Articolo di Giulio Cavalli su ALTRECONOMIA di marzo
Forse arriverà un giorno che non ci sarà più bisogno di aggiungere nessuna specifica geografica. Dunque niente “mafia al nord” o “mafie in Lombardia” o peggio “qui la mafia non esiste”, dove il qui è una città qualunque. Sarà forse che il recente piglio localizzatore è così simile ad una eco di scaricabarile, ma il medioevo della responsabilità è tutto nel volere disegnare giardini vergini ognuno a casa sua mentre le mafie dovrebbero pascolare pelose ma comunque lontane.
Oggi il cartello mafioso (con Camorra, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta a tirarne le fila) trova in settentrione un alleato assolutamente insperato: l’indifferenza nella sua accezione più insalubre. Dopo avere superato il negazionismo (da Pillitteri in poi), l’ignoranza più o meno intenzionale (nelle visioni superficialmente ottimistiche del sindaco Moratti) ci ritroviamo oggi di fronte ad un “federalismo di responsabilità” che delimita il problema alle regioni meridionali. Ci ritroviamo così seduti a raccontarci e rimasticare la letteratura criminale della Sicilia o della Calabria mentre le seconde e le terze generazioni delle famiglie storiche impiantate al nord si ripuliscono per reinventarsi imprenditori dell’ultima ora.
Eppure oggi in Lombardia possiamo affermare di avere tutti i segnali di una criminalità organizzata in ottima salute: beni confiscati (nei primi posti a livello nazionale), riciclaggio, contatti bipartisan con esponenti politici (è di oggi, mentre scrivo, la notizia degli arresti dell’ex sindaco Pd di Trezzano sul Naviglio Tiziano Butturin e l’ex assessore al lavori Pubblici dello stesso Comune, oggi consigliere comunale Pdl), e addirittura morti ammazzati (l’ultimo a Milano è Giovanni Di Muro, il 41enne salernitano freddato a colpi di pistola il 5 novembre scorso in via dei Rospigliosi).
In una società responsabile e dignitosa superare il problema facendosene carico e non semplicemente scavalcandolo sarebbe un obbligo morale. Oggi, in Lombardia ma più generale giù al “nord”, parlare di mafia è diventato un gioco delle parti tra presunti allarmisti e mediatori per convenienza, tra analisi strumentali e mistificazioni coprenti. E tutto intorno non si alza nemmeno la polvere.
Tutto intorno una regione sonnacchiosa mentre apparecchiano il banchetto dell’Expo. Una regione che controlla la carta d’identità di un mojito e cammina su fiumi di cocaina. Una regione che s’abbuffa alle conferenze stampa delle grandi opere e che inciampa al primo gradino del primo subappalto. Una regione che convoca gli stati generali dell’antimafia per ribadire di stare tranquilli. Una regione che ci convince di aver risolto tutto spostando i soldatini del Risiko con la scioltezza di un tiro di dadi. Una regione che se il fenomeno criminale non emerge allora non esiste. Una regione che mette i moniti dei procuratori antimafia nei faldoni di “costume e società”. E intanto ride. Sonnacchiosa. Impermeabile.
Ora la società civile è chiamata ad essere civile. Civile nel senso di responsabile. Attiva nel senso di mai ferma. Solidale nel non sopportare il silenzio. Oggettiva, a guardarsi dall’alto. Tutta intera. Tutta.