Vai al contenuto

Giulio Cavalli

Nella mediocrità non si cresce

Non c’è crescita senza cultura. Una tale affermazione potrà sembrare apodittica o, peggio, intellettualmente disonesta poiché priva di fondamenti razionali. Personalmente ritengo sia questa invece una premessa essenziale a un progetto politico progressista le cui prospettive non siano esclusivamente riconducibili a paradigmi di circostanza, bensì si distinguano per una visione più ampia nel tempo e l’assunzione di responsabilità verso le generazioni future.

Se anche solo ci soffermassimo sul significato etimologico (dal verbo latino còlere, coltivare) o storico del termine, potremmo notare come il minimo comune denominatore di ogni definizione di cultura sia individuabile nel concetto di “conoscenze e cognizioni intellettuali” che costituiscono – attraverso l’educazione (studio, ambiente, esperienze, etc.) – lo spirito di un individuo, e dunque di una società.

Claudio su cultura e politica della cultura.

Hamza Kashgari: morire per un tweet

Lo scorso 4 marzo Hamza Kashgari, editorialista di ventitré anni del quotidiano Al-Bilad, posta una serie di tweets riguardanti immaginarie conversazioni con il profeta Maometto. Nel giorno del compleanno del fondatore dell’Islam, il poeta arabo saudita scrive: nessuna donna saudita andrà all’inferno, perché è impossibile andarci due voltenel tuo compleanno  dirò che ho amato il ribelle che era in te, che sei sempre stato una fonte di ispirazione per me, e che non amo l’alone di divinità che ti circonda. Non pregherò per te. Nel tuo compleanno, ti troverò dovunque mi girerò. Dirò che ho amato aspetti di te, ne ho odiati altri, e che non ne capisco molti altri. Nel tuo compleanno, non mi inchinerò a te. Non bacerò la tua mano. Piuttosto, la stringerò come fanno due uguali, e sorriderò come tu mi sorridi. Ti parlerò come amico, niente più.

Ora rischia la pena di morte. Qual è la posizione dell’intera comunità europea? Ne parla Odetta su Non Mi Fermo.

Il Casalese non ama i libri

Scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

Nicola Cosentino (anzi, i suoi famigliari per la precisione) ha intentato una causa penale e civile agli autori e all’editore del libro Il Casalese – Ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di Lavoro. L’accusa è di aver leso l’immagine dell’azienda di famiglia. Si chiede il ritiro del volume dalle librerie e un milione e 200mila euro di risarcimento danni. Quel libro (che oggi ancora di più vale la pena di leggere e comprare) è l’unica biografia non autorizzata dell’ex sottosegretario salvato dal servilismo bipartisan di un parlamento garantista con i potenti e macellaio con i poveri. Quel libro è il simbolo oggi del giornalismo che decide di scrivere il fatto che sarebbe meglio oltrepassare, di fare quel nome che porta solo guai e di non essere compiacente. Mai.

Scrive uno degli autori, Ciro Pellegrino, sul suo blog:

Sostanzialmente Cosentino (il fratello) ritiene che il libro abbia un «intento denigratorio» tale da far affermare coscientemente il falso ai giornalisti che l’hanno scritto. Nella richiesta di distruzione e risarcimento si citano una serie di vicende raccontate ne “Il Casalese”: vicende rispetto alle quali gli autori dei capitoli in questione sono pronti a confrontarsi e lo faranno, pubblicamente.

Due spaventi, dicevo. Ma non ho spiegato perché sono ottimista sulla seconda vicenda: perché l’angoscia che lorsignori possono arrecarci con fiumi d’atti giudiziari e risarcimenti milionari  è in parte compensata dalle tante domande durante le presentazioni, dalle mail dei ragazzi, dall’interesse verso quella che –  dotti medici e sapienti se ne facciano una ragione – è semplicemente un’inchiesta giornalistica.  Spero che quest’interesse cresca.

Già: nessuno di noi ha la presunzione di poter parare tutti i colpi che arrivano (e arriveranno). Per questo motivo mi (ci) scuserete se oggi anziché raccontare la notizia, la notizia siamo noi, i giornalisti autori del Casalese. E ci scuserete se chiediamo attenzione sulla nostra vicenda. Consapevoli del giusto diritto di chiunque a veder rettificati errori lesivi della propria dignità e reputazione, al tempo stesso altrettanto coscienti dell’onesto e diligente lavoro di documentazione e scrittura intorno a questo libro, non certo operazione commerciale né politica, visto che a editarlo è una piccola casa editrice di Villaricca, popoloso comune alla periferia Nord di Napoli, a cavallo fra il capoluogo  e il Casertano.

Ci scuseranno anche gli amanti dell’anticamorra-spettacolo: non siamo abituati, abbiamo fatto solo i giornalisti. Ma in Italia da giornalista a imputato il passo è breve, troppo breve.

Fuori dal Parlamento però, le carte e le ragioni non sono secretati. Per questo gli autori e l’editore hanno deciso di organizzare due eventi per dire a gran voce le proprie ragioni e sostenere le proprie tesi.

– Martedì 27 marzo, alle 9.30, a Napoli presso la sede dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, in via Cappella Vecchia, 8. Oltre all’editore e agli autori, parteciperanno: Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania; Lucia Licciardi, consigliere dell’Associazione napoletana della stampa.

– Giovedì 29 marzo, ore 17, a Roma, presso la FNSI in Corso V. Emanuele II, 349 . Parteciperanno insieme agli autori il presidente della FNSI, Roberto Natale, e il presidente dell’Associazione napoletana della stampa, Enzo Colimoro.

Questa volta il dibattito è pubblico. E da pubblicizzare.

Quando un uomo non ha il coraggio di resistere alla corrente, di bandire apertamente la verità e di sostenere contro tutti, anche contro il proprio interesse, la giustizia, smetta la penna, perocché la audace e tempestosa milizia del giornalismo non è fatta per lui. Quando voi obbliate che lo scrittore, poeta o giornalista, esercita un sacerdozio, non un traffico, che a lui è principalmente affidato l’educazione e il miglioramento della società, che la civiltà d’un popolo sta in diretta ragione della moralità della sua stampa; quando obliate tutto ciò per l’aura d’un giorno, per la limosina d’uno scudo, allora lasciate anche che vi dica che non v’è opera nefanda che uguagli la vostra, e che io, Potere, vi rizzerei tutti quanti sopra una gogna, affinché le moltitudini conoscessero chi ha loro ritardato i giorni della rivendicazione della giustizia. (Giuseppe Guerzoni)

Il PD in Lombardia vuole la TAV

E, per carità, è una posizione legittima (anche se bisognerebbe avere poi la faccia di sostenerla anche in pubblico) ma che in sessione comunitaria del Consiglio Regionale si decida di presentare un emendamento (e uno solo) per la TAV rende bene l’idea del progetto che urge costruire prima di pensare alle facce o ai ticket per le prossime regionali. Perché mentre ci si preoccupa di chi divide la coalizione sui giornali succede che passino sottovoce emendamenti del genere. Vedere per credere.

#salvaiciclisti il nostro ordine del giorno per Regione Lombardia

Non ci fermiamo. E mentre la campagna #salvaiclisti continua noi siamo pronti per farla approdare in Regione Lmbardia. Ecco il nostro ordine del giorno:


Il Consiglio Regionale della Lombardia
A CONOSCENZA CHE:
lo scorso 2 febbraio 2012 il quotidiano londinese “The Times” ha lanciato una campagna denominata “Cities fit for cycling” anche a seguito di un grave incidente subito in novembre da una sua giornalista ora in coma, chiedendo al governo inglese una serie di azioni da porre immediatamente in campo per tentare di fermare una strage che ha fatto registrare, in 10 anni, ben 1.275 vittime;
A CONOSCENZA INOLTRE CHE:
successivamente l’appello che ha lanciato la campagna “Cities fit for cycling” è arrivato anche in Italia, e adattato alla situazione italiano e denominato come appello della campagna “#salvaiciclisti”, rilanciata da decine di blogger e di siti dedicati al mondo della mobilità ciclistica raggiungendo in pochi giorni decine di migliaia di adesioni, che di giorno in giorno stanno aumentando;
VISTO CHE:
in Italia l’appello, tradotto ed adattato, prevede 8 punti programmatici pensati in modo da fare diminuire il numero di incidenti che coinvolgono i ciclisti. Anche perché in Italia il dato inglese drammaticamente raddoppia. In 10 anni in Italia sono stati 2.556 i ciclisti vittime della strada. Nel 2010 il nostro è stato il terzo Paese europeo per numero di morti tra i ciclisti che percorrono le strade, 263 contro i 462 della Germania e i 280 della Polonia;
nel 2010, in base a dati ISTAT, in Lombardia si sono avuti 4138 incidenti stradali che hanno visto coinvolti i ciclisti;
l’indice di gravità degli incidenti rilevati tra veicoli per quanto riguarda le bici è tra i più alti, secondo solo a quello fatto segnare dai motocicli;
POSTO CHE:
in Lombardia la ciclabilità è stata riconosciuta non solo come parte integrante della moderna mobilità quotidiana ma come soluzione efficace e a impatto zero per gli spostamenti cittadini personali su mezzo privato attraverso l’approvazione della legge n.7/2009;
attualmente è stato presentato presso il Senato della Repubblica un disegno di legge sottoscritto da senatori di diverse forze politiche, di maggioranza ed opposizione che riprende i punti elencati nell’appello della campagna “#salvaiciclisti”.
Tale appello, rilanciato e sottoscritto tra gli altri dalla Gazzetta dello Sport ha come contenuto i seguenti otto punti:
1. Gli autoarticolati che entrano in un centro urbano devono, per legge, essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza che evitino ai ciclisti di finire sotto le ruote.
2. Gli incroci più pericolosi devono essere individuati, ripensati e dotati di semafori per i ciclisti e di specchi che permettano ai camionisti di vedere sul lato.
3. Indagine nazionale per determinare quanti vanno in bici e quanti vengono uccisi o feriti.
4. Il 2% del budget dell’ANAS dovrà essere destinato a piste ciclabili di nuova generazione.
5. Migliorare la formazione di ciclisti e autisti e la sicurezza dei ciclisti come parte fondamentale dei test di guida.
6. Limite di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili a 30 km/h.
7. Invitare i privati a sponsorizzare la creare piste ciclabili e superstrade ciclabili prendendo ad esempio lo schema di noleggio bici londinese sponsorizzato.
8. Ogni città nomini un commissario alla ciclabilità per promuovere le riforme.
IMPEGNA IL CONSIGLIO REGIONALE:
ad aderire ufficialmente alla campagna “#salvaiciclisti”;
IMPEGNA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA REGIONALE:
a mettere in essere tutte le iniziative necessarie per arrivare all’inserimento dei punti contenuti nell’appello all’interno della legislazione nazionale.

Gattopardo Fornero

Nella riforma del lavoro trionfa lo spirito del Gattopardo: cambiare tutto perché nulla cambi. Dopo tanto discutere al tavolo Governo-parti sociali, le nuove norme rendono ancora più incerto l’esito dei licenziamento dando un forte potere ai giudici, non si allarga la copertura degli ammortizzatori sociali e non si costruisce un nuovo canale d’ingresso che gradualmente stabilizzi i lavoratori precari. Mentre i dati disponibili ci dicono che il dualismo del mercato del lavoro continua ad aumentare e i licenziamenti non accennano a diminuire. Molti gli errori di comunicazione al pubblico sulla riforma. La nuova legge non estende alle imprese con meno di 15 dipendenti la tutela contro il licenziamento discriminatorio: questa c’era già. Svarioni anche sull’articolo 18 nella pubblica amministrazione quando ministri e sindacalisti affermano che in tale settore non è applicabile. Sbagliano, a meno che nelle nuove norme non sia esplicitamente prevista una deroga. Sin qui non c’era nei testi resi disponibili dal Governo. Chiediamo chiarimenti a Fornero e Patroni Griffi.
Ha rimosso lo spettro di una crisi bancaria di proporzioni enormi l’operazione Ltro (longer-term refinancing operation) con cui la Bce di Mario Draghi ha effettuato in due riprese un rifinanziamento eccezionale delle banche. Ma non è ragionevole attendersi che questo faccia ripartire l’economia reale. Né che sciolga i problemi irrisolti della Grecia.
Lo scrive Tito Boeri su LaVoce (mica qualche pericoloso comunista) e sembra che sia così difficile da fare capire. Eppure sul lavoro si romperà più di un equilibrio. C’è da starne certi.

Sit in al Pirellone: l’assemblea condominiale dei lombardi

Mentre dentro tutto tracima e si sbriciola fuori dal Pirellone il mondo sembra tranquillo. Anzi, tutti si sforzano di avere l’espressione rilassata come insegna Formigoni: ci dicono che non è successo poi nulla di così grave, che stiamo parlando di indagini e che bisogna essere garantisti e che è solo strumentalizzazione politica. Eppure il numero impressionante di indagati (oltre agli arresti, oltre ai rinviati a giudizio e a tutte le inopportunità di questi tempi) è riuscito ad accendere uno sdegno che non si potrà lasciare a lungo fuori dall’Aula. E non è questione di partito, il modello Formigoni ha dimostrato tutte le sue lacune morali, amministrative e lobbystiche. Formigoni cade proprio sull’affidabilità della propria cintura di sicurezza rimpolpata di continuo tra fedelissimi servitori che hanno tradito i cittadini oltre che il capo.

E allora ha ragione Pippo Civati quando dice che forse sarebbe ora di pubblicizzare questa Lombardia sempre più privatistica e privatizzata. Portare il Consiglio Regionale e i suoi membri (quelli che hanno il gusto e la dignità di metterci la faccia, almeno) sotto il Pirellone per “mettere in piazza” le idee, le crisi, il nuovo che sotto questa coltre noi ci ostiniamo a volere costruire. Una riunione condominiale (con e seggiole al seguito, mi raccomando) nel cortile del nostro condominio, con la franchezza e lo sdegno delle assemblee cruciali. L’avevo già scritto e oggi vale più che mai: il Consiglio Regionale della Lombardia ha poco meno di due anni ed è in pieno disfacimento morale, etico e rappresentativo. Dopo due anni si ritrova già una credibilità logorata e sconfitta. Formigoni dimostra di avere frequentazioni, amici, assessori, ex assessori e compagni di partito scelti con una chirurgica precisione negativa, il centrosinistra ha il portabandiera della scorsa battaglia elettorale (Filippo Penati) che ha dimostrato predisposizioni “sistemistiche” che non hanno certo avuto il sapore dell’alternativa e che sono finite nello stesso rivolo giudiziario e di inopportunità politiche.

Ci si vede sabato (gli aggiornamenti e le modalità le stiamo definendo in queste ore) per occuparsi di una Lombardia che dovrebbe occuparsi di noi e troppo spesso è stata più latitante di alcuni suoi membri dell’Ufficio di Presidenza. Ci sediamo per ripartire e perché non ci accontentiamo di scrivere la prossima mozione di sfiducia che si spegne in un Consiglio Regionale scollegato dalla Lombardia reale e troppo intento all’autodifesa. Ci ritroviamo perché l’opportunità è un valore da esercitare in piazza. Ci siamo mica per urlare contro Formigoni e la sua Giunta ma perché abbiamo qualcosa da dire ed è arrivato il tempo di prenderci la responsabilità di raccontarlo.

E poi in fondo ci troviamo perché in queste ore ci stanno dicendo che bisognava consultare prima le segreterie, le dirigenze; ci dicono che vorrebbe essere la presentazione di un nuovo ticket elettorale di questo o quel nome e invece a noi interessa un progetto. E quello, spiace per gli strateghi, noi ce l’abbiamo chiaro in testa.

La ciclicità della Storia: la lezione di Pio La Torre

Quando la lezione della Storia sembra essere finita in un cassetto per non doverla ricordare. Le parole sono del 1974 e a scriverle è Pio La Torre. Quelli che ne hanno fatto tesoro sono sulle dita di una mano. Evidentemente sempre ai margini della nostra classe dirigente.


Occorre riconoscere che in questi ultimi 10 anni le cosche mafiose hanno subito dei colpi e hanno visto ridotta la loro presa politica. Ciò è accaduto, prima di tutto, per un notevole elevamento della coscienza civile e democratica del popolo siciliano, elevamento strettamente legato alla azione e alla lotta incessante condotta dai partiti di sinistra e da tutte le organizzazioni sindacali e democratiche. L’esito vittorioso del referendum sul divorzio, anche in Sicilia, testimonia questo avanzamento. Rimangono però incrostazioni gravi e pericolose che debbono preoccupare tutte le forze democratiche isolane. Ma ora il fenomeno ha assunto caratteristiche tali da interessare sempre più l’intero territorio nazionale. La Commissione Antimafia ha dimostrato che l’istituto del soggiorno obbligato si è rivelato controproducente. Addirittura scandalosa è la scelta (che è stata fatta dal Ministero degli Interni!) delle località in cui inviare i «mafiosi». Sembra che si sia voluto costruire una rete criminale attorno alle metropoli del Nord. La mafia, d’altro canto, ha potuto sfruttare lo stato di disagio di una parte degli emigrati meridionali che, arrivando al Nord, incontrano difficoltà ad un inserimento nelle attività produttive e non trovano un adeguato tessuto democratico e associativo in grado di assisterli. Ci si ripresenta qui, in una certa misura, il fenomeno che all’inizio del secolo si manifestò nelle metropoli americane con l’arrivo degli emigrati siciliani. D’altro canto i collegamenti fra mafia e gangsterismo siculo-americano non sono stati mai interrotti. Anzi, possiamo dire, che in taluni campi (vedi quello della droga!) è il gangsterismo americano che «dà lavoro» alla mafia siciliana. È evidente che, ancora oggi, i tentacoli della mafia possono muoversi agevolmente nell’ambito di un’organizzazione dello Stato largamente inefficiente e di un sistema di potere che offre ampie connivenze.

Il decalogo antimafioso

Ieri sera con Nando dalla Chiesa abbiamo presentato il suo libro La convergenza (da leggere, per chi crede che sia urgente studiare le mafie prima di passare all’antimafia e perché c’è bisogno di analisi oltre la retorica). Il decalogo antimafioso contenuto nel libro dovrebbe essere il pizzino obbligatorio degli onesti:

1. FORMATI
Occorre diventare conoscitori del fenomeno per capirlo ed interiorizzarlo, creando così le fondamenta sulle quali costruire il nostro comportamento come pensiero autonomo e non come rito.
2. INFORMATI
Una volta gettate le basi il nostro comportamento deve essere guidato dall’informazione, non facile da acquisire, perché la stampa è a volte collusa e tende a tacere gli episodi mafiosi ed a depistarne la vera origine, attribuendo alle cause più varie, vendetta, rivalità politiche od amorose quelli che sono invece omicidi di mafia.

3. COLTIVA LA SENSIBILITA’ CIVILE (Creare capitale sociale)
Come nel Vangelo il seme che cade sul terreno sbagliato non fruttifica, così se la nostra azione si svolge in un ambiente insensibile a certe tematiche anziché provocare consenso provocheremo solo fastidio.

Una volta preparati si tratta di agire, su molti fronti, da quello dell’informazione

4. DIFFONDERE L’INFORMAZIONE
Ovviamente una volta che noi ci siamo informati dobbiamo condividere, comunicandoli, gli elementi in nostro possesso.

5. ORGANIZZA E PARTECIPA ALLE CAMPAGNE D’OPINIONE E DENUNCIA
Le campagne d’opinione e denuncia hanno un grosso impatto perché, non è possibile ignorarle e vengono portate avanti da forze più numerose dei singoli sono molto efficaci, anche perché possono trovare spazio sui mezzi d’informazione che trovano difficile ignorarli.

6. CONSUMA IN MODO CONSAPEVOLE
Il consumare in modo consapevole è uno dei modi più efficaci per ridurre i guadagni del sistema mafioso: partecipare ai GAS acquistando direttamente da chi produce, dato che la mafia guadagna molto nell’intermediazione, acquistare da chi rifiuta il sistema del pizzo, boicottare chi è contiguo a mafiosi sono atteggiamenti molto efficaci.
E non solo in questo campo: se i cittadini boicottassero oggi Unicredit, accusato di aver tenuto comportamenti quantomeno scorretti nei confronti del Comune di Milano, cioè nei nostri confronti, saremmo sicuri che questi comportamenti non si ripeterebbero.
Addiopizzo è riferimento ed esempio di ciò che si può fare.
Il consumo critico si può esercitare in due modi: premiando e/o evitando.

  • Chi premiare: le attività commerciali ed i professionisti che denunciano o che si comportano secondo legalità (ad esempio, chi rilascia le fatture senza difficoltà).
  • Chi evitare: evitare richiede attenzione ed informazione. Edilizia, ristorazione-divertimento (ristoranti/bar/pizzerie/discoteche) e sanità sono i campi in cui le mafie investono di più e riciclano i loro capitali. Informarsi prima di scegliere una clinica in cui curarsi (il settore sanitario è un campo in cui le mafie sono molto attive, emblematico il caso Calabria, ma non solo). Informarsi prima di frequentare catene di locali, di pizzerie o di bar che sorgono all’improvviso (domandarsi da dove può venire tanta abbondanza di liquidità).
7. CONTROLLA LA LEGALITA’
Il controllo della legalità è compito delle istituzioni, ma il cittadino che vive nella zona vede tutti i giorni cosa succede, dal cantiere al nuovo negozio… e quindi riesce ad intravedere molte cose in anticipo, da cui ricavare informazioni da fornire alle istituzioni.
8. SPENDI IL TUO VOTO
La mafia cede i suoi pacchetti di voti ai candidati in cambio naturalmente di favori, senza distinzione di partito, anzi in tutti i partiti.
Così noi dobbiamo utilizzare il nostro voto in funzione antimafia.
Ma soprattutto la lotta alla mafia non può essere condotta dai singoli ed allora

9. APPOGGIA CHI LOTTA
Nelle istituzioni e fra i cittadini c’è chi combatte la mafia. Un’attività rischiosa e faticosa soprattutto quando magari si lotta contro apparati istituzionali.
Per questo c’è bisogno di una forte motivazione per non cedere al “ma chi me lo fa fare”, l’orgoglio ed il senso del dovere sono alla base della motivazione, ma l’indifferenza l’abbatte.

10. NON AGIRE MAI DA SOLO
Non siamo i ragazzi della via Pal, la mafia è pericolosa e diffusa. Oggi ci sono associazioni e movimenti che la combattono e che appoggiano chi la combatte riducendone il rischio.
E come la mafia fa il calcolo costi benefici così anche noi lo facciamo, tenendo conto che ogni lotta è costosa, per formarsi e per informarsi, per la logistica dei GAS, … ma teniamo conto che i benefici della mafia sono i nostri costi, e finché lei sarà in attivo noi saremo in passivo. Nella lotta alle mafie è importante che le denunce siano fatte in gruppo, dividendosi le responsabilità. Denunce isolate, di persone sconosciute all’opinione pubblica sono facilmente attaccabili dai mafiosi. Il bilancio rischio/beneficio diventa invece più oneroso per il mafioso se deve attaccare gruppi, in particolare se ne fanno parte persone note. Operare in gruppo è perciò importante, non solo per l’incolumità del singolo, ma anche per dare più possibilità di successo alla denuncia.

La dittatura e le sue lezioni

Ho voluto fortemente che Matteo Pascoletti fosse dei nostri per Non Mi Fermo. Perché Matteo non ha analisi mediate: scrive e sputa, alla De André. Il suo pezzo di oggi su dittature e i suoi figli ne è un esempio. La stagione berlusconiana ha imposto nel paese un leaderismo allergico al confronto, e quindi debolissimo sul versante della democraticità. Un leaderismo che ha sdoganato, nella comunicazione pubblica, l’insulto, la denigrazione, l’oscenità sfoggiata, indebolendo dunque ulteriormente gli anticorpi offerti dalla logica e dal pensiero critico. Indebolendosi quest’ultimi, la tendenza a delegare di volta in volta al leader la soluzione a un problema percepito soprattutto sul piano emotivo, e la cui complessità non si è in grado di sviscerare, è diventata prassi sociale. Non è un caso, sospetto, che sia alta la fiducia a Monti e bassissima la sfiducia nei partiti, come se il dato non tenesse conto che il Presidente del Consiglio, per far passare i provvedimenti, deve passare proprio per quei partiti. Del resto, come si può vedere in questo articolo di la Repubblica, la maggior parte degli italiani non percepisce il Governo Monti come governo di centrodestra o di centrosinistra. Quindi l’opinione pubblica italiana è culturalmente predisposta a un leader forte, ed è portata dallo stato di crisi e dai valori trasmessi dalla politica di questi ultimi anni ad essere emotivamente indisposta verso dialogo e confronto, o quanto meno disabituata. Ma questo leader forte non può essere Monti, perché la dipendenza dagli attuali partiti segna, a mio avviso, il limite invalicabile e la natura temporanea della narrazione dei “tecnici estranei alla politica”. Il resto qui.