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Giulio Cavalli

#nonmifermo Lo dice anche chiesacattolica.it

Che a Bergamo, sabato 12 maggio vale la pena partecipare alla seconda Agorà di #nonmifermo. E, al di là delle facili ironie sui patetici inseguimenti di qualcun’altro nel campo dei cattolici, è una segnalazione che ha un senso politico. Perché non ci fermiamo. Ostinatamente, seriamente e rivendicando il diritto alla speranza andiamo a prenderci la Lombardia migliore partendo dalle fragilità e dalle debolezze da custodire. Amiamo le differenze e lavoriamo per la coesione, la contaminazione e un diverso modo di stare insieme. Senza la sussidiarietà di forma formigoniana ma con la solidarietà come scritta nella Costituzione. Sabato a Bergamo, in fondo, parte la nostra più bella campagna progettuale. Per la Lombardia migliore che già c’è.

L’evento su facebook.

Il programma della giornata.

Maugeri: quando si parla senza sapere (e senza esserci stati). Lettera aperta al ‘collega’ pidiellino Vittorio Pesato.

Toh, apro il giornale e leggo le parole del “collega” Vittorio Pesato (consigliere regionale PDL protofascista fondatore della corrente “i patrioti“, per dire) su La Povincia Pavese:

Il caso Maugeri fa discutere i consiglieri regionali. A Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi (Sinistra ecologia e libertà) che avevano chiesto il blocco dei finanziamenti ai progetti della fondazione replica Vittorio Pesato (Pdl). «Una richiesta fuori luogo per 3 motivi: innanzitutto perché significherebbe mettere in ginocchio un centro importante della sanità a livello nazionale, che concorre peraltro a produrre una quota pesante del pil di Pavia e provincia. In secondo luogo è sbagliato creare allarmismo tra gli utenti e tra il personale che deve invece poter lavorare sereno. Terzo punto: se chi fa politica si vuole occupare di sanità deve documentarsi in modo serio senza strumentalizzazioni». Pesato, che l’altra mattina si è recato alla Maugeri per manifestare solidarietà ai lavoratori «perché non paghino errori di altri e n on vedano sminuita la loro professionalità», tocca un’altro tema. Lo fa in modo provocatorio: «In una città come Pavia dove la sanità è preponderante nel tessuto produttivo più che in altri distretti è necessario che i manager siano del luogo, vivano sul territorio, si espongano al confronto diretto con i cittadini-utenti»

Ora, senza spendere ancora troppo tempo, per non dovere rispondere a tutti i Pesato del mondo, finalmente si può chiarire, visto che il collega pone tre questioni chiare:

Noi non abbiamo chiesto il blocco dei finanziamenti. So che La Provincia Pavese sembra non essersene accorta ma basta leggere la mozione così com’è stata discussa in Aula. Abbiamo chiesto che venisse verificata la rendicontazione dei finanziamenti ricevuti (così magari si trovano i 70 milioni di euro che mancano, no?) e che Regione Lombardia si prendesse la responsabilità di verificare il corretto utilizzo dei prossimi soldi da liquidare. Al giornalista sarebbe bastata una consultazione online o, perché no, una telefonata. A Vittorio Pesato sarebbe bastato essere presente in Aula perché ha ragione quando dice che bisogna essere informati e, quindi, essere presenti a fare il lavoro per cui si è pagati.

La serenità dei lavoratori della Maugeri e l’eccellenza professionale sarebbe meno allarmata se non ci fosse qualcosa di più di un dubbio che un faccendiere come Pierangelo Daccò abbia curato interessi propri sfruttando le amicizie con un ex assessore regionale come Simone e il compagno di vacanze Roberto Formigoni. Che, guarda caso, sono compagni (so che non ti piace il termine, Vittorio, eh) di partito del consigliere regionale Pesato nel “fu” Popolo delle Libertà.

– Sono curioso di sapere se Pesato durante la sua visita di solidarietà ai lavoratori della Maugeri sia anche riuscito a raccontare quanta forza lavoro si potrebbe stabilizzare con una cifra di 70 milioni di euro. Perché è vero che questo Consiglio Regionale della Lombardia ormai è un cumulo di barzellette ma noi cerchiamo di lavorare sulle cose importanti. E la politica pelosa ci interessa poco.

Per qualsiasi altra cosa sono qui.

 

Dove eravamo – Capaci e via D’Amelio 20 anni dopo

L’amico Massimiliano Perna ha concluso la sua ultima fatica letteraria. E forse è un libro che vale la pena di leggere.

23 maggio e 19 luglio 1992: la mafia e i suoi complici di Stato uccidono Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, otto agenti delle scorte e Francesca Morvillo. L’Italia è in ginocchio, scossa, ferita. Sembra il colpo mortale alla speranza di battere la mafia. E invece c’è una cittadinanza che reagisce, c’è il coro “fuori la mafia dallo Stato” urlato di fronte alla cattedrale di Palermo, ci sono i fischi e gli insulti alle autorità, le lenzuola bianche, le associazioni antimafia, il consolidamento di una cultura che ha portato la Sicilia e l’Italia intera a uscire dal silenzio, ad aver meno paura e a reclamare una verità che tarda ad arrivare. Dove eravamo noi in quel momento? Come abbiamo guardato al futuro, in che misura siamo cambiati e quanto le stragi del ‘92 hanno inciso sulla nostra vita e sulle nostre scelte? A vent’anni dagli attentati di Capaci e via D’Amelio, questo libro prova a raccontare quei giorni drammatici, attraverso la testimonianza di chi li ha vissuti. Non solo familiari, magistrati, giornalisti, poliziotti, persone all’epoca già in prima linea nella lotta alle mafie, ma anche donne e uomini che, a partire da quei giorni, hanno iniziato, ognuno nel proprio ambito, a combatterle.

Sono 20 i testimoni che, insieme all’autore Massimiliano Perna, hanno scelto di dare, ciascuno a suo modo, il proprio contributo di memoria: Salvatore Borsellino, Maria Falcone, Antonio Ingroia, Raffaele Cantone, Imd, Giulio Cavalli, Nando Dalla Chiesa, Renato Sarti, Lella Costa, Moni Ovadia, don Giacomo Panizza, Sonia Alfano, Dario Riccobono di Addiopizzo Palermo, Pina Maisano Grassi, Fabrizio Moro, Pino Maniaci, Salvo Vitale, Pif e Gianluigi Nuzzi, Giuseppe Casarrubea”.

Sangue per terra: a Vimodrone ci rimane sparato Giuseppe Nista, il fratello di Tyson

Le notizie che arrivano vagliano tutte le piste possibili. Ma se l’omicidio fosse collegato alle dinamiche della criminalità organizzata l’indicazione è allarmante: nuovi equilibri cercano di assestarsi e probabilmente a qualcuno a Buccinasco stanno fischiando le orecchie.

Tre colpi di calibro 7 e 65 sparati da uno scooter in corsa. Tutti hanno raggiunto il bersaglio.Giuseppe Nista, pregiudicato 44 enne, nato a Melzo, legato ad ambienti della criminalità calabrese, è morto al Policlinico di Milano. Indagano i carabinieri di Monza comandati dal colonnello Giuseppe Spina.

Nista, che era titolare di uno sfasciacarrozze a Segrate, è stato colpito in via dei Mille a Vimodrone. Pochi minuti dopo le otto del mattino, uno scooter con a bordo due uomini si è avvicinato. La sparatoria è stata velocissima. Quindi la fuga. In zona nessun ha visto o sentito nulla. Tre ore dopo il decesso in ospedale. Gli investigatori indagano su diversi fronti. Anche se la matrice più gettonata resta quella del regolamento di conti. E’ mafia? Ancora non si può dire, anche se le modalità propendono per questa pista.

Se così fosse, quattro anni dopo l’omicidio di Carmelo Novella, a Milano tornerebbe a scorrere il sangue dei clan. Un’ipotesi, quella dell’ambito mafioso, sulla quale stanno lavorando i carabinieri di Monza. Giuseppe Nista, infatti, era il fratello di Domenico Nista, arrestato nel 2005 per traffico di droga e che a partire dal 2007 ha reso dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Il suo nome compare in almeno due inchieste. La prima è quella che nel 2009 ha raccontato le infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti della Tav. Un’indagine che però a processo ha visto cadere l’accusa di associazione mafiosa imputata dall’accusa alla famiglia Paparo. Nell’ambito di quella operazione il pm Mario Venditti annota nella sua richiesta alcune dichiarazioni di Nista sul rapporto tra i Paparo e la potente cosca Nicoscia di Isola Capo Rizzuto.

Le parole di Domenico Nista, soprannominato Tyson e che già nel 1995 era definito uno “spacciatore di medio calibro” vengono riprese dagli stessi carabinieri di Monza nella informativa conclusiva agli atti dell’inchiesta Infinito. In quel frangente Nista parla di Pio Candeloro, uno dei capi della ‘ndrangheta di Desio. “Dai Pio – racconta – ritiravo non meno di 5 chili per volta e la sostanza aveva un elevato grado di purezza”.

Decisamente particolareggiate sono, poi, i suoi racconti sulla locale di Pioltello comandata da Cosimo Maiolo e Alessandro Manno. Una locale che, raccontano i pm, fu aperta dallo stesso Carmelo Novella. “I due – annotano gli investigatori – vengono ricordati da Domenico Nista in occasione di più dichiarazioni rese in qualità di collaboratore di giustizia”. Qui “Nista più volte faceva riferimento ai Manno-Maiolo come persone che sono state in grado di gestire con la propria organizzazione, un vasto traffico di stupefacenti negli anni “90. Di più, il fratello dell’uomo ucciso questa mattina, sostiene di aver ritirato “dai Manno e Maiolo considerevoli quantità di stupefacente e che il loro rapporto si interrompeva dopo circa un anno e mezzo, dopo una lite che sfociava in un conflitto a fuoco” . Dopo tutto questo Domenico Nista non è entrato nel programma di protezione. E oggi si trova in carcere a Torino. Suo fratello, invece, è morto.

E nell’omertà il problema siamo noi (lettera di un padre alle maestre)

Egregio Dirigente Scolastico,

Gentili signore Maestre,

con la presente comunicazione voglio anticipatamente giustificare l’assenza di mia figlia da scuola nella giornata di martedì 22 marzo 2011. Voglio con voi scusarmi per avere permesso alla mia primogenita di andare a letto tardi e di aver permesso che saltasse un giorno di scuola per potersi riposare. Ben sapendo dell’importanza di un corretto rapporto con i proprio doveri e ben sapendo che la scuola, e l’istruzione in generale, siano fondamentali per la crescita e la vita di una persona, ho ritenuto in quest’occasione di dover fare un’eccezione. La scelta è stata difficile, sia per l’età di mia figlia, sia per i principi miei che cerco di insegnare in casa mia. La scuola innanzi tutto, la cultura è la base della vita, qualunque sia la strada che si decide di prendere. È l’unica via per essere sempre liberi, indipendentemente dal lavoro, dalle amicizie o dal luogo in cui ci si trova. Poter pensare con la propria testa, il saper pensare fanno di noi gente libera anche all’interno di stanze con mura di un metro. Ritengo che anche la classe prima della scuola primaria sia fondamentale, anche il primo giorno, quello che per la prima volta ci fa varcare la soglia che ci porterà, se sapremo approfittarne, in capo al mondo. Perché ogni grande cammino inizia sempre con il primo passo e la scuola è la strada. Purtuttavia ho ritenuto che per un giorno la scuola dovesse passare in secondo piano, perché c’è un ostacolo su quella strada che vale la pena di fermarsi a guardarlo, osservarlo per conoscerlo bene. La giovane età di mia figlia non le permetterà di capirlo fino in fondo, la sua piccola statura non le permetterà di abbracciarlo pienamente e coglierne le sfumature. Mi accontenterò che lei inizi a fare suo il concetto che quell’ostacolo, quel masso sospeso sulle nostre teste, esiste davvero ed esiste qui nel profondo nord. Non è una cosa di altri, non è una cosa lontana, non è una cosa che non ci riguarda. È sulla strada di tutti e tutti ci passano a fianco. Alcuni ci sbattono contro, alcuni lo usano, altri lo sfiorano e si sporcano facendo finta di non essersi lordati i vestiti e l’anima. Molti non sanno che quel masso esiste, io tra questi. Ho creduto fino a quindici giorni fa che la mia strada, per quanto tortuosa, per quanto altalenante tra salite durissime e discese da scavezzacollo, non avesse carichi sospesi al di sopra di essa. Guardavo avanti cercando di catturare il mio orizzonte mentre questo si spingeva sempre più in là. Guardavo avanti, ma non ho mai guardato in alto, e se anche l’ho fatto non ho mai visto nulla. Mi sono venuti in mente quegli autobus che portavano i prigionieri nei lager: per mascherare l’orrore a cui andavano incontro i detenuti, ai finestrini erano disegnate persone che ridevano e si godevano la vita. Ecco, noi ci siamo goduti la vita disegnata sui finestrini, abbiamo delegato la coscienza ai politici e i politici, troppo intenti a dipingerci le finestre, non si sono curati di quel capitava dentro alle loro regioni del nord, alle province, ai paesi che li hanno eletti. O forse se ne sono curati fin troppo riempendosi le tasche. È notizia di queste ore che il consiglio comunale di Bordighera è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Bordighera. Non Gela, non Corleone, ma Bordighera in Liguria! Mafia: una parola tanto grande quanto eterea per noi del nord. Soffocante per il suo peso, la sua vastità, la sua enorme cappa di silenzio e potere e tanto impalpabile che se non ci sbatti la faccia contro, non ti rendi nemmeno conto che esiste. E la faccia ce l’ho sbattuta, per caso come sempre accade quando qualcuno picchia il muso da qualche parte. Non lo si fa mai apposta a farsi male, capita e basta. A me è capitato qualche settimana fa quando ho letto un articolo sulla commistione tra mafia, politici locali, discariche e cave al nord. Ancora con il fiato corto per il dolore, mi è capitato tra capo e collo la serata con Giulio Cavalli che ha rimarcato la cosa, che ha sottolineato come i morti ammazzati dalla ‘ndrangheta ci siano stati anche a Torino, che le confische ai mafiosi ci siano anche in Piemonte, che la DIA sia presente nel nord come nel sud. E mi è mancata l’aria dai polmoni: possibile che sia stato così distratto da non essermi accorto di una tale cosa intorno a me? Che non mi sia accorto di una tale vastità che mi sovrastava? C’era sì un presidio di libera a Borgosesia, ma pensavo fosse opera di qualche fine pensatore che, con animo più sensibile del mio, volesse dare una mano a Don Ciotti e al sud della nostra penisola. Mai avrei immaginato che il problema è qui, tra noi. E nell’omertà il problema siamo noi. Per questo la decisione di portare una bambina di otto anni ad una fiaccolata per il giorno della memoria della lotta alle mafie. È stata una decisione sofferta, ed è per questi motivi che ho ritenuto di aver trovato una cosa più importante della scuola: il futuro stesso dei nostri figli. Perché, se è vero che la cultura li renderà liberi ovunque essi siano, è altrettanto vero che la conoscenza è il primo passo per formare una coscienza. Spero che di bambini martedì ce ne siano pochi a scuola, spero che siate voi insegnanti ad esortarli a prendersi un giorno di riposo dopo l’impegno della serata. Mi piacerebbe autorizzaste tutti ad entrare dopo l’intervallo, così non perdono un giorno di scuola, ma simbolicamente gli permettete per un giorno di pensare che c’è qualcosa di più alto, di più importante. Che c’è un noi che vale più di qualunque persona e un futuro che vale più di qualunque adesso. Vi prego quindi di giustificare l’assenza da scuola di mia figlia per improcrastinabili necessità di vita.

Distinti saluti

Un Padre

(da facebook)

Un regalo per Peppino Impastato

L’avevamo scritto: un Paese civile non può lasciare marcire i luoghi della memoria dei propri uomini lasciati soli già una volta; per questo abbiamo preparato una sottoscrizione per inviare una mail (tecnicamente: mailbombing) al sindaco di Cinisi ed esprimere il nostro sdegno. Cinisi non è lontana da nessun posto del mondo. E le idee di Peppino Impastato sono le idee di tante Cinisi nel mondo. Il nostro appello aveva raccolto quasi 4000 firme. E il risultato è raggiunto: oggi l’assessore regionale della Regione Sicilia Gaetano Armao ha dichiarato che “La Regione, nella ricorrenza del 34° anniversario della tragica morte di Peppino Impastato, ha gia’ avviato le procedure per l’espropriazione per pubblica utilita’, sulla base di un progetto di realizzazione di un sito della memoria, del casolare e del terreno circostante a Cinisi ove egli fu ucciso. Contiamo in tal modo di poter celermente avviare i lavori per trasformare questo luogo simbolo dell’efferata violenza mafiosa in un museo della memoria e della testimonianza della resistenza che ad essa ha condotto Impastato, intendendone cosi’ ricordare e commemorare l’impegno civile e giornalistico”.
Il casolare è salvo, la memoria almeno un poco più pulita.

Buon 2012, Peppino.

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Gli astenuti che vorrebbero la rivoluzione

Leggete l’analisi di Leonardo. Ne vale la pena:

Credo di poterlo anticipare, visto che in altre nazioni è già successo: quando l’Astensione sarà il primo partito in Italia, non succederà un bel niente. Ci sarà qualche editoriale in più sulla Disaffezione della Gente, qualche dibattito televisivo con ospiti molto accigliati… e dal giorno seguente chi ha vinto le elezioni governerà, chi le ha perse starà all’opposizione, come sempre. Come è successo in altri Paesi, di più antica tradizione democratica, che siamo abituati a ritenere più politicamente evoluti del nostro. Per dire, nel ’96 Clinton fu rieletto Presidente con un’affluenza alle urne del 49%, che non fece certo di lui un’anatra zoppa – perlomeno finché non scoppiò il caso Lewinsky. Per contro un’alta affluenza (come quella di cui noi italiani eravamo orgogliosi ai tempi della Prima Repubblica) in generale nel mondo non è ben vista, spesso è un indizio di scarsa democrazia: è ai tiranni che piace far sfilare compatto alle urne il 99% degli aventi diritto.

Forse dietro al movimento astensionista militante c’è un equivoco, nato con la deriva dei referendum abrogativi: quando, a partire dagli anni ’90, l’astensionismo è diventato così importante che accanto ai comitati per i Sì e per i No sono nati veri e propri comitati per l’Astensione (come quello dei vescovi al tempo del referendum per la fecondazione assistita), che per 15 anni hanno vinto a man bassa tutte le consultazioni referendarie. Ma astenersi dalle elezioni non ha lo stesso peso politico: chi non si reca alle urne, semplicemente, si chiama fuori. Governeranno gli altri, e lo faranno anche in nome suo. Meglio spargere l’idea, perché in giro c’è chi davvero non lo sa, chi è convinto che si possano invalidare anche le elezioni politiche.

L’astensionismo, in effetti, ha un che di diabolico. È riuscito a spacciarsi per rivoluzionario, quando alla fine è una resa bella e buona alla famigerata Casta, che con una riduzione dell’elettorato avrà anche meno spese da affrontare per campagne e voti di scambio. E mentre lorsignori si votano e si governano da soli, all’Astensionista resterà la gran consolazione di poter urlare “non nel mio nome”. Come se davvero gli importasse qualcosa, a chi ti frega il futuro, di come ti chiami.

Continua qui.

Spending review? I CIE (scusate se insisto)

Il presidente del Consiglio Monti invita i cittadini italiani a segnalare via web gli sprechi che potrebbero essere eliminati. Insieme al taglio della spesa per gli F35 e alla cancellazione della parata militare del 2 giugno, suggeriamo un altro capitolo di bilancio della spesa pubblica che potrebbe essere utilmente tagliato per finanziare invece le politiche di welfare e di inclusione sociale. Si tratta degli stanziamenti previsti per i Centri di identificazione ed espulsione (CIE).

Nel pieno di una crisi economica che non ha precedenti nel secondo dopoguerra, la legge di bilancio 2012 ha previsto un aumento delle risorse destinate alla attivazione, alla locazione e alla gestione dei centri di identificazione e espulsione per stranieri irregolari.

I 103 milioni di euro stanziati nelle previsioni assestate per il 2011 sono diventati più di 174 nel 2012 (cap.2351) e oltre 216 per il 2013 e per il 2014. Del resto il prolungamento del periodo massimo di trattenimento dei migranti in queste strutture da 6 a 18 (diciotto) mesi introdotto dalla legge 129/2011 ha aumentato ulteriormente i costi medi della detenzione.

Quello che solo in pochi ricordano è che i Cie (come prima i CPTA) non rispondono assolutamente alla funzione che è stata loro affidata dal legislatore. Meno della metà delle persone in essi trattenute viene effettivamente espulsa. L’inefficienza di queste strutture è dunque una motivazione che va ad aggiungersi a quella (ben più rilevante dal nostro punto di vista) della loro disumanità per sollecitare una loro chiusura.

Segnaliamo dunque al Governo che il sistema dei Cie rappresenta uno “degli sprechi da eliminare al più presto” e proponiamo di utilizzare le risorse per essi stanziate in modo migliore. Qualche suggerimento?

Ecco quelli di Lunaria e della campagna Sbilanciamoci!