile e Danilo Chirico, giornalista e scrittore.
Si tratta del penultimo incontro del corso di formazione “Legalità, cittadinanza e istituzioni dello Stato nell’ambito della lotta alle mafie”.
Gli incontri, in programma fino a luglio 2012, sono stati organizzati da Ascrid insieme alla Fondazione Basso e si inseriscono all’interno di un progetto della Tavola Valdese.

Intervento di Giulio Cavalli

La “ditta”, Penati e la questione morale

Chi lo conosce non dubita che Filippo Penati abbia sempre lavorato per il suo partito prima che per sé stesso. Ha condiviso senza interruzioni le sorti della” ditta”. Così usava chiamarla ironicamente Bersani: dalla militanza comunista ai Ds fino al Partito democratico. Il segretario del Pd delegò Penati come suo emissario nel Nord Italia, prima di sceglierlo come braccio destro a Roma. Per un decennio gli sono state affidate relazioni delicate con ambienti imprenditoriali, soprattut!o nel settore delle infrastrutture. E impensabile che Penati le abbia coltivate prescindendo da una visione condivisa. Per questo gli atti resi pubblici dalla magistratura di Monza con la richiesta di rinvio a giudizio per corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti, esigono un chiarimento politico per il quale non serve attendere gli esiti giudiziari della vicenda. Cavarsela ricordando che Penati si è autosospeso dal partito, tanto più ora che Bersani avanzala propria candidatura al governo del paese, apparirebbe come una reticenza inspiegabile. Dalla lettura degli atti istruttori emergono domande squisitamente politiche: è opportuno che un dirigente di partito rivesta una funzionereticolarediintermediazione con aziende private e cooperative, finalizzata alla spartizione di appalti e licenze? E ancora: è accettabile che gliene derivino finanziamenti trasversali per l’attività politica di partito e sua personale? Infine: che lezione intende trarre il Partito Democratico sui rapporti fra politica e affari evidenziati dalle inchieste sull’ AutostradaMilano Serravalle e sulle aree industriali dismesse di Sesto San Giovanni? Il ricorso a professionisti di fiducia e l’inserimento nei cda di funzionari legati al partito, deve essere considerata una prassi necessaria?

Gad Lerner su Repubblica, oggi.

#nonmifermo salvaguardia dell’ambiente come tutela dell’individuo

Luciano mi ha insegnato che la cultura è una sorta di accordo tra cuore, anima e mente, che il concetto di etica può essere applicato a tutti i settori e le forme di vita, mi ha guidato in un percorso teso a sperimentare la possibilità di vivere a contatto ed in armonia con la natura, affinchè riuscissi un giorno ad osservare in profondità persino gli alberi, perché una semplice pianta, costituisce in realtà un “tempio della biodiversità” (senza contare che a volte sono riuscita ad individuarne persino l’anima…). Ho ascoltato Luciano difendere l’ambiente in innumerevoli occasioni, ed ogni volta, mentre discuteva della relazione empatica tra la terra, l’uomo e la natura, nei suoi occhi si accendeva lo stesso stupore, i miei pensieri e quelli degli altri presenti si elevavano verso l’infinito e tutto pareva trascendentale: senza accorgertene facevi parte anche tu del quadro meraviglioso che è la vita. Luciano si è sempre battuto, come molti di noi del resto, per la salvaguardia dell’ambiente, la lotta alle sperequazioni ed alle deturpazioni, e la tutela dell’universo, del quale siamo parte:  per questo occorre custodire il nostro pianeta e le sue bellezze.
Puntiamo sulla salvaguardia dell’ambiente come tutela dell’individuo, la distruzione delle ecomafie ad opera della pubblica amministrazione e della politica, prima ancora che della magistratura, come segno di spessore etico di coloro i quali dovrebbero rappresentarci nelle istituzioni, puntiamo su un legislatore che crea (e soprattutto applica) normative cogenti, e commina (ed esegue realmente), condanne più severe a coloro che non osservano le prescrizioni dettate dalle normative di settore.

Una riflessione di Manila sul rapporto ambiente-uomo per prepararsi all’agorà di #nonmifermo di sabato a Brescia.

Indagano Lucchina ma si sgretola Formigoni

Attenzione, la difesa è già scritta. Formigoni ha sempre detto che nulla che riguardasse la Regione era mai stato messo in discussione. Adesso ci dirà che l’eventuale infedeltà del Direttore Generale della Sanità (il cuore del potere formigoniano) non può mettere in discussione il suo operato. E’ lo scaricabarile: pratica banale e abusata. E intanto si sgretola tutto. E più si sgretola e più il Governatore si inchioda alla sedia.

Ventotto indagati, tra cui il direttore generale della sanità Carlo Lucchina, al quale viene contestato il reato di turbativa d’asta, nell’ambito di un’indagine su finanziamenti pubblici regionali, stanziati e non stanziati, per qualche milione di euro. L’indagine, ordinata dal pm Carlo Nocerino, avrebbe fatto luce sugli accordi tra aziende private e ospedali pubblici per l’acquisto di strumenti per la sperimentazione clinica ad alto contenuto tecnologico finanziati da Regione Lombardia. Sono in corso interrogatori davanti al pm di Milano, Carlo Nocerino. Sono state effettuate perquisizioni negli uffici del direttore Lucchina in Regione e negli ospedali Niguarda a Milano, di Lecco, di Busto Arsizio e Saronno: impiegati una settantina di militari del Nucleo Speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza con la collaborazione degli uomini del Nucleo di polizia tributaria di Milano. L’assessorato alla Sanità delle Ragione Lombardia ha precisato che le perquisizioni non hanno riguardato i propri locali, e che l’assessore Luciano Bresciani non figura nell’elenco degli indagati.

LE SPERIMENTAZIONI – L’inchiesta, nella quale sono indagate una trentina di persone, nei confronti delle quali sono ipotizzati a vario titolo i reati di associazione per delinquere, turbativa d’asta, rivelazione del segreto d’ufficio e peculato, è coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dal pm Carlo Nocerino. Le indagini riguardano principalmente presunti accordi per pilotare l’assegnazione di progetti di sperimentazione clinica ad alto contenuto tecnologico finanziati dalla Regione Lombardia. Oltre a Lucchina, tra le persone indagate ci sono funzionari dell’assessorato alla Sanità e delle aziende ospedaliere coinvolte.

Quel pasticciaccio brutto di Expo e i suoi appalti

da Affaritaliani

BOTTA…/ “Apprendo da un’intervista di oggi che Giuseppe Sala, a.d. di Expo 2015, “consiglia” di non rendere pubblici i nomi delle ditte subappaltatrici dei cantieri Expo, appellandosi a nebulose questioni di privacy suggerite dai suoi legali. Ritengo che l’affermazione di Sala sia grave, strumentale e irresponsabile e contraddica la tanto sventurata linea di trasparenza e controllo. Le notizie sulle ditte subappaltatrici pubblicate anche sul mio blog (https://www.giuliocavalli.net/2012/05/21/il-primo-appalto-di-expo-2015-e-quello-strano-odore/), sono dati che mi rifiuto di delegare ad organismi di controllo senza una partecipazione reale dei cittadini, dei comitati e del mondo dell’informazione. Mi auguro che Roberto Formigoni e il dimissionario Giuliano Pisapia smentiscano questa linea con forza, senza diventare complici di una segretezza che non può sicuramente fare bene alla democrazia e invito Sala ad illustrarci secondo quale norma quei subappalti non vadano raccontati”. Lo dichiara il consigliere di Sel Giulio Cavalli.

…E RISPOSTA/ “Le parole del consigliere regionale di Sel, Giulio Cavalli non corrispondono al vero. Come prevede la legge, l’elenco delle ditte appaltatrici e subappaltatrici è esposto all’ingresso del cantiere di Expo Milano 2015. E’ spiacevole che il consigliere faccia allusioni a atteggiamenti poco trasparenti. Per averne conferma basta ascoltare la risposta dell’AD Giuseppe Sala alla giornalista de Ilfattoquotidiano.it. Le parole di Sala, il tono e, soprattutto, il senso generale delle affermazioni, sono chiaramente orientate nella direzione della totale disponibilità ed apertura al dialogo. Questa è la linea di Expo 2015 e tale resterà per tutti i prossimi anni”. E’ quanto si legge in una nota diramata dalla stessa società Expo.

…E CONTROREPLICA/ Ecco la dichiarazione di Cavalli: “In riferimento alla risposta di Expo Milano 2015 invito a riascoltare le parole di Giuseppe Sala che dice “noi siamo per la tutela della privacy delle aziende subappaltatrici perché lo dice la legge”, senza nessun senso generale delle affermazioni, come dice il comunicato della società Expo. Mi dica Sala (e non la società Expo Milano 2015) se si riconosce nel senso di quelle parole, cosa può dirmi delle notizie apparse e perché siamo stati così sfortunati da trovare un cartello all’ingresso di un cantiere, che non cita le ditte subappaltatrici.

Sala, inoltre, parla di consigli arrivati dai suoi legali e, in qualità di consigliere regionale, esigo di sapere le norme alle quali fanno riferimento. La reazione isterica (e palesemente falsa) contro di me ha l’odore di un imbarazzo.

Ma non è finita qui, perché Cavalli allega alla sua replica anche un post del suo sito pubblicato il 12 maggio:

(i post segnalati sono qui e qui)

Grave e strumentale la privacy di Sala in nome dell’Expo

[comunicato stampa]  Apprendo da un’intervista di oggi che Giuseppe Sala, a.d. di Expo 2015, “consiglia” di non rendere pubblici i nomi delle ditte subappaltatrici dei cantieri Expo, appellandosi a nebulose questioni di privacy suggerite dai suoi legali.

Ritengo che l’affermazione di Sala sia grave, strumentale e irresponsabile e contraddica la tanto sventurata linea di trasparenza e controllo.

Le notizie sulle ditte subappaltatrici pubblicate anche sul mio blog, sono dati che mi rifiuto di delegare ad organismi di controllo senza una partecipazione reale dei cittadini, dei comitati e del mondo dell’informazione.

Mi auguro che Roberto Formigoni e il dimissionario Giuliano Pisapia smentiscano questa linea con forza, senza diventare complici di una segretezza che non può sicuramente fare bene alla democrazia e invito Sala ad illustrarci secondo quale norma quei subappalti non vadano raccontati.

Milano, 13 giugno 2012

Le due giustizie di Genova 2001

C’è una giustizia che assolve e addirittura promuove De Gennaro e una giustizia che condanna per devastazione e saccheggio. Ma il punto è politico e di memoria collettiva. Per questo ho firmato l’appello di 10×100 che ha un senso di memoria e libertà.

APPELLO ALLA SOCIETÀ CIVILE E AL MONDO DELLA CULTURA

La gestione dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese del luglio del 2001, rappresenta una ferita ancora oggi aperta nella storia recente della repubblica italiana.

Dieci anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera, come Gianni De Gennaro, da poco nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, il prossimo 13 luglio dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere complessivi, in nome di un reato, “devastazione e saccheggio”, che rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco.

Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire chi si opponeva al regime fascista. Oggi viene utilizzato ipotizzando una “compartecipazione psichica”, anche quando non sussiste associazione vera e propria tra le persone imputate. In questo modo si lascia alla completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il compito di decidere se applicarlo o meno.

E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, questa aberrazione giuridica rimanga nel nostro ordinamento e venga usata per condannare eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001.

Non possiamo permettere che dopo dieci anni Genova finisca così, per questo facciamo appello al mondo della cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando questo appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate.

Per una battaglia che riguarda la libertà di tutte e tutti.

Firma l’appello.

L’informazione è cibo

Geniale Rangaswami per TED:

Adoro il mio cibo. E adoro l’informazione. I miei figli di solito mi dicono che una di queste passioni è più evidente dell’altra. (Risate)

Ma quello che voglio fare nei prossimi 8 minuti è spiegarvi come si sono sviluppate queste passioni, il momento della mia vita in cui le due passioni si sono fuse, il percorso di apprendimento che si è verificato a partire da quel momento. E un’idea che voglio lasciarvi oggi è cosa accadrebbe di diverso nella vostra vita se vedeste l’informazione nel modo in cui vedete il cibo?

Sono nato a Calcutta — una famiglia dove mio padre e suo padre prima di lui erano giornalisti, e scrivevano su riviste in inglese. Era l’attività di famiglia. E per questo motivo, sono cresciuto con libri ovunque per casa. E intendo letteralmente libri ovunque per la casa. Questo è un negozio a Calcutta, ma è un posto dove i nostri libri ci piacciono. Di fatto, ne ho ora 38 000 e nessun Kindle in vista.

Ma crescere da bambino con libri ovunque, con gente con cui parlare di questi libri, non ha avuto poca influenza sulla mia educazione.

Arrivato a 18 anni, avevo una profonda passione per i libri. Non era la mia unica passione. Sono del sud dell’India cresciuto a Bengala. Ci sono due cose su Bengala: adorano i loro piatti saporiti e adorano i dolci. Quando ero ragazzo avevo una sana passione per il cibo. Era la fine degli anni ’60, i primi anni ’70 e avevo anche altre passioni, ma queste erano quelle che mi differenziavano. (Risate)

E la vita non era male, era fantastica. Tutto andava bene, finché non sono arrivato a 26 anni, e sono andato a vedere un film intitolato “Corto Circuito”. Qualcuno di voi l’ha visto. Apparentemente ora lo rifanno e uscirà l’anno prossimo. È la storia di questo robot sperimentale che viene fulminato e prende vita. E mentre avanzava questa cosa diceva: “Necessito input. Necessito input”.

Improvvisamente mi sono reso conto che per un robot informazioni e cibo sono la stessa cosa. L’energia arriva loro in qualche forma, i dati arrivano loro in qualche forma. Ho cominciato a pensare, e mi sono chiesto cosa accadrebbe se cominciassi a immaginare me stesso in un contesto in cui energia e informazione fossero i miei due input, se cibo e informazione avessero una forma simile.

Ho cominciato a fare ricerche ed è stato un viaggio lungo 25 anni, ho cominciato a scoprire che gli esseri umani in quanto primati hanno uno stomaco molto più piccolo in proporzione al loro peso corporeo e un cervello molto più grande.

E nell’approfondire la ricerca, sono arrivato al punto in cui ho scoperto una cosa chiamata teoria del tessuto costoso. Ossia, per una data massa corporea di un primate il tasso metabolico è fisso. Quello che cambia è l’equilibrio dei tessuti disponibili. E due dei tessuti più costosi nel nostro corpo umano sono i tessuti nervosi e i tessuti digestivi. E quello che è accaduto è che è stata avanzata un’ipotesi che apparentemente stava ottenendo risultati favolosi intorno al 1995. È una donna di nome Leslie Aiello.

L’articolo allora suggeriva che fossero intercambiabili. Se volevi che il cervello di una data massa corporea fosse più grande, dovevi vivere con uno stomaco più piccolo.

Questo mi ha completamente disorientato e ho detto: “Ok, questi due sono connessi”. Ho quindi guardato alla coltivazione dell’informazione come se fosse cibo e ho detto: Allora eravamo cacciatori-raccoglitori di informazioni. E da quello siamo diventati contadini e coltivatori di informazione.

Questo spiega davvero quello che vediamo oggi nelle battaglie per la proprietà intellettuale? Perché quelle persone che erano in origine cacciatori-raccoglitori volevano essere liberi di girovagare e prelevare l’informazione come volevano, e coloro che coltivavano l’informazione volevano costruirci attorno una recinzione, creare proprietà, ricchezza, struttura e insediamento. Quindi ci sarebbe sempre stata una certa tensione. E tutto quello che ho visto nella coltivazione mi diceva che c’erano grandi lotte tra gli amanti del cibo tra i coltivatori e i cacciatori-raccoglitori. E succede anche qui.

Quando sono passato all’università era la stessa cosa, solo che c’erano due scuole. Un gruppo di persone diceva che si poteva estrarre l’informazione, si può estrarre valore, separarlo e servirlo, mentre un altro gruppo, al contrario, ha detto no, lo si può far fermentare. Lo si mette tutto insieme e lo si mescola e il valore si ottiene in quel modo. La stessa cosa vale per l’informazione.

Ma con il consumo comincia a diventare veramente divertente. Perché quello che ho cominciato a vedere era che c’erano talmente tanti modi per consumare. Comprarla dai negozi come se fossero ingredienti. La cucinate? Ve la fate servire? Andate al ristorante? La stessa cosa valeva ogni volta che cominciavo a pensare all’informazione.

Le analogie diventavano pazzesche — le informazioni avevano date di scadenza, la gente usava impropriamente l’informazione scaduta provocando conseguenze sui mercati azionari, sul valore delle aziende, ecc. E mi sono lasciato trascinare. E questo processo dura da 23 anni.

Ho cominciato a pensare a me stesso, a noi che cominciamo a mescolare fatti e finzione, film-verità, pseudo-documentari, chiamateli come volete. Raggiungeremo la fase in cui l’informazione conterrà una percentuale di fatti reali? Cominciamo a etichettare l’informazione a seconda della percentuale di fatti? Quando la fonte di informazione sarà esaurita, cominceremo a vedere quello che succede, come se ci fosse carestia?

Il che mi porta all’elemento finale. Clay Shirky una volta ha affermato che il sovraccarico d’informazione non esiste, c’è solo un filtro guasto. Lascio a voi questa informazione, se vista dal punto di vista del cibo, non è mai un problema di produzione; non si parla mai di sovraccarico di cibo. Sostanzialmente si tratta di un problema di consumo. E dobbiamo cominciare a pensare a come creare noi stessi diete ed esercizi, per avere la possibilità di trattare l’informazione per etichettarla in maniera responsabile. Quando ho visto “Supersize Me” ho cominciato a pensare “Cosa succederebbe se un individuo affrontasse 31 giorni di Fox News ininterrotte?” (Risate) Avrebbe il tempo di processare il tutto?

Cominciate veramente a capire che si possono contrarre malattie, tossine, necessità di una dieta bilanciata, e una volta che cominciate a guardare, e da quel punto in avanti, tutto quello che ho fatto in termini di consumo di informazione, di produzione di informazione, di preparazione dell’informazione, l’ho guardato dal punto di vista del cibo. Probabilmente non è stato di aiuto al mio girovita perché mi piace esercitarmi su entrambi i fronti.

Ma vorrei lasciarvi con una sola domanda: Se cominciaste a pensare all’informazione che consumate nel modo in cui pensate al cibo, cosa fareste di diverso?

Grazie per il tempo che mi avete dedicato.

(Applausi)

Il colpevole dimenticato: Persinsala sullo spettacolo ‘L’innocenza di Giulio’

Riportare in prima pagina la verità e rispolverare la memoria degli italiani. L’intento di Giulio Cavalli, attore sotto scorta e consigliere regionale lombardo tra le fila di Sinistra Ecologia e Libertà, è chiaro. E, dopo un’ora e mezza di rappresentazione civile di cinquant’anni d’Italia, emerge trasfigurando l’essenza di un mondo che è stato e che forse ancora è. In L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto, l’unico attore – ben spalleggiato dalla regia di Renato Sarti – sente il dovere morale di far presente la colpevolezza del sette volte primo ministro della Dc, nel parlamento italiano da più di sessant’anni: dall’Assemblea costituente a oggi. Rivive, in questo capolavoro di teatro impegnato, la faccia spesso occultata di Andreotti, l’alter ego dell’uomo in impermeabile e con la battuta sempre pronta. Cavalli chiede al pubblico, alla fine abbondante negli applausi e colpito fino alla commozione, una “collusione di dignità” per attraversare la vita del torbido timoniere e riportare alla luce quella condanna per associazione a delinquere con Cosa Nostra spazzata via in secondo grado, e poi in Cassazione, soltanto dalla prescrizione. Che ha sventato la sentenza, ma non cancellato i fatti.
“Occorre puntualizzare sempre”, non si stanca di ripetere Cavalli, impegnato in un monologo su un palco abbastanza disadorno: soltanto un video che proietta nomi e date e un inginocchiatoio su cui, Bibbia alla mano, genuflettersi per far scivolare via ogni accusa. “Altrimenti si tende a legittimare una politica che tesse rapporti con il malaffare”. Cavalli, che dello spettacolo ne ha poi fatto un libro (“L’innocenza di Giulio” – Edizioni Chiarelettere), rivanga il passato del Divo ricostruendo i suoi rapporti stretti con la Sicilia mafiosa, il suo comportamento sfuggente in occasione del rapimento di Aldo Moro, gli incroci con le peripezie del banchiere Sindona, gli ingranaggi tra politica, mafia e Vaticano, la sua estraneità all’omicidio del generale Dalla Chiesa, seguita dall’assenza al funerale. “Ma soltanto perché a questi preferisco i battesimi”, si affrettò a respingere le illazioni Andreotti.
Il video delle vittime della mafia dalla fine degli anni ’70 alle soglie del 2000, accompagnato da “I cento passi” dei Modena City Ramblers, è la più cruda e asciutta ricostruzione storica che non cita mai Belzebù, ma dà agli spettatori l’idea che la sua mano nella regia di questi omicidi ci sia stata, eccome. L’ultimo spettacolo del Teatro della Cooperativaè una completa ricostruzione storica della politica degli ultimi decenni. Peccato, però, che la situazione di oggi non sia poi tanto diversa.

Lo spettacolo continua: Teatro della Cooperativa
via Hermada, 8 – Milano
fino a sabato 16 giugno
orari: da mercoledì a sabato, ore 20.45

Produzione Bottega dei mestieri teatrali – Teatro della Cooperativa presentano:
L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto
di e con Giulio Cavalli
con la collaborazione di Giancarlo Caselli e Carlo Lucarelli
regia Renato Sarti
musiche originali Stefano “Cisco” Bellotti

da persinsala