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Giulio Cavalli

Dice la Boschi che l’ANPI è come Casapound

Cioè, non ha detto proprio così ma se dovessimo fare lo stesso giochetto che ha usato lei contro “quelli di sinistra che votano no al referendum di ottobre” il risultato sarebbe questo. Perché le parole sono importanti e perché una frase come quella della ministra è sbagliata per almeno cinque motivi. Ne ho scritto per Fanpage:

È forse il primo, grossolano, errore di Maria Elena Boschi: preferendo il fare al dire la ministra ha cercato sempre di parlare il meno possibile, concentrandosi sul legare il proprio cognome ad una serie di riforme. A differenza di altri membri del governo la Boschi sembra avere imparato la lezione renziana: lasciare a Matteo la comunicazione e concentrarsi sulla sensazione di essere impegnati, al lavoro, in movimento. Per questo l’uscita di ieri della Boschi a Desenzano del Garda, tappa del tour che il PD ha voluto programmare per tutta Italia in previsione del referendum costituzionale di ottobre, è un errore marchiano: “Sappiamo – ha detto Boschi – che parte della sinistra non voterà le riforme costituzionali e si porranno sullo stesso piano di CasaPound e noi con CasaPound non votiamo“. Incassando un applauso (per altro imbarazzato) da parte dei tifosi presenti.

È un autogol, quello della Boschi, per diversi motivi ma soprattutto è la prima vera “caduta di stile” di una campagna che dimostra già ora mostra di tendere i nervi ai componenti del governo: quella che dovrebbe essere una discussione nel merito (“stare nel merito delle cose” è un altro dei comandamenti del gruppo di comunicazione vicino al premier che dall’inizio della legislatura sembra essersi perso per strada) si sposta, al solito, sulla delazione degli avversari che questa volta non sono solo più conservatori o gufi ma addirittura parafascisti.

(continua qui)

Quella pessima frase detta ieri in tv

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L’avevo notata in diretta ma vedo che Luigi ne scrive puntualmente nel suo blog:

«Con la consueta aria da gradasso, il Sommo Cretino ha sparato: «Io dico: “Cari giudici, fate il vostro lavoro, io faccio il mio: io devo fare le leggi, voi dovete applicarle”».
Tu devi fare le leggi? E allora il Parlamento a che serve? Domanda retorica: serve solo a convertire in legge i decreti del Governo, tutti coperti dalla foglia di fico dell’urgenza. Come non dargli l’opportuna delega, al Governo, quando si è dei semplici cooptati dalle segreterie dei partiti che lo sostengono? Fanculo alla separazione dei poteri: esecutivo e legislativo possono ben stare in capo a una sola persona, meglio se poi cumula le cariche di Presidente del Consiglio e di Segretario del partito di maggioranza relativa, che l’apposita legge elettorale trasformerà in assoluta. Perché tutto proceda in modo snello, togliamo l’intoppo di una seconda Camera, e poi che manca? Ah, sì, manca che al Quirinale ci sia un Mattarella e al Csm un Legnini: presto, portate una corona d’alloro, ché il gradasso la pretende.»

Il resto è qui.

La solita truffa per zittire i magistrati

magistratura

Devo subito fare una confessione: sogno di vivere in un Paese intrinsecamente politico. Mi piacerebbe discutere con la mia farmacista delle complicazione e gli interessi che mi sfuggono nel mondo dei farmaci, vorrei potere dedicare qualche minuto in più e un caffè a chi i giornali (che noi scriviamo) tutti i giorni poi li vende e magari chiedere al bar quale sia il “sentiment” fuori dai social, quello che probabilmente il mio barista chiamerebbe il “cosa rode in giro”; mi piacerebbe che davvero fuori da scuola, nei discorsi in attesa dell’entrata e dell’uscita, si capisse che le lamentazioni spesso sono esigenze da farsi riconoscere, diritti da organizzare; vorrei soprattutto, e sempre di più, confrontarmi con coloro che sono lontani dalla realtà che vivo, per lavoro e per situazione, vorrei riuscire a discutere ogni riforma con quelli che dentro la riforma ci vivono per davvero, quelli per cui una legge, al di là della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, gli cambia la quotidianità, gli orari, i modi e le abitudini.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

L’articolo che Dossetti avrebbe voluto in Costituzione

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L’appello di Tomaso Montanari che è, in fondo, anche un manifesto politico:

«Giuseppe Dossetti avrebbe voluto in Costituzione un articolo che dicesse che:

«La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino». 

Oggi tutti noi siamo in questa piazza romana perché sentiamo questo dovere. E perché vogliamo esercitare questo diritto.

Lo vogliamo fare con tutta la nostra voce: e siamo felici che alle nostre voci si aggiunga quella potente della tromba marina del Tritone di Gian Lorenzo Bernini, che oggi è un nostro speciale compagno di lotta.

In questi mesi una serie di decisioni scellerate di questo governo – un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare resa possibile da una legge formalmente dichiarata incostituzionale – sta di fatto sradicando dalla Costituzione l’articolo 9.

Denuciamo che oggi la Repubblica non promuove lo sviluppo della cultura.

Non promuove la ricerca.

Non tutela il paesaggio, cioè l’ambiente.

Non tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Oggi è emergenza cultura!

Nei primi colloqui che ho avuto con lui, il ministro Dario Franceschini (allora appena nominato) mi disse che il presidente del Consiglio aveva il progetto di abbattere la tutela pubblica del paesaggio e del patrimonio («far fuori le soprintendenze», mi disse). E che lui, il ministro, si sarebbe opposto.

Ebbene, i fatti – i fatti che ci hanno portato in questa piazza – certificano che quel confronto, se mai c’è stato davvero, l’ha vinto il presidente del Consiglio, e l’ha perso il ministro per i Beni culturali.

Anzi l’hanno perso il paesaggio e il patrimonio artistico: cioè tutti noi, e i nostri figli.

Noi chiediamo l’abrogazione dello Sblocca Italia: una legge criminogena che consegna l’Italia ai signori del cemento e del petrolio. Una legge scritta sotto la dettatura telefonica delle lobbies.

Vogliamo, invece, una legge che porti a zero il consumo suolo: una legge vera, non come quella, ipocrita e dannosa, che giace in Parlamento.

Chiediamo al governo di ritirare l’odioso provvedimento del silenzio assenso. Prima si sono svuotate le soprintendenze di mezzi e di personale. E, ora che non ce la fanno più a rispondere in tempi brevi, si vuol far pagare il conto ai cittadini: perché il famoso silenzio assenso servirà solo a costruire Grandi Opere Inutili. Utili, anzi, solo a chi le costruisce, e fatali per l’ambiente: e non di rado per la vita stessa dei cittadini, falciati da alluvioni e da frane provocate dal cemento.

Chiediamo al governo di rinunciare alla bestemmia del Ponte sullo Stretto.

Vogliamo l’Unica Grande Opera utile, e cioè il risanamento e la messa in sicurezza del territorio.

Chiediamo al governo di ritirare l’articolo della Legge Madia che mette le soprintendenze sotto i prefetti: che mette, cioè, la tutela tecnico-scientifica del territorio sotto il potere del governo stesso.

Nemmeno un governo eletto plebiscitariamente (e questo, notoriamente, non lo è) ha il potere di distruggere ciò che dobbiamo lasciare alle future generazioni. Siamo custodi, non padroni.

E la nostra voce è umile: ma contiene quella dei nostri figli, e dei figli dei nostri figli: finché non si spenga la luna. È il futuro che ci supplica di non distruggere la bella Italia.

Vogliamo che la soprintendenza sia una vera magistratura del territorio e del patrimonio storico e artistico. Indipendente dal potere politico.»

(continua qui)

Bisogna imparare a dubitare per essere curiosi

Ogni uomo che abbia la benché minima esperienza del mondo conclude facilmente che tutti gli altri, persino i più ragionevoli, talvolta ragionano male, e ragionano male, di solito, sui propri interessi. Così, bisogna esser follemente presuntuosi per immaginare d’esser gli unici al mondo ragionevoli nel proprio interesse, e per non dubitare costantemente del proprio giudizio quando occorre. Perciò mi stupisce la stravaganza della maggior parte della gente, e specie dei contendenti, che s’immaginano sempre tutti quanti d’aver le migliori ragioni del mondo.
(Jean Domat, Pensieri, XVII sec.)

 

 

*Immagine tratta dalla bellissima tesi di Simona Della Croce “STORIA E GIORNALISMO. PEPPINO IMPASTATO: DA TERRORISTA A SIMBOLO DELLA LOTTA CONTRO LA MAFIA. IL POTERE DELL’INFORMAZIONE E LA FORZA DELLA MEMORIA.” anno 2010/2011 (la potete leggere qui)

Ma le firme del PD a Napoli non è che per caso siano illegali?

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Si legge nel sito del Ministero dell’Interno che le firme per la presentazione delle liste alle elezioni amministrative debbano essere apposte su fogli in cui sia stata compilato prima (prima) l’elenco dei candidati. Scritti ben leggibili e in stampatello. Dicono. Seguitemi.

Il 5 maggio esce un’agenzia di stampa:

«+COMUNALI NAPOLI, MANCA NUMERO LEGALE: ASSEMBLEA PD NON APPROVA LISTA+ (OMNINAPOLI) Napoli, 05 MAG – Manca il numero legale, l’assemblea provinciale del Pd Napoli non approva la lista dei candidati al Comune. Un ostacolo di natura tecnica dovuta ai conflitti interni ancora da sciogliere a poche ore dalla presentazione ufficiale.»

È datata 5 maggio. 2 giorni fa. Oggi hanno depositato le firme. Quindi, mi chiedo: poiché il 5 maggio evidentemente non avevano ancora la lista definitiva dei candidati e oggi hanno depositato lista e firme, hanno raccolto tutte le firme in 24 ore? Oppure nonostante “i conflitti interni” hanno indovinato comunque come sarebbe andata a finire?

—- aggiornamento 7 maggio 21.39 —-

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Quel padre seduto sul marciapiede

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Torino, zona Crocetta, un uomo sta seduto con un materassino sul marciapiede. Niente di sporco o vizioso: è in posizione yoga ed è vestito elegante, solo un piumino per quando si fa freddo. Si chiama Stefano, ha 37 anni ed è sprofondato nel solito burrone di una brutta depressione. Poi si è ripreso, ha cambiato lavoro e si è separato. Non mendica, Stefano, sul marciapiede. Non chiede solidarietà, anche se la solidarietà arriva con chi ormai ci passa regolarmente, lì dal padre seduto sul marciapiede, per bersi un caffè e farsi una chiacchierata. Dentro quel palazzo piantato sul marciapiede Stefano ha la figlia e la sua ex moglie. Una separazione come tante in cui i telefoni smettono di squillare e ci si parla solo per avvocati e le liti poi ricadono sui figli. E la figlia di Stefano, che un giudice ha detto che deve stare con il padre ogni due settimane, si ritrova nella morsa dei litigi e alla fine quei giorni “stabiliti per legge” non sono stati rispettati.

Lui, Stefano, non fa la guerra. Ha vissuto il buio e figurati se è disposto ancora ad entrare nel cunicolo della rabbia. E allora rimane lì. «Per fare sentire a mia figlia che comunque io sono vicino», dice. E l’ha scritto con gesso bianco, ripassato, sul marciapiede. Un padre sul marciapiede. Senza urla, senza strepiti, senza vendette. Roba da letteratura, di sabato mattina.

Libri, Salvini e Coca Cola

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Siccome ci tengo ad approfondire vi consiglio un post:

Non è facile, non è per niente facile.
La linea che ormai seguo da un po’ è quella di condannare violenze e razzismi in genere, da qualunque parte vengano, di qualunque colore siano, perché essere di sinistra vuol dire esserlo dentro, al di là del colore politico indossato, al di là degli schemi in cui vi piace tanto autocatalogarvi.
Sarebbe facile, in realtà, perché i simpaticoni che ieri hanno strappato copie del libro di Salvini sono degli idioti tout court e su questo non ci piove, non fosse altro perché hanno fatto esattamente il gioco del nostro populista preferito che, e qui mi attirerò gli insulti di molti, stupido non è: perché, altrimenti, sarebbe andato proprio a Bologna, la città che storicamente lo detesta e lo dimostra nella maniera più visibile possibile?
Bene o male, l’importante è che se ne parli, è una massima che lui ha studiato benissimo e che voi, dall’altro della vostra maglia del Che indossata sotto la kefiah continuate ad ignorare, accecati dai vostri ragionamenti di pancia e dall’illusione che davvero ci sa qualcuno che segue le vostre lotte mentre, stravaccati sul divano, twittate che quelli di Hobo Hanno fatto bene!!!!!.
Prima 
di compiere determinate azioni, andrebbe ripetuta una piccola domanda: cui prodest?
Giova a Salvini, che adesso può dire che i fascisti siete voi, perché sì, avete compiuto un gesto totalitarista come quello di strappare dei libri per impedire ad altri di leggerlo, per nulla diverso da quello di versare della Coca Cola su dei fumetti poco graditi.
Giova a Maroni, che adesso ha potuto dire che i leghisti sono i nuovi partigiani con degli imbecilli che gli hanno anche dato ragione, noncuranti dei partigiani veri che hanno preso a far le trottole nelle loro tombe.
Giova a chiunque abbia mandato via la sinistra dal Parlamento, perché così viene data l’immagine di una sinistra immatura, incapace di esprimersi se non a schiamazzi e sberleffi, con Salvini (ancora lui) che può atteggiarsi a superiore agli occhi dei più (facciamocene una ragione, non tutti leggono i commenti su Facebook dei seguaci di Salvini, M5S e compagnia, e noi che ragioniamo più di cinque minuti su qualunque cosa siamo una sparuta minoranza).
Giova, e qui chiudo anche se potrei andare avanti, alla Lega e ai suoi seguaci.
E fin qui la parte facile: vi lascio però con un dubbio.

(continua qui)

Ho intervistato Pino Maniaci

Non ha potuto parlare con nessuno in questi due giorni in attesa dell’incontro con il magistrato avvenuto proprio oggi ma dopo la conferenza stampa, a microfoni spenti, Pino Maniaci, il giornalista indagato per tentata estorsione, ha ancora voglia di parlare. Ci sentiamo mentre raggiunge la località fuori Palermo per rispettare il decreto di allontanamento voluto dal giudice (“Sono in località protetta, come i pentiti” riesce comunque a scherzare) e parte subito con un attacco frontale: «Ecco la polpetta avvelenata – mi dice – sono riusciti nel loro intento, chiudere Telejato. Inventandosi un reato che nemmeno esiste e sputtanandomi con la mia vita privata con un filmato ad arte che sarei curioso di sapere dai Carabinieri se per caso è stato montato da Federico Fellini».

Pino, andiamo con ordine. Ti si vede mentre prendi denaro dal sindaco. L’immagine è chiara…

(continua su: http://www.fanpage.it/intervista-a-pino-maniaci-verranno-tutti-a-chiedermi-scusa/)

Vi ricordate l’icona antimafia?

Don Luigi Merola, prete sotto scorta che improvvisamente sembrò un calunniatore intento a coprire un rapporto poco limpido con una donna? Beh, è stato archiviato. Lo potete ascoltare qui sotto. Parole da appuntare.