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Giulio Cavalli

#apply194 Legge 194 e obiezione di coscienza, tanto per tenere il punto

A 34 anni dall’approvazione della legge proviamo a parlarne al Pirellone. Per tenere il punto (che di questi tempi fa sempre bene) e perché forse è necessario chiarirci. Mentre l’UDC sappiamo bene come la pensa e il “nuovissimo” Renzi definisce la discussione sulla legge “ideologica e poco seria”.

Ecco, in tempi di coalizione confuse sui diritti civili, noi quello che pensiamo ce lo diciamo qui:

Italia – Germania

Cesare Alemanni su una partita e, più in generale su un Paese che ha perso la fantasia (uno di quei pezzi che leggi e pensi che ha la forma di quello che pensavi e non avevi ancora scritto):

Paginate e paginate d’inchiostro per riempire confronti così dozzinali e primitivi che paiono usciti da un volantino del Ventennio (se non fosse che all’epoca, si era “in buoni rapporti” diciamo) e che denotano una percezione piuttosto provinciale e sommaria, mettiamola così,  non solo del processo d’integrazione europea che è già abbastanza in crisi senza campanilismi di ritorno ma anche e soprattutto della sostanza dell’evento che, davvero, non ha nulla a che fare con una battaglia campale tra il modello della grande industria e della piccola media impresa o tra gli italici vizi e le teutoniche virtù. È una partita di calcio giocata da un campione ristretto, in tacchetti e pantaloncini, di individui delle due nazioni. Niente di più e, ovviamente, niente di meno. E direi che in ogni caso è già abbastanza per godersela così senza andare alla ricerca di altri generi di rivincita e riscatto.

Estendere oltre la narrazione, sconfinando nel campo della Crisi politico/economica europea o in quello di ataviche divergenze culturali, è una tentazione che torna comoda per riempire i giornali ma credo sia un gesto molto pigro e soltanto generatore di confusione, esattamente il tipo di gesto per cui, qua e là per il mondo, ci guardano con un angolo del labbro leggermente alzato. Anche perché, volendo essere meno pigri, restando nel campo dell’attualità sportiva, le trame narrative non mancano di certo. A partire dai precedenti storici fino ad arrivare al presente che offre una delle selezioni azzurre meno tradizionaliste di sempre e una delle nazionali tedesche più estrose degli ultimi trent’anni.

Del resto però, la mancanza di fantasia, è uno dei grandi problemi del dibattito (sportivo e non solo) nostrano e così ogni volta che noi e i tedeschi ci si incontra su un prato verde si tirano fuori dal congelatore i vecchi stilemi su Birkenstock e mandolini. Una pratica a cui, va detto, non si sottraggono nemmeno i tabloid della controparte. Ma, appunto, ho detto tabloid.

Il centrosinistra a forma di cicuta

Nichi Vendola in un’intervista di oggi (almeno per chiarire le idee su quello che si diceva poco fa, eh):

Per cambiare il Paese, deve aspirare a guidarlo, Presidente. Il centrosinistra sta scaldando i motori per scegliere il candidato alla premiership: Lei che fa?
A me pare che ci sia qualcuno che sta scaldando i motori, ma non so se sia il centrosinistra a scaldare i motori, perchè il punto è che io non so se esiste il centrosinistra. Questo è il tema per me fondamentale. Vedo Bersani che sta scaldando i motori soprattutto con l’apparato del suo partito, Renzi sta facendo lo stesso in particolare con un pezzo di istituzioni e con un un pezzo di borghesia capitalista. Ma non vedo il centrosinistra in campo.

E quando lo vedremo il centrosinistra in campo?
Quando verrà definito quale è il suo minimo comune denominatore. Perchè noi possiamo avere differenze importanti su tante questioni e nelle primarie ci si gioca su questo una partita. Però un conto è se uno dice unioni civili e l’altro matrimoni gay, ma diventa difficile pensare di competere con chi propone i cimiteri per i feti. Ci sono delle questioni preliminari che vanno affrontare e sta al Pd, che è il partito più grande, dare qualche risposta. E fino ad ora le risposte, che consentono di capire quale è il percorso e quali sono gli alleati, sono sfuggenti e contraddittorie.

Non è che Lei sta prefigurando una situazione in cui il minimo comune denominatore non si troverà e quindi, Sel, pezzi di Fiom e movimentismo faranno una autonoma corsa alla sinistra del Pd?
Guardi, io voglio dire che nulla è scontato. Le cose bisogna costruirle e quando parliamo di centrosinistra evochiamo soggetti che oggi non esistono. Il centrosinistra è quell’alleanza politico elettorale che si è presentata alle ultime elezioni amministrative? O ha una diversa configurazione? Di che coalizione stiamo parlando? Parliamo di una coalizione che ha il segno culturale del governo Monti? O parliamo di una coalizione che ha il segno culturale di un’alternativa radicale al liberismo?

Vista come è andata in passato, credo che da una discussione di questo tenore non ne uscirete vivi
Però, vede, si tratta di domande importanti. Io sono ammirato da alcune elaborazioni che leggo su L’Unità e che provengono dal Pd, dove ci sono menti autorevoli e raffinatissime, che indicano la plutocrazia come il soggetto promotore di crisi; il problema è che le conseguenze politiche che si traggono in Parlamento vanno veramente da un’altra parte. Insomma, io non vorrei sottoscrivere un programma in cui c’è una parte filosofica tutta da condividere ed una parte politica che è cicuta da bere.

Libero libro

Lo dice il Guardian: Piccola ma significativa rivoluzione in alcune carceri di massima sicurezza brasiliane: quattro prigioni sono state selezionate come test di un nuovo programma del governo di Dilma Rousseff che permette ai detenuti di godere di quattro giorni di libertà per ogni libro letto (letteratura, filosofia e scienza sono gli argomenti al centro della proposta). Il recluso dovrà poi scrivere un saggio breve a partire dal testo e, previa valutazione di un comitato, otterrà il permesso di novantasei ore.

C’è un limite però: quarantotto giorni ogni anno, ovvero dodici libri. E il libro non va “consumato” in più di quattro settimane. Il programma si chiama “Expiação via leitura”, e l’obiettivo è quello di abbassare sensibilmente il numero di detenuti del più grande stato del Sud America, che raggiunge oggi circa 513 mila persone, il 70% delle quali, si calcola, non possiede nemmeno una licenza media.

Le primarie “fantasma” in Lombardia

Lo dico sotto voce perché ci torneremo sicuramente. Ma oggi leggendo i quotidiani la situazione lombarda è questa: Civati non esclude di candidarsi alle primarie di centrosinistra per la Regione, Tabacci su Affari Italiani non conferma, e si parla in giro di primarie “aperte”.

Ora: nessuno sa bene di che primarie si stia parlando, se qualcuno ne sta parlando e chi ne sta parlando. Ma questo ci sta, per carità. E’ che intanto Bersani abbraccia sorridente Casini a Roma e anche qui in Lombardia parecchi democratici esultano pii. E a Roma dicono che IDV non va bene, e su SEL è tutto da vedere, forse sì o forse no.

E allora mi piacerebbe sapere se i mezzi candidati in corsa hanno qualche idea in merito, se stiamo parlando del centrosinistra, del centrocentrocentrosinistra oppure sotto le mentite spoglie del “patto civico” c’è l’accordo catto-tecnico-e magari un pezzetto ciellino.

Così per sapere. Perché si legge di chi si sta parlando e non di cosa stiamo parlando.

E intanto da fuori a dettare i tempi sembra che sia proprio la Lega. Che è il favore più grande che possiamo concederle.

Formigoni go home! Il sito e l’appello.

Il tanto decantato modello lombardo, tuttaltro che un buon governo, ha favorito lo svilupparsi di un sistema clientelare e non ha risposto ai problemi dei cittadini: partendo dal lavoro per arrivare alla tutela dell’ambiente. 17 scandali in 17 anni, il Presidente di Regione indagato per corruzione, 1/5 del Consiglio Regionale indagato o condannato oggi ne sono la prova provata e sono tutte ottime ragioni per chiedere di tornare al voto.

E allora noi glielo ricordiamo. Con una mail alla sua segreteria.

Formigoni go home, il sito e l’appello da sottoscrivere lo trovate qui.

Formigoni secondo Fo

L’intervista di Oriana Liso oggi su Repubblica:

Dario Fo: mi ricorda sant’Ambrogio che diceva basta a chi si definisce da solo un santo

“Sta venendo fuori il marcio il governatore ammetta e lasci”

MI­LA­NO — Pre­mio No­bel, uo­mo di tea­tro e lom­bar­do doc. Da­rio Fo, co­sa pen­sa del­le vi­cen­de giu­di­zia­rie che coin­vol­go­no il go­ver­na­to­re For­mi­go­ni?

«Pri­ma di tut­to mi di­ca: con­ti­nua ad as­si­cu­ra­re di non es­se­re in­da­ga­to? Con­ti­nua a di­re che lui non ha fat­to pro­prio nien­te?».

Già.

«Nel quar­to se­co­lo avan­ti Cri­sto il gran­de scul­to­re Fi­dia fu in­ca­ri­ca­to di rea­liz­za­re una sta­tua di Ate­na ma par­te del­l’o­ro che ser­vi­va per la do­ra­tu­ra del­la sta­tua — rac­col­to con il con­tri­bu­to di tut­ti gli ate­nie­si, an­che dei più po­ve­ri — fu ru­ba­to. So­spet­ta­to, pro­prio Fi­dia. Che al le­gi­sla­to­re So­lo­ne ri­bat­te: “Quan­do avre­te le pro­ve cer­te che ho ru­ba­to quel­l’o­ro,al­lo­ra po­tre­te ve­ni­re a di­stur­bar­mi. Nes­su­no dei vo­stri giu­di­ci può in­di­car­mi co­me col­pe­vo­le, quin­di la­scia­te­mi tran­quil­lo”».

Il ri­fe­ri­men­to sem­bra chia­ro.

«Ri­spon­de So­lo­ne a Fi­dia: “la gen­te ha in­tui­to che tu sei col­pe­vo­le di fur­to ai dan­ni del­la po­po­la­zio­ne in­te­ra. Tu hai la pos­si­bi­li­tà e l’a­bi­li­tà per men­ti­re, ma sai co­sa ac­ca­drà? Tut­ti ti co­no­sco­no co­me un gran­dis­si­mo ar­ti­sta, ma se ti com­por­ti co­me un fur­bo qual­sia­si, nien­te po­trà sal­var­ti dal per­de­re la tua glo­ria. Sce­gli tu, a me fai tan­ta pe­na”. A que­sto pun­to Fi­dia scop­pia a pian­ge­re e di­ce: so­no col­pe­vo­le».

Si aspet­ta che il pre­si­den­te For­mi­go­ni fac­cia lo stes­so?

«Mi pia­ce­reb­be ve­de­re For-mi­go­ni am­met­te­re sem­pli­ce­men­te: “sì, so­no col­pe­vo­le”. Sen­za ar­ro­gan­za, sen­za que­ste iro­nie con­ti­nue, que­sto mo­do sprez­zan­te di ri­ven­di­ca­re fe­ste, pran­zi, ba­gni. Di­ce: “so­no pu­ro co­me l’ac­qua di fon­te”. Ma nean­che Ge­sù ha mai det­to una co­sa co­sì pre­sun­tuo­sa. Quel­lo su Fi­dia è un rac­con­to di­men­ti­ca­to dal­la sto­ria: em­ble­ma­ti­co an­che que­sto di co­me la no­stra cul­tu­ra ab­bia per­so per stra­da va­lo­ri co­me l’o­ne­stà, la tra­spa­ren­za, la cul­tu­ra stes­sa».

Cre­de che le ec­cel­len­ze lom­bar­de — co­me la cul­tu­ra, ap­pun­to, non so­lo la sa­ni­tà — ri­schi­no il de­cli­no?

«Ma lo so­no già, in de­cli­no. Per an­ni ci si è van­ta­ti di una re­gio­ne ai pri­mi po­sti nel pro­dur­re cul­tu­ra, la­vo­ro, ope­re pub­bli­che e tan­to al­tro. Ma è co­me se per an­ni si­fos­se ster­ra­ta so­lo la su­per­fi­cie del ter­re­no, la­scian­do che sot­to pro­li­fe­ras­se il mar­cio. E il mar­cio ora sta ve­nen­do fuo­ri: quan­to so­no gli in­da­ga­ti, in Re­gio­ne? Sia­mo go­ver­na­ti da una strut­tu­ra di cor­rot­ti che re­sta­no at­tac­ca­ti di­spe­ra­ta­men­te al­le lo­ro pol­tro­ne men­tre sta an­dan­do tut­to in ro­vi­na. An­zi, pro­prio chi ci go­ver­na sta man­dan­do tut­to in ro­vi­na».

È una vi­sio­ne mol­to pes­si­mi­sta, la sua. Non c’è mo­do di fer­ma­re que­sta fra­na?

«Bi­so­gne­reb­be riu­sci­re a cac­cia­re i fan­ta­smi, co­me li chia­ma­va San­t’Am­bro­gio. Che di­ce­va, di Mi­la­no: ba­sta con que­sti uo­mi­ni che si tra­ve­sto­no da san­ti, che si de­fi­ni­sco­no da so­li, dei san­ti. Non sem­bra­no le pa­ro­le di For­mi­go­ni, que­ste?».