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Giulio Cavalli

‘Ndrangheta buffa: Mandalari parlava troppo e Chiriaco faceva finta

Che tragica opera buffa la ‘ndrangheta che in Lombardia in incognito si fa chiamare Lombardia. Un’opera da qualcosa in più dei soliti tre soldi con qualche Pantalone, un paio di Azzeccagarbugli e la solita decina di politici distratti. La colonna sonora sarebbe una mazurka tra le consonanti ispide calabresi e le vocali lunghe lombarde.

POLITICI INCONSAPEVOLI. Una razza in costante aumento: “io non sapevo”, “non lo conosco”, “incontro tante persone in campagna elettorale”, “ognuno vota chi vuole”. Ormai possiamo dare per assodato che a lato dei candidati che sudano a smontare gazebo con il nero dei santini sulle mani, in Lombardia si è ramificata una nuova generazione di candidati: le vittime (vincenti) delle preferenze criminali. Faraoni e signorotti a cui pagano cene elettorali a tradimento schiere di fan estasiati e criminali ovviamente a loro insaputa. Però sono da capire; a differenza di Scajola e la sua casa regalata a tradimento, sulle preferenze non si paga l’ICI e sono più difficili da scovare. Abelli non sapeva che l’ASL di Pavia fosse un suo comitato elettorale con un cordone ombelicale che andava diritto tra i peli della ‘Ndrangheta. Emilio Santomauro è un fuoriclasse: dopo essere inconsapevolmente caduto nelle mani della camorra (con il clan Guida) è passato per sbadataggine sotto gli interessi della ‘ndrangheta. Del resto, essendo un uomo dal sangue UDC è sempre stato professionista della larghe intese per “ricucire l’Italia”. Poi c’è Ponzoni Massimo, che se di nome facesse Tom potrebbe essere un eroe del male per fumetti: ultimamente riesce ad essere per caso e per sfortuna in quasi tutti i “buchi neri” lombardi. Ma solo quando lo troveranno con un carico di armi nucleari in giardino sarà abbastanza indegno da pensare alle dimissioni.

BOSS DALLA LINGUA LUNGA. Ad ascoltarli fanno tenerezza. Lontani anni luce dall’icona del boss tra cacchette di capra e ricotte che scriveva in codice sui pizzini stropicciati come Binnu Provenzano, oggi gli aspiranti boss lombardi sono un misto di prepotenti con la cazzuola ed esosi da periferia. Il guappo Vincenzo Mandalari al telefono nel febbraio del 2009 si incensa come fanno le sciantose sotto il portico della Scala: “C’è stato un momento, in cui ad Assago comandavo io! credimi! per mia negligenza, sempre per il fatto di essere abusivista, io ce l’ho nel sangue di essere abusivista!”. Poi, resosi presto conto che “i politicanti vedi che sono scemi” decide di scendere in campo. Aveva in mente di darsi da fare a Bollate per le elezioni comunali. Una strategia precisa: far cadere l’attuale amministrazione, prima, ed eleggere un sindaco amico, poi. “Adesso riusciamo a farla cadere, perché io mi sono intrufolato in politica»”dice in una conversazione del 13 febbraio 2009 Mandalari, e poi l’idea di fondare un partito “non è importante destra o sinistra a livello locale”. Un politico con le idee chiare, senza dubbio. Se è vero che Calderoli è diventato ministro non possiamo che ringraziare la Boccassini per avere frenato la rincorsa di Vincenzino verso la Presidenza del Consiglio. Ma la lingua lunga, nell’opera buffa della ‘ndrangheta milanese si paga: così oggi al Mandalari latitante per la sgarrupata periferia milanese forse converrebbe una residenza certa in carcere piuttosto che un bossolo lucido infilato nella schiena. Le malelingue dicono che stia facendo le primarie per decidere se costituirsi.

MEDICI MITOMANI E BOSS PER FINTA. Più parla Carlo Antonio Chiriaco e più rischia di diventare l’eroe incontrastato della tragica farsa passato il polverone. Direttore sanitario dell’Asl di Pavia e arrestato per associazione mafiosa e corruzione, oggi dichiara di avere fatto tutto per finta. Perché malato. Un direttore sanitario patologico. La radice quadrata di un direttore sanitario ma anche un boss alla seconda. Un mafioso pentito di non essersi pentito di aver giocato, per finta, fino a convincere la mafia ad essere uno di loro. Un mitomane che comprava voti al “faraone” Giancarlo Abelli corrompendo qualche paio di infermieri per una sua libido elettorale. Un direttore sanitario che tra una preghiera a Don Giussano e un inchino a Comunione e Liberazione era affascinato «morbosamente» (dice proprio così nell’interrogatorio) dalla voglia, fin da giovane, di farsi credere dagli altri un malavitoso della ’ndrangheta, per vedere poi l’effetto che fa in chi ascolta. Un mafioso per finta. Ma la nomina alla direzione dell’ASL è una cosa verissima.

IL BOSS DEI BOSS CHE SERVE A MARONI. Pino Neri è il capo della ‘ndrangheta in Lombardia, nessuna prova più lampante della sua tesi di laurea sui “riti della ‘ndrnagheta”. Anzi no, arrestato il boss dei boss Pasquale Zappia. Il capo dei capi era lui. E che diamine, è anche stato eletto a Paderno Dugnano dai mafiosi, non si può andare contro la volontà popolare dei ‘ndranghetisti. Anzi, scoop: il grande capo è Cosimo Barranca. Ha il cognome onomatopeico della potenza criminale. Prima pagina: Domenico Oppesidano, il vero volto del re della ‘ndrangheta. Comunque vada, in Italia, se c’è qualche maxi operazione trovatevi presto il boss dei boss. La comunicazione spicciola antimafia e di propaganda elettorale ha bisogno di una faccia che funzioni da copertina. E non importa se la forza della mafia calabrese sia proprio il suo essere orizzontale. La disattenzione, al massimo, la pagheranno i nostri figli.

GLI ESPERTI DELL’ULTIM’ORA. Come Puffo Quattrocchi giro e rigiro ripetendo tra me e me “l’avevo detto, io”. Ma è una recriminazione per cui non vale la pena. In compenso uomini di destra e di sinistra, associazioni e istituzioni oggi ci dicono che loro lo sapevano già. Mi ricordo bene l’appoggio e l’affetto quando da allarmista inascoltato e inascoltabile mi battevano la pacca sulla spalla. Credevo fosse pietismo, invece evidentemente è il loro modo di essere utili alla causa.

Ave Cesare, morituri te salutant: la P3 del Venerabile Giulio Cesare

La P3 del Venerabile Giulio Cesare

Così Cesare è al corrente di tutto quello che succede. Del resto, non vi può essere alcuna meraviglia, Egli è il dictator! L’unico vero capo di questo Paese che, senza di lui, sicuramente andrebbe alla deriva.

Cesare non ha mai nascosto i suoi rapporti con il Venerabile Maestro Licio Gelli e non ha mai negato di essere stato uno degli appartenenti alla Loggia massonica P2. Ogni tanto urla al complotto dei comunisti affermando di non avere potere e di essere un perseguitato ma, in fondo, lo sa che è il dittatore e non un politico qualunque.

Sta portando a compimento il progetto dell’unico uomo che considera pari a lui, Licio Gelli, ovvero il piano di rinascita democratica delle Loggia P2.

Cesare non vorrebbe ammetterlo e ogni tanto arrossisce, ma non c’è nulla di sbagliato. Ha fatto credere agli italiani qualsiasi cosa, non sarà difficile per lui convincerli che il piano del Venerabile Maestro è cosa buona e giusta.

I fatti gli danno ragione. La magistratura, la stampa, gli insegnanti, gli aquilani e anche quella fetta di “coglioni” italiani che non lo hanno votato sono tutti comunisti. Per fortuna, Cesare in quel meraviglioso 26 gennaio del 1994 ha deciso di salvarci dalla deriva comunista, dalla libertà di espressione, dall’indipendenza della magistratura, dalla scuola, dalla sanità pubblica e da tante altre cose inutili. Grazie Cesare!

I suoi servitori di governo possono continuare a proporre decreti legge utilissimi alle brave persone come quello sulle intercettazioni. Confesso che all’inizio non ho ben compreso la necessità di questo ddl, ma poi ho capito. Mi ha aiutato Daniela Santanché, ovvero il sottosegretario per l’Attuazione del programma del suo governo di sudditi, dichiarando “che senso ha intercettare un mafioso mentre parla con la madre? E’ un abuso”.

Per fortuna Cesare si circonda sempre di persone alla sua altezza in modo che ci possano spiegare anche delle azioni politiche incomprensibili. Ringrazio, quindi, l’On Santanché per avermi fatto capire l’importanza della tutela della privacy dei mafiosi. Grazie! In effetti, tutelare la riservatezza di persone che hanno ucciso, calpestato la dignità, rovinato attività economiche, disprezzato ogni legge dello Stato, riciclato denaro sporco e insultato quotidianamente le istituzioni dovrebbe essere il primo punto politico di un’attività di governo guidata dal grande dittatore.

Adesso alcuni giudici comunisti parlano di P3 e affermano che è implicato anche Cesare. Non penso che ciò sia possibile. Mi chiedo a cosa gli possa servire fare parte di una società segreta quando utilizza le istituzioni come se fossero sue. Sarebbe una contraddizione!

Sono sicuro che, non appena avrà portato a definitivo compimento il Piano di rinascita democratica, Cesare si ritirerà a vita privata. Gli manca solo la dissoluzione totale della televisione pubblica, una seria riforma della giustizia in modo da rendere la magistratura finalmente sottoposta al potere esecutivo, la riduzione del mandato del Presidente della Repubblica, la modifica dei confini delle Regioni, la limitazione del diritto di sciopero e l’esclusione dei servizi pubblici essenziali. Dopo tutto questo, Licio Gelli potrà ricordare una sua dichiarazione del 31 ottobre 2008 in cui affermava: “l’unico che può andare avanti penso che possa essere Berlusconi, non perché era iscritto alla Loggia massonica P2, ma perché ha la tempra di grande uomo e ci ha saputo fare fino ad oggi”.

Io, però, nonostante tutto mi sento un po’ oppresso dalla magnificenza di Cesare. E’ come se la sua grandezza oscurasse qualcosa di più importante che, però, in questo paese si intravede difficilmente. È strano perché mi sembra che stia celando e infangando proprio quello per cui dice di aver iniziato a fare politica. È sicuramente un mio errore … eppure mi sembra che Cesare stia calpestando la libertà.

VARESENEWS sugli arresti “predetti” da Giulio Cavalli

Gli arrestati accusati di essere affiliati alla ‘ndrangheta che operano nel territorio del Varesotto, tutti appartenenti alla locale “Lonate Pozzolo-Legnano” sono volti noti, già coinvolti nell’operazione Bad Boys (prossima udienza in ottobre) messa a segno nel marzo/aprile 2009. In manette è finito nuovamente Vincenzo Rispoli, ortolano, 48 anni, residente a Legnano: è sospettato di essere il capo della locale “Lonate Pozzolo-Legnano”, con contatti stretti con i vertici della cosca Farao Marincola che domina a Cirò Marina suo paese d’origine (è nipote di Giuseppe Farao, capobastone del clan cirotano) Rispoli era finito in carcere lo scorso aprile, per poi essere liberato dalla Corte di Cassazione nel novembre 2009 in seguito ad un ricorso del suo avvocato. Il vice di Rispoli secondo gli inquirenti sarebbe Emanuele De Castro, classe 1968, muratore residente a Lonate Pozzolo ed originario di Cirò Marina, anch’egli arrestato nell’operazione Bad Boys; come pure Nicodemo Filippelli, 39 anni, imprenditore edile, lonatese d’importazione e cirotano d’origine, fratello di Mario, condannato in primo grado a 13 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa ed estorsione. In manette anche altre vecchie conoscenze già finiti in manette tra marzo e aprile 2009: Luigi Mancuso, classe 1977, commerciante di Busto Arsizio; Antonio Benevento, classe 1974, muratore di Legnano; Fabio Zocchi, classe 1962, immobiliarista residente a Gallarate. Con loro in carcere è finito anche Vincenzo Alessio Novella di Legnano. Affiliati alla locale di Bollate sarebbero invece Ernestino Rocca, Annunziato Vetrano e Orlando Attilio Vetrano, tutti residenti a Saronno. Le indagini sono partite dall’omicidio del dissidente Carmelo Novella assassinato il 14 luglio 2008, in un bar di San Vittore Olona, a due passi da Legnano.

Come detto gli arrestati di Legnano, Lonate Pozzolo, Gallarate e Busto Arsizio sono tutti appartenenti alla cosca legata ai Farao Marincola: un’organizzazione molto ricca e altrettanto ben introdotta negli ambienti che contano, dalle amministrazioni comunali agli istituti di credito. I carabinieri solo pochi mesi fa (a marzo 2010) avevano messo a segno un maxi sequestro contro i beni della cosca: 20 milioni di euro,17 società, 34 appartamenti, 4 bar e ristoranti, 1 terreno, 20 auto, 70 conti correnti. Gestivano bar e ristoranti e si trovavano per prendere decisioni al crossodromo di Cardano al Campo e in locali di Busto e Legnano. A loro sarebbero anche da ricondurre anche gli omicidi di Cataldo Murano, trovato carbonizzato nella sua auto in zona boschiva di Lonate Pozzolo il 6 gennaio 2005; Giuseppe Russo, (foto a destra) avvenuto il 27 novembre 2005 all’interno di un bar di Lonate Pozzolo e Alfonso Murano, avvenuto a Ferno il 27 febbraio 2006. Di loro ha parlato più volte Giulio Cavalli, attore teatrale e da poco consigliere regionale dell’Italia dei Valori: nel suo spettacolo si citano sempre Rispoli (il “principe nero”), i Filippelli, De Castro, si ricorda la sfilata del santo cirotano, San Cataldo, che ha preso il posto di Sant’Ambrogio e dei santi “nostrani”, le intimidazioni di Lonate Pozzolo e Besnate e le denunce di alcuni (pochi) che ci avevano visto lungo.

http://www3.varesenews.it/lombardia/articolo.php?id=178507

‘Ndrangheta: una valanga di merda in Lombardia

Scrivo questo pezzo con rabbia. Che non sarà certo un sentimento nobile e sicuramente non è elegante per il mio ruolo (che ancora qualcuno dovrebbe spiegarmi in un gioco di rimbalzi e delazioni che mi hanno trascinato su tavoli diversi da giullare scarso a politicante interessato). Non è elegante, mi dicono, lasciarmi prendere dalla pancia che è una zona molle. Eppure oggi provo rabbia. Forse perché mentre scrivo sono di fianco ai nomi di questo Consiglio Regionale che vengono “segnalati” nell’ordinanza e nemmeno troppo preoccupati stanno preparando la strategia difensiva tutta di comunicazione e per niente sui fatti, i riscontri e la realtà. Come al solito. Però scrivo con il sorriso. Il sorriso nel leggere le intercettazioni dove queste merde criminali trapiantate anche qui si sentono braccati come topi di fogna mentre si dicono “questa volta non ce la scampiamo”, con la Boccassini sulle carte a tenere la barra diritta in un’operazione che comunque passerà alla storia. E allora mi si accende il sorriso ad immaginarmeli Alessandro Manno e Emanuel De Castro che scodinzolano desolati sotto gli stipiti. Mi si apre il sorriso a pensare che la mafia che in Lombardia non esiste ha deciso in Lombardia di chiamarsi proprio “Lombardia”, mentre il boss Pino Neri veniva eletto a Paderno Dugnano in un Centro intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sorrido perché non potranno rimanere impuniti: impuniti loro e impuniti tutti quelli che non sentono e non vogliono sentire, in una palude di immobile e latente inciviltà dove informare è un atto di coraggio. Non si potrà stare a lungo impuniti a forza di giocare a fare i sordi: magari mangiati, comprati, giudicati, annessi o complici. Perché il silenzio è complice. E allora mi sia giustificata la rabbia davanti ad un silenzio gelatinoso e interessato che oggi sanguina come di certo non si può nascondere. Lasciando per un secondo il tempo delle analisi, delle considerazioni, dei risvolti politici o criminali. Mi si lasci la rabbia e il sorriso di guardare oggi negli occhi chi gioca a sommergersi tenendomi la testa sott’acqua.

Da AGORAVOX: Voglio battermi per costruire un’Italia migliore

L’ho scritto già il giorno dopo l’approvazione della legge al Senato. Lo ribadisco oggi. Ci troviamo dinanzi una situazione per cui Antigone si deve scontrare con Creonte. Sono sempre più convinto che bisogna chiedere, ad ogni cittadino, la disobbedienza civile a una legge ingiusta. Dobbiamo fare in modo che Creonte riconosca le ragioni di Antigone e non possa permettersi di mandarla in esilio, perché il consenso elettorale non equivale all’annichilimento del diritto.

Essere eletti non significa agire sopra le leggi ma per esse. Agire affinché i cittadini siano coinvolti nella vita del paese e non si sentano succubi del re di turno. No, questa volta il re non deve agire per sé. Nell’Italia dei furbetti, delle cricche, delle tangenti, approvare questa legge significa abiurare alla democrazia. Perché con questo disegno di legge il Governo si contrappone inevitabilmente al diritto, poiché in uno stato di diritto non è accettabile una legge che si scontra con la norma costituzionale e con la Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

Non è accettabile che si facciano leggi a tutela dei propri interessi. Non è accettabile che si imbavagli la stampa. Non è accettabile. Punto.

Sono stato tra i primi a scrivere per AgoraVox e da sempre gli sono accanto nella battaglia per la libertà d’espressione. Ero sul palco il giorno in cui è stata presentata a Roma, sono qui, oggi, mentre adempie al suo compito di watchdog della poltica e dell’informazione.

Insieme abbiamo creato Mafiopoli, abbiamo sfidato boss e comparse, abbiamo seguito l’Expo, denunciato connivenze. Abbiamo fatto un percorso lungo. Un percorso che non può fermarsi, ora, dinanzi alla volontà di un’élite il cui unico scopo è la tutela dei propri interessi.

Se dovrò disobbedire, lo farò. Se dovrò pubblicare su AgoraVox le notizie che altrove non si potranno pubblicare lo farò. Non è con una legge che si è espropiati del nostro diritto alla parola. Non è con una legge che si annullano i nostri diritti di cittadinanza.

Tutto ciò non è solamente un’ipoteca sul futuro ma anche una tomba sulla nostra storia recente. E’ un macigno gettato sulla lotta alla criminalità organizzata e sulle loro vittime. Perché tante volte le indagini non nascono come indagini di mafia ma lo diventano. Con questa legge, alcune, non sarebbero mai partite. Io non voglio vivere in un paese che dimentica il suo passato e ipoteca il suo futuro. Voglio battermi per costruire un’Italia migliore.

Io ci sono. E voi?

http://www.agoravox.it/Voglio-battermi-per-costruire-un.html

EXPO NO CRIME: parte la commissione che a Milano non deve esistere

Gli arresti di ieri  a Milano che hanno portato in carcere 15 uomini legati a Francesco Valle (classe 1937), per gli amici Don Ciccio, ha i soliti disgustosi ingredienti della ‘ndrangheta in Lombardia. Le solite caratteristiche che non dobbiamo mai dare per scontate in una Regione in piena fase di alfabetizzazione, che non dobbiamo stancarci di scrivere, che non dobbiamo smettere di raccontare sui giornali, sui blog, per strada, agli amici, nelle istituzioni. La presa di coscienza deve essere un trauma che distrugge i collusi, condanna gli indifferenti  e isola i negazionisti.

Ma soprattutto gli arresti ci dicono che le mafie sono già al lavoro su Expo al di là dei toni rassicuranti di qualcuno. Hanno concordato le strategie, oliato le amicizie, stretto nuovi rapporti e sono passate alla “fase d’opera”.

Adesso tocca a noi. Ognuno con il proprio ruolo e la propria storia siamo chiamati ad assumerci la responsabilità di un’azione politica e civile che diventa sempre più urgente: per questo nasce EXPO NO CRIME.

EXPO NO CRIME è il primo intergruppo interistituzionale che vuole coagulare i rappresentati della Regione Lombardia, Provincia di Milano e Comune di Milano in un percorso di vigilanza, dibattito e confronto nella realizzazione di EXPO 2015. Un luogo di partecipazione di politici, associazioni, movimenti, giornalisti, liberi cittadini dove fare domande ma soprattutto provare a costruire risposte. Un segnale chiaro per chi oggi infila il malaffare nelle pieghe della sonnolenza lombarda. Per dire che sappiamo chi sono “le famiglie” e quali sono “i modi” al banchetto dell’Expo ma adesso ci siamo anche noi.

EXPO NO CRIME è la sede che a Milano non deve esistere che si riunisce sotto l’unico simbolo della responsabilità.

Il silenzio è un atto politico e non è nel nostro programma.

Adesso è l’inizio, costruiamolo insieme.

Per adesioni exponocrime@gmail.com

Giulio Cavalli (IDV), Pippo Civati (PD), Chiara Cremonesi (SEL)

‘Ndrangheta: pronto il menù dell’Expo. Adesso tocca a noi.

Gli arresti di ieri  a Milano che hanno portato in carcere 15 uomini legati a Francesco Valle (classe 1937), per gli amici Don Ciccio, ha i soliti disgustosi ingredienti della ‘ndrangheta in Lombardia. Le solite caratteristiche che non dobbiamo mai dare per scontate in una Regione in piena fase di alfabetizzazione, ch non dobbiamo stancarci di scrivere, che non dobbiamo smettere di raccontare sui giornali, sui blog, per strada, agli amici. La presa di coscienza deve essere un trauma che distrugge i collusi, condanna gli indifferenti  e isola i negazionisti.

C’è il boss come te lo aspetti: Francesco Valle, testa rotonda e stempiata e bocca (dicono) semi analfabeta con la solita casa che vorrebbe essere una reggia ma rimane sempre un mausoleo kitch con il solido sbrodolamento del gusto mafiopolitano (scrive Davide Milosa “leoni e discoboli, cavalli alati e la copia del cristo redentore di Rio de Janeiro. Il tutto rigorosamente in marmo bianco a puntellare viottoli, prati all’inglese e una piscina. All’ingresso una targa: villa Angelina”). Alle signorotte impomatate lombarde andrebbe di traverso il thé se sapessero che le ville stile Scarface sono uscite sottovoce dalla copia di Gomorra sul comodino e si sono insediate nel proprio borgo.

Poi ci sono i figli: Angela Valle (46 anni) e Fortunato Valle (47 anni e un nome che oggi suona come uno scherzo del destino) che sono in posa nelle foto segnaletiche come mansueti yesman a disposizione per legami di sangue. Come la ‘ndrangheta ci ha abituato da sempre. Angela sorride, Fortunato invece ha l’aria di avere perso a causa dell’arresto un appuntamento importante nel pomeriggio. I due mandano avanti “l’impresa” con la faccia dell’aziendina lombarda ma nell’ombra dediti all’usura, ai prestiti non convenzionali e a gestire i rapporti con le finanziarie. Fortunato poi si prodiga per amore di famiglia a tessere rapporti istituzionali con l’aiuto degli amici A.M. e Riccardo Cusenza riuscendo (come si legge nell’ordinanza del GIP Giuseppe gennari) ad allargare la loro “sfera di influenza interessandosi a operazioni legate alle costruzioni immobiliari” e ad altre attività imprenditoriali “nella zona di Rho-Pero” in previsione “del prossimo Expo”. In particolare, l’assessore Valia “si prodigò” per mettere in contatto Fortunato Valle” con altri amministratori locali di altri comuni”.

Poi c’è la violenza: quella che colpisce di più i cuori e gli stomaci e serve per fare volare la notizia. Una ventina gli imprenditori e i commercianti strozzati, uno dei quali venne anche “convocato e picchiato brutalmente” da Fortunato Valle alla Masseria di Cisliano, una maxi-struttura con ristorante e piscina organizzata come un vero e proprio bunker, con telecamere, allarmi e sensori. Dalle vittime mai una denuncia.”O con lo Stato o contro lo Stato”, è stato il richiamo del procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini.

Poi ci sono le vecchie conoscenze, quelle che pensi che siano scomparsi nella melma mafiosa dei tempi che furono e in vece riemergono in maschera e boccaglio per ricordarci che la mafiosità è un gene da cui non si guarisce. Paolo Martino (classe 1955) è da decenni l’uomo al nord della cosca De Stefano e “pontiere” tra i Valle, i Papalia e Francesco Lampada (suo ex socio in un’attività di videopoker poi passata ad un “soldatino” delle figlie di Vittorio Mangano. Sì, proprio lui, l’idolo del Senatore Marcello Dell’Utri.

Poi c’è la politica: l’assessore Valia “si prodigò” per mettere in contatto Fortunato Valle” con altri amministratori locali di altri comuni”. In un’intercettazione del 23 gennaio 2009 Fortunato Valle dice: “L’hanno fatta zona, come si dice, zona essendoci l’Expo”. Un altro risponde: “Sarà di espansione, di interesse”. Nell’informativa c’è anche il particolare di un tentativo di infiltrazione “nell’amministrazione del comune di Cologno Monzese, facendo candidare Valle Leonardo (il terzo figlio di Don Ciccio) alla carica di consigliere comunale” nella lista dei Riformisti. In una conversazione del 27 aprile 2009, poi, Cusenza vanta anche, spiega il gip, “di essere molto vicino all’attuale presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà“. Podestà (che ha un cognome che è un programma politico) in una nota smentisce tutto e parla di “vanterie”. Amen.

Infine c’è Expo. Mentre la politica non riesce nemmeno ad innescare la marcia e togliere il freno a mano la ‘Ndrangheta si è già messa la lavoro. Quella mafia che , ci avevano detto, “non sarebbe mai entrata nei cantieri Expo”; quella mafia che Maroni dichiarava di tenere “sotto osservazione”. Quella mafia che ancora una volta dimostra di essere più organizzata e decisionista della politica.

Eppure all’insediamento delle Commissioni in Regione Lombardia quando (come gruppo Italia dei Valori) abbiamo proposto una Commissione speciale sulle infiltrazioni in Expo nessuno ci ha risposto. Tutto in sordina. Richiesta negata.

Dicono gli uomini d’onore che per sapere stare sul campo bisogna essere capaci di “reinventarsi”. Adesso ci mettiamo a farlo anche noi. Mica per scherzo. Presto gli aggiornamenti.

Lombardia, Malpensa, un museo e una bolla di sapone

Scrivo questo post dall’onirica seduta consigliare della Regione Lombardia in quel di Malpensa. L’ennesima trovata pubblicitaria che più volte ho contestato e che costa come qualche buona borsa di studio per i figli dei disoccupati dello scalo varesino che vorrebbe fare il milanese. A dire il vero non abbiamo nemmeno la soddisfazione di essere dentro lo scalo (eppure ci sono passati in tanti: passeggeri al di sotto delle previsioni, lavoratori in inesorabile e costante calo e alcuni uomini della cosca Farao-Marincola come ha perfettamente illustrato il PM Venditti), il Consiglio è stato accampato nel museo Volandia. Ecco, in trasferta non si poteva che atterrare in un museo con il nome di un parco dei divertimenti (museo, tra l’altro da vedere, ma con i propri figli e non con Formigoni e la Giunta al seguito).
Sfilano le ovvietà su danni o benefici (dipende solamente dal colore politico dell’oratore ma i fatti raccontati magicamente sono identici) di un aeroporto che voleva essere una rivoluzione ed è stato un goffo harakiri. Intanto fuori hanno appena condannato Dell’Utri (o forse sarebbe meglio dire questa nostra Seconda Repubblica), e già sulle agenzie si legge il solito ring. La sensazione è di essersi rinchiusi in una bolla di sapone nemmeno troppo divertente mentre saremmo chiamati per rispetto ad essere fuori. Non qui.

Visite nelle carceri lombarde: Opera

Durante la campagna elettorale ho affermato più volte che avrei guardato con attenzione a tutte le situazioni di difficoltà e, tra queste, ovviamente rientra anche quella carceraria.

È per questo motivo che ho deciso di condurre visite ispettive in ogni carcere lombardo.

Devo ammettere che spesso non è semplice essere obiettivi e lucidi nell’analisi delle case di reclusione, soprattutto per persone che, come me, si ritrovano a intravedere, al di là delle sbarre, associati delle famiglie mafiose che vogliono eliminarle.

Il carcere di Opera è per la sua stessa struttura un ambiente asettico e anonimo. All’interno i colori si spengono quando lo sguardo incrocia le sbarre.

Ho percorso i corridoi, ho visto le celle, i passeggi dove i detenuti usufruiscono delle ore di aria, le mense, i laboratori e gli ambulatori. Ho visto facce, uomini dietro le sbarre e uomini con la divisa che vivono con estrema difficoltà la lontananza da casa, il lavoro recluso e una paga irrisoria.

Mentre osservavo tutto questo mi sono chiesto dove potessero posizionarsi gli slogan sulla sicurezza di questo governo, in quale recondito luogo della dignità dovesse inserirsi la vittoria di una struttura penitenziaria che riesce a far coabitare in una cella (di grandezza circa 3×2,5) “solo due detenuti”. Mi sono chiesto quale concetto di sicurezza abbiano coloro che ritengono necessaria l’apertura di nuove carceri come unica soluzione al sovraffollamento delle stesse.

Il problema sicurezza è strettamente legato alla situazione carceraria, che senza un reale apporto per il reinserimento dell’individuo è assolutamente inutile oltre che incostituzionale (art.27 Cost.). Il lavoro all’interno del carcere di Opera è ben strutturato, ma non è sufficiente. Sono necessari più laboratori, psicologi, educatori e agenti.

Eppure il governo della sicurezza non ha aumentato i fondi per le strutture ed il personale penitenziario. Ad Opera, inoltre, la struttura sanitaria interna a breve non sarà più in funzione per un passaggio di competenza alla Regione, che sicuramente dilungherà i tempi delle visite ed aumenterà i costi.

Non si può ritenere che le spese per i detenuti e per le case di reclusione siano inutili. Un uomo in carcere deve poter mantenere sempre la sua dignità e deve poter accedere a tutti gli strumenti che gli possano servire per il reinserimento nella società. Una politica che non si interessa di queste problematiche è una politica criminale, punitiva e medioevale, che non merita rispetto in un paese costituzionalmente orientato.

C’è un particolare che mi ha colpito molto in questa visita. Ad Opera sono reclusi colpevoli di ogni tipo di reato contro la persona e contro il patrimonio. Eppure una domanda mi è balzata alla mente: ma tutti i “colletti bianchi” che si situano in quella zona grigia della criminalità organizzata dove sono? Come mai c’è una categoria di colpevoli che riesce sempre a sfuggire alle maglie della reclusione? Forse tutte le riforme legislative di questi ultimi anni hanno avuto lo scopo di punire spacciatori, immigrati e ladruncoli e hanno perso di vista corruttori e frodatori? Sono convinto che non possa essere così perché, altrimenti, saremmo al cospetto di un governo schizofrenico.

Talvolta sento urlare allo scandalo per le condizioni in cui vivono i reclusi sotto regime di 41 bis. Oggi li ho visti nelle loro celle. Non mi sembra che possano essere considerati detenuti uguali agli altri e non ritengo che vivano in una situazione disagiata e terribile. Spero solo che tutto questo vocio non porti alla distruzione di questo regime speciale, che è stato ampliato dopo la strage di Capaci. Sebbene nessuno possa essere privato della dignità personale, ritengo doveroso che lo Stato utilizzi un trattamento carcerario differente per chi volutamente ha calpestato non solo la dignità di molte persone, ma ha vissuto in una società parallela guidata da regole proprie, che non ha mai riconosciuto le istituzioni se non quando le ha usate per patti, affari e compromessi.

Vi terrò aggiornati sulle prossime visite sperando di potervi illustrare situazioni sempre adeguate al rispetto dei diritti umani.

Un ministero con un prezzo altissimo: la decenza

Sono molti e diversi i motivi per cui Brancher ministro dovrebbe accendere rigurgiti insopportabili e non sopportati da un Paese che ha perso il gusto del risveglio: la storia di Brancher, innanzitutto, è un sentiero di ombre che mette le radici nelle pieghe di quella Prima Repubblica che è stata “riciclata” piuttosto che essere confiscata e riassegnata ad uso sociale.

Aldo Brancher è sempre stato ad un soffio dalla quasi condanna grazie all’uso spregiudicato delle pieghe “garantiste” e rassicuranti della politica dell’impunità: detenuto per 3 mesi nel carcere di San Vittore, fu uno dei pochissimi inquisiti di Mani pulite a ricevere solidarietà dall’ambiente esterno: lo rivelò il suo datore di lavoro Silvio Berlusconi raccontando che “quando il nostro collaboratore Brancher era a San Vittore, io e Confalonieri giravamo intorno al carcere in automobile: volevamo metterci in comunicazione con lui”. Scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare, è stato condannato con giudizio di primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano. In Cassazione il secondo reato va in prescrizione, mentre il primo è stato depenalizzato dal Governo Berlusconi II, del quale faceva parte. Viene indagato a Milano per ricettazione nell’indagine sullo scandalo della Banca Antonveneta e la scalata di Gianpiero Fiorani all’istituto creditizio: la Procura ha rintracciato, presso la Banca Popolare di Lodi, un conto intestato alla moglie di Brancher con un affidamento e una plusvalenza sicura di 300mila euro in due anni.

Oggi il neo ministro del neonato e patetico “Ministero per il federalismo” decide di sfoderare il “legittimo impedimento” per l’udienza prevista domani mattina. Deve organizzare il proprio ministero, dice sornione. Primo buco libero nella fitta agenda del servile ministro è per il prossimo 7 ottobre. In un Paese civile si scenderebbe in piazza, si chiamerebbe la rivoluzione della dignità che viene fatta marcire sotto le suole di un Governo che ha superato il limite dell’oltraggio non solo alla democrazia ma anche alla Costituzione, ai cittadini, alle Istituzioni, alla Giustizia e alla decenza.

Ecco, se si dovesse trovare un aggettivo per abbigliare questo momento politico, “indecente” sarebbe il più calzante. L’indecenza di un ministero lanciato come una ciambella di salvataggio. L’indecenza di un potere che usava l’impunità per preservarsi e ora pornograficamente nomina potere per impunirsi. L’indecenza di un sorriso che sta sulla faccia di un presunto ladro mentre sfugge al giudizio e tutto intorno gli arredi di palazzo della Repubblica Italiana, i fotografi delle grandi occasioni, il Presidente che stringe la mano, le congratulazioni del Governo, la compostezza dei messi, i flash da cerimonia, gli uffici stampa che hanno raccontato sessant’anni di storia, i braccioli dei padri costituenti.

In mezzo, un ministro in calzamaglia e senza maschera come la pagina di un giornaletto erotico incollata a forza in mezzo ad un manuale di Storia. Come un pacchetto scagazzato lasciato a tutti i cittadini, al mattino presto, fuori dalla porta. Un ministro indecente. L’ennesimo e non l’ultimo. Di una rivoluzione che russa.