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Giulio Cavalli

Nel CIE di Milano il pericolo pubblico è il giornalista

Nel Cie di via Corelli a Milano la situazione è talmente tesa e drammatica che nessuno può visitarlo. È la Prefettura ad ammetterlo, tanto da metterlo nero su bianco nella risposta inviata a Ilaria Sesana, giornalista freelance, che per Terre di mezzo – street magazine ha chiesto più volte di entrare nella struttura. “A seguito di disordini avvenuti di recente, presenta alcune parti inagibili, che hanno reso necessario l’avvio di lavori di ristrutturazione”, premette la Prefettura, che poi nega alla giornalista l’accesso al Cie per ragioni di sicurezza: “Il Ministero dell’Interno, interessato al riguardo da questa Prefettura, ha perciò espresso parere che, per prevenire il ripetersi di nuovi episodi, per il momento non possa essere consentito l’ingresso nella struttura ad estranei”. Questo vizio per cui l’informazione possa creare disordini (là dove il caos sta nei diritti) ha il retrogusto di altri tempi. E la cappa del “governo tecnico” sembra potersi permettere di svicolare da questi temi in nome di altre priorità in nome di uno sviluppo che deve correre veloce non potendosi permettere di includere tutti. Oggi chiederemo di visitare (come già abbiamo fatto) il CIE di Milano per capire se nella civilissima città di questo civilissimo stato esistono isole di sospensione di diritto e di umanità, se davvero vogliamo accettare recinti fatti per custodire persone come percolato umano a causa di una legge che andrebbe cancellata dall’ONU, se  ci siamo dimenticati che sarebbe il caso di restare umani. Anche qui.

Quello che penso sulle indagini

L’ho raccontato oggi agli amici di Radio Onda D’Urto. Almeno per non correre il rischio di fare un favore a Formigoni incastrandosi sull’indagato di turno perdendo la visione complessiva. Qui il video dell’intervista.

Berlinguer in piazza

Milano dedica un pezzo di città a Enrico Berlinguer. Sarà una nuova piazza, creata all’incrocio tra via Savona e via Tolstoi, a prendere il nome dell’uomo che per tanti anni ha guidato il Pci. L’intitolazione arriva a novant’anni dalla nascita di Berlinguer. A deciderlo è stata la giunta comunale su proposta dell’assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris. Il segnale è importante ma non può essere un alibi: oltre ad una ‘piazza Berlinguer’ sarebbe urgente (e buona cosa) mettere Berlinguer in piazza. Esporlo e soprattutto devlinarlo nelle idee e nell’azione politica, praticarne l’integrità e la barra dritta, ispirarsi alla coerenza e raccoglierne l’eredità della visione sociale. Magari cominciando a non prestare orecchio agli strenui difensori di corrotti e corruttori di quel tempo e alle eventuali uscite in scia di qualcuno nel centrosinistra. Altrimenti è solo toponomastica, mica buon vento.

Con Daniele Biacchessi, Andrea Riscassi e Paolo Bolognesi per interrogarsi sulla bomba della stazione di Bologna

Conoscere il passato per acquisire le chiavi di lettura sul presente. Vi aspetto

Il Teatro di Tavazzano (Lo) per la seconda serata del ciclo di incontri ad ingresso gratuito del “Cento di Documentazione per il Teatro Civile”, in programma venerdì 16 MARZO 2012 alle ore 21:00, si concentra sul più grave attentato mai compiuto in Italia e lo fa con Paolo Bolognesi, presidente dell’ “ASSOCIAZIONE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980”. Partecipano alla serata, Giulio Cavalli direttore del Nebiolo e i giornalisti Andrea Riscassi (Rai) e Daniele Biacchessi (Radio 24).


E’ il 2 agosto 1980, è mattina e la stazione centrale di Bologna è piena di gente e di treni in arrivo e in partenza. Alle 10,25 una bomba di eccezionale potenza scoppia nella sala d’attesa di seconda classe. L’esplosione, che investe anche alcuni vagoni fermi sotto la pensilina, provoca una strage: 85 morti e 200 feriti.

Nell’immediatezza dell’attentato, la posizione ufficiale del Governo italiano fu quella dell’attribuzione dello scoppio a cause fortuite, ovvero all’esplosione di una vecchia caldaia; tuttavia, a seguito dei rilievi svolti e delle testimonianze raccolte, apparve chiara la natura dolosa dell’esplosione, rendendo palese una matrice terrorista. Cominciò così una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana.

L’1 Giugno 1981 si costituisce l’”Associazione Tra I Familiari Delle Vittime Della Strage Alla Stazione Di Bologna Del 2 Agosto 1980″ con lo scopo statutario di : “OTTENERE CON TUTTE LE INIZIATIVE POSSIBILI LA GIUSTIZIA DOVUTA”. (Statuto della Associazione, art. 3).
Tra depistaggi e disinformazione, lentamente e con fatica, attraverso una complicata e discussa vicenda politica e giudiziaria, e grazie alla spinta civile dell’Associazione, si giunse ad una sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Ma a causa del protrarsi negli anni delle vicende giudiziarie e dei numerosi comprovati depistaggi, intorno ai veri esecutori e ai mandanti dell’attentato si sono sempre sviluppate numerose ipotesi e strumentalizzazioni politiche divergenti dai fatti processuali che hanno portato alle condanne definitive dei presunti esecutori materiali della strage.

Di quanto accaduto e delle vicende processuali ne parlerà il presidente Bolognesi durante l’incontro che verrà coordinato da Giulio Cavalli e che vede la straordinaria partecipazione dei due giornalisti ANDREA RISCASSI della Rai di Milano (caposervizio alla Tgr Lombardia) e DANIELE BIACCHESSI DI Radio 24 (Vicecaporedattore di Radio24-Il Sole24ore).

TEATRO NEBIOLO, VENERDÌ 16 marzo ORE 21:00 CENTRO DI DOCUMENTAZIONE PER UN TEATRO CIVILE INCONTRO CON PAOLO BOLOGNESI “LA STRAGE DI BOLOGNA, 2 AGOSTO 1980” INGRESSO LIBERO E GRATUITO

I bambini invisibili, nella rete

Joseph Kony è un nome sconosciuto ai più. Attualmente, nella lista della Corte Penale Internazionale dell’Aia che elenca i ricercati per crimini contro l’umanità, è al numero uno. Un bel primato, che si è guadagnato con 20 anni di persecuzioni, rapimenti, stragi, schiavitù sessuale e stupri. Francesco racconta sul sito di Non Mi Fermo di KONY2012 per mantenere alta l’attenzione su quello che è attualmente il criminale di guerra con più capi d’imputazione al mondo. E un impegno: farsene carico.

C’è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri. (Bruno Munari)

Da Bologna una lettera sul lavoro

Mi scrive il circolo bolognese “Gianmaria Volontè” dedicato al tema del lavoro, dei saperi e delle identità. Scrivono con entusiasmo e lucidità del Governo che con un colpo di spugna di democrazia e civiltà vuole spazzare via le organizzazioni sindacali per attaccare direttamente il cuore della contrattazione collettiva e quindi renderci tutti sempre più soli di fronte ai nostri futuri.

Egregio Presidente del Consiglio,
Egregia Ministro,Vi scriviamo questa lettera, riservandoVi tutto il rispetto che meritate, per spiegare le ragioni del nostro disaccordo con le Vostre idee in merito alla riforma del mercato del lavoro oggi in discussione.

Ci sono due elementi che ci accomunano, distinguendoci, al contempo, da Voi: in primo luogo, molti di noi sono stati democraticamente eletti e, più in generare, per i ruoli e le funzioni che svolgiamo, pensiamo di rappresentare alcune migliaia di donne e uomini della nostra generazione. In secondo luogo, tutte e tutti noi siamo nati dopo il 20 maggio del 1970, sicché crediamo di poterci definire, a conti fatti, “giovani”. La scelta di porre il discrimine alla data di entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori è, con ogni evidenza, arbitraria e simbolica, ma costituisce la sola, piccola, libertà che ci concediamo, in questo scritto: per il resto, tenteremo di essere rigorosi, senza però rinunciare a esprimere un punto di vista.

Oggi non vogliamo dar conto delle mille difficoltà di una generazione – che oramai è più d’una – ben “rappresentata” (sul piano dellarappresentazione), pur essendo assai poco rappresentata (sul piano dellarappresentanza). Vogliamo concentrarci non sui problemi, ma sulle soluzioni, poiché quelle che immaginate ci paiono sbagliate, inefficaci e controproducenti.Avete detto a più riprese che ai tavoli di discussione sulla riforma, nessuno ci rappresenta. Sicché, forse in perfetta buona fede, avete dichiarato di volerla comunque portare a compimento, in nostro nome. Eppure c’è un problema di coerenza tra mezzi e fini.

Vi ponete l’obbiettivo di ridurre il dualismo del mercato del lavoro e contrastare il fenomeno della precarietà, favorendo l’occupazione delle fasce più deboli della popolazione, e in particolare dei giovani. Al contempo, intendete rivedere il sistema degli ammortizzatori sociali, generalizzando le forme di sostegno al reddito sì da coinvolgere i molti soggetti che ne sono, all’oggi, sprovvisti.

Ci sentiamo di condividere questi obbiettivi, ma riteniamo inadeguate le misure che state predisponendo per raggiungerli. L’aspetto meno sensato del Vostro disegno riguarda il tema della c.d. flessibilità in uscita e, più in particolare, la connessione che stabilite tra le misure in cantiere e la riforma del sistema degli ammortizzatori sociali. Secondo la Vostra idea gli imprenditori sarebbero restii ad assumere nuovi lavoratori per la difficoltà che potrebbero incontrare al momento del licenziamento. Quindi per favorire l’occupazione dei giovani – intesa come porta d’accesso alla cittadinanza sociale – andrebbero rese più flessibili le regole sui licenziamenti.

Il limite di questo ragionamento sta nel considerare aspetto marginale della cittadinanza sociale la stabilità dei rapporti di lavoro, incarnata, in Italia, dall’art. 18. Ora, questa norma, diversamente da ciò che si dice o si lascia intendere, non impedisce affatto il licenziamento, ma si limita a prevederne l’inefficacia quando manchi una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo (e cioè attinente alla condotta del lavoratore) o oggettivo (e cioè attinente alla gestione dell’impresa da parte del datore di lavoro). La conseguenza prevista dall’art. 18 per i casi di licenziamento illegittimo è la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, ossia il più antico ed efficace dei rimedi contro gli abusi.

Una generazione che dimora da tempo nelle sacche della precarietà – esposta com’è al ricatto del mancato rinnovo di un contratto a termine, alla revoca improvvisa di un incarico di collaborazione a progetto o all’aleatorietà della committenza – ha chiaro il contenuto di questo diritto (pur non avendone quasi mai goduto, e forse proprio per questo!) quanto ce lo ha chiaro un operaio metalmeccanico della FIAT di Melfi: tale diritto è prezioso non soltanto al momento del licenziamento, ma anche e soprattutto durante il rapporto di lavoro, essendovi condizionato l’esercizio di ogni altro fondamentale diritto (sindacale, retributivo, alla professionalità, alla sicurezza sul lavoro ecc.). Questi diritti, anche se riconosciuti formalmente, resterebbero “muti” se il datore di lavoro potesse liberarsi di un lavoratore sgradito senza controllo sulla motivazione del licenziamento (soggettiva o economica che sia) e senza un efficace rimedio per i casi d’illegittimità.

Per questa ragione, siamo del tutto contrari all’abolizione dell’art. 18 e siamo altrettanto contrari a una sua esclusione o sospensione per i (soli) rapporti di lavoro dei giovani, perché ciò comporterebbe un’inaccettabile discriminazione. Questa soluzione, adottata in Francia nel 2006 con ilContrat Première Embauche, mandò letteralmente a fuoco il Quartiere Latino, tanto che il Governo francese si vide costretto a ritirarla, tra l’entusiasmo dei maggiori opinionisti europei e italiani. Stupisce che, nell’Italia di oggi, quel punto di vista sia così disinvoltamente sacrificato sull’altare dello spread.

Non ci persuade, poi, l’idea che le garanzie riconosciute ai lavoratori anziani siano causa delle difficoltà dei più giovani, e ancor meno ci convince la trovata del salvifico baratto tra diritti nel rapporto di lavoro e diritti nel mercato del lavoro (intesi come formazione, politiche attive e, soprattutto, forme di sostegno al reddito nei momenti di non-lavoro). Gli uni e gli altri sono complementari e non alternativi, per la semplice ragione che assolvono funzioni diverse, chiamando in causa soggetti e responsabilità di natura diversa: le tutele nel rapporto hanno a che fare con la sfera del potere privato, e sono orientate – come l’art. 18 – a riequilibrare un rapporto che è naturalmente asimmetrico; quelle nel mercato servono a proteggere i lavoratori (dipendenti o indipendenti che siano) dal rischio della mancanza del lavoro, e chiamano in causa anche i poteri pubblici. Che vi sia connessione anche con il tema dei licenziamenti è fuor di dubbio: con quellilegittimi, però, ossia provvisti di una giustificazione.

È mai possibile che si debba usare toni così didascalici per dire l’ovvio? È mai possibile che diritti di cui abbiamo assoluto bisogno, come misure di sostegno al reddito, universali e generalizzate, diventino merce di scambio per un calcolo improprio, a fattori disomogenei e a saldo sempre negativo per tutti? Verrebbe quasi da dubitare della tecnica dei tecnici, se non vi fosse un più grande paradosso: è mai possibile che, dieci anni or sono, per rendere fluido il (troppo rigido) mercato del lavoro italiano e innalzare il tasso d’occupazione la ricetta fosse “flessibilità flessibilità flessibilità”, mentre oggi che si deve superare il dualismo di quel mercato e ridurre la precarietà la ricetta migliore è… “flessibilità flessibilità flessibilità”? Ricordiamo il mantra degli anni ’90: “dateci flessibilità e l’occupazione salirà, i salari saliranno”. È sconcertante che nessuno chieda conto delle promesse mancate e delle soluzioni sbagliate che furono date a un problema che ora esplode in tutta la sua drammaticità.

A nessuno viene in mente che i diritti possano essere estesi oltre l’alveo delle imprese con più di quindici addetti, oltre il lavoro subordinato e, in parte, oltre il lavoro tout court?

Egregio Presidente, egregia Ministro, siamo disposti a discutere di tutto, purché si cerchino soluzioni vere a veri problemi. Se il 18 costa troppo, perché il processo dura troppo, non si tagli il giudice, si tagli il processo. Se la precarietà è una piaga, non ci si affondi il coltello, si curi la ferita. Se servono i soldi per garantire un sostegno al reddito, li si prenda dove sono, non dove sono sempre meno.

Con questa lettera intendiamo dirvi con chiarezza che non siamo disposti ad arruolarci per la guerra tra poveri. Noi diserteremo questa guerra. Ripensateci, finché siete in tempo. Se invece darete seguito alla “riforma” che avete sino ad oggi immaginato, non esiteremo a batterci, con tutta la forza che siamo in grado di mettere in campo, per una proposta diversa ed alternativa alla Vostra. E se, alla fine, voleste ugualmente dar seguito al vostro progetto, c’è qualcosa che ciascuno di noi ha il diritto di pretendere:not in my name, s’il vous plait.

P.S. Con il dovuto rispetto, siamo certi di un Vostro riscontro, posto che ad un giovane under 40 è stato sufficiente inviare un curriculum al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Catricalà per essere nominato Vice Ministro.

Liberate Rossella Urru, il grido sul palazzo della Regione Lombardia

“L’avevamo chiesta più volte, anche con una lettera formale, al presidente Formigoni. E oggi non possiamo che dirci soddisfatti della esposizione di due immagini di Rossella Urru davanti alla sede di Regione Lombardia. A maggior ragione ora, dopo l’annuncio rivelatosi poi infondato di un suo rilascio, occorre tenere alta l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sulla vicenda. E occorre farlo con ogni mezzo possibile. In tal senso, pensiamo possa essere utile anche un gesto semplice, ma fortemente simbolico da parte delle istituzioni. La foto della giovane cooperante che campeggia su Palazzo Lombardia a chiederne la liberazione è un segnale importante e un contributo concreto a infrangere il muro del silenzio, in attesa di rivedere al più presto Rossella a casa”.

Se la Lega riempie le carceri

E non risolve i problemi, il problema non è solo normativo ma culturale. Lo scrive Manila Filella sul sito di Non Mi Fermo (la prossima agorà sarà proprio sull’immigrazione, a Bergamo, terra leghista). Tutta la normativa sull’immigrazione, voluta fortemente dalla Lega Nord, presenta profili di illegittimità costituzionale ed incompatibilità con la normativa europea ed internazionale, oltre a porsi in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana e l’intolleranza e la continua criminalizzazione tout court dello straniero, ed oltre ad essere discriminatoria, distoglie tempo, uomini e risorse economiche che dovrebbero essere impiegate per contrastare i fenomeni di criminalità organizzata, quelli sì, reati di maggior rilievo, non collegati ad un’etnia, e ad oggi il vero vulnus della Lombardia. Il resto qui.

I cultori delle regole in Regione Lombardia

Insomma oggi la maggioranza in Regione Lombardia ci ha detto che non era il caso di discutere della vicenda Boni. Secondo la maggioranza (che si sgretola ma finge di essere composta piuttosto che il percolato che cola dalle diverse  indagini e cicliche inopportunità) la nostra mozione su Boni non era ammissibile. Per intendersi la stessa mozione che era stata ammessa in passato sul caso Massimo Ponzoni. Ora, molti sanno anche come la penso sull’annoso caso Penati ma evidentemente ci si è dimenticati che (proprio nel caso di Penati) alla vicenda si era deciso di dedicare un’intera seduta. Com’era giusto. Stupisce forse che lui, Davide Boni il barbaro borioso e sognante) dopo avere pubblicizzato ai quattro venti la propria spiegazione in Aula oggi (‘spiegherò tutto’, ha dichiarato nei giorni scorsi, ‘l’ascolterò attentamente’ gli ha risposto il Celeste Formigoni) si è tirato inspiegabilmente indietro. Seduto come un pulcino (sicuramente barbaro e ultimamente molto meno sognante) tra i banchi della Lega. In castigo. E quindi la seduta di oggi non ha parlato (e fatto parlare) di Davide Boni, argomento non ammissibile. La Giunta ha sfoderato il sorriso delle cerimonie (in fondo, Formigoni, deve avere goduto nel vedere i leghisti mansueti e bastonati) e noi ci accontentiamo di una lettera del Presidente del Consiglio arrivata stamattina. Così il Presidente del Consiglio (che forse è bene ricordarlo dovrebbe essere garante dell’Aula, tutta e di tutti i colori) rimane indagato, silenzioso e protetto dall’ex nemico Formigoni. Bossi mostra il dito. Alfano spera che tutto peggiori (senza crollare ) per indebolire l’avversario interno per le prossime primarie di partito. L’UDC abbraccia tutti. E la Lombardia annega.

Boni ci scrive

Il Presidente Boni stamattina ci scrive. Evidentemente la boria che nei giorni scorsi lo spingeva a dichiararsi tranquillo e pronto a parlare in Aula è già passata. Ecco cosa ci ha scritto:

Pregiat.mi Colleghi, ho deciso di scriverVi ufficialmente, per la prima volta, della vicenda giudiziaria che mi vede, mio malgrado, coinvolto. Lo faccio deliberatamente perché credo che, al di là delle più che naturali curiosità giornalistiche, sia a Voi e idealmente a chi ci ha nominato con il loro voto, che devo fornire in primo luogo conto del mio operato e della mia condotta. Innanzitutto, ringrazio tutti coloro che mi hanno manifestato la loro solidarietà. Non mi sentirete parlare di complotti, né tanto meno di critiche per un uso strumentale della giustizia da parte dei magistrati inquirenti. Ho sempre avuto rispetto del loro operato e non vedo perché dovrei cambiare opinione in questo momento. Al contempo, credo sia giusto ricordare che ho ricevuto una informazione di garanzia, in relazione a fatti tutt’ altro che dimostrati – non siamo dunque dinanzi ad una sentenza, ancor meno definitiva – che non ha avuto ancora alcuna forma di effettivo riscontro e sulla quale io spero conveniate con me mi deve essere dato, prima ancora che garantito, il diritto di difendermi. Mi limito solo a segnalarVi due aspetti utili ai fini di una riflessione riguardo alla mia estraneità: i fatti riguarderebbero un asserito mio coinvolgimento allorchè rivestivo il ruolo di assessore all ‘urbanistica in Regione, incarico che anche avessi voluto, ma non ho voluto, non avrebbe in ogni caso consentito un perfezionamento di alcuna delle pratiche edilizie menzionate dai giornali, in quanto del tutto estraneo ed esorbitante dalle mie funzioni. E’ noto infatti che nell’ attuale ordinamento dell’Assessore non riveste il ruolo di organo dotato di poteri di amministrazione attiva. Nei procedimenti di natura urbanistica, inoltre, la funzione svolta dalla Regione è circoscritta, mentre è valorizzato il contributo degli Enti Locali. Ancora: si parla di somme di denaro ricevute ma sfido chiunque a trovare anche un solo euro nelle mie tasche, che non sia frutto del mio lavoro o, per quanto riguarda il mio partito, che non sia frutto di versamenti o elargizioni ufficiali e dettagliatamente documentabili. Al momento della mia elezione a Presidente mi ero impegnato per una azione di rilancio delle prerogative de Il’ Assemblea quale sede di rappresentanza politica generale e del ruolo di indirizzo nei confronti della Giunta regionale. Ho svolto sino ad ora il mandato affidatomi dall’ Aula nel rispetto dello Statuto e del Regolamento; intendo proseguire su questa strada, dal momento che nessuna delle accuse che mi vengono rivolte può avere la minima influenza sul ruolo di rappresentanza e di garanzia che attualmente esercito. Vi ringrazio per l’attenzione e vi saluto cordialmente.