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Giulio Cavalli

Limitare la durata delle nomine a due anni è un’ottima idea

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Non sono renziano, tutt’altro, ma davvero non capisco cosa ci si possa trovare di sbagliato nel fatto che il governo abbia voluto limitare i nuovi dirigenti del reparto dell Sicurezza a solo due anni di mandato. Dice, Renzi, che gli sembra corretto non prendere decisioni che riguardino anche i governi che verrano. E io trovo che sia una scelta giusta. Perché se è vero che ormai è conclamato lo spoil system in tutti i comparti (sanità, consulenti, sicurezza e molto altro) la scelta del Consiglio dei Ministri mi sembra intellettualmente onesta. Tutto qui.

Completamente diverso il discorso su Carrai: se davvero Renzi ha pensato che bastasse fare posare la polvere per riproporre la folle idea di un “amicone” con un ruolo nevralgico nei servizi segreti è stato (eufemisticamente) ingenuo. E, stando alle indiscrezioni, sembra che Mattarella questa volta (finalmente) abbia deciso di tenere il punto e bene ha fatto a chiedere a Renzi di farne al massimo un consulente della Presidenza del Consiglio. E anche la vicenda Carrai testimonia perfettamente come la meritocrazia di questi tempi si calcoli in base alla fiorentinità e alla vicinanza con il premier. E questo non è un bello spettacolo. Proprio no.

Il referendum sarà (anche) una battaglia contro la mistificazione

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Guardate bene l’immagine qui sopra, è la fotografia di quel che sarà da qui fino al referendum: una mistificazione continua in cui si soffierà sulla superficialità e il populismo raccontando che il “comitato per il no” sia un gruppo di conservatori che vuole mantenere gli antichi (e odiosi) privilegi. Bisognerà, giorno per giorno, casa per casa, raccontare che la riforma Boschi non abolisce per niente il Senato ma semplicemente abolisce la possibilità di votare i senatori delegando la loro nomina ad un astruso meccanismo politicista. E il giochetto sarà quello di far credere che abbiamo un governo pronto a siglare grandi riforme e impossibilitato a farlo. Esattamente come quando c’era Silvio.

E allora davvero, al di là dell’essere a favore o a sfavore di questo governo, i prossimi mesi ci chiedono di armarci di tutto il nostro dovere di cittadinanza attiva: conoscere la Costituzione, conoscere la riforma e avere un’idea sui possibili effetti. Perché se è vero che mette i brividi pensare che questa classe dirigente (più i verdiniani) si metta a toccare la Costituzione è anche vero che il referendum delega ai cittadini una reale capacità di scelta. I padri costituenti, in fondo, diventiamo noi pur con tutto il veleno d’informazione che ci ritroveremo in campo.

#Left cosa ci abbiamo messo dentro

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Left è in edicola. Il sommario del numero è qui.

Io mi sono occupato di Milano, di Beppe Sala, di Parisi e di Basilio Rizzo. Qui l’incipit del mio pezzo:

«L’ultimo inciampo è accaduto in zona Giambellino-Lorenteggio, periferia milanese da sempre serbatoio di voti del Pd. Beppe Sala è arrivato indossando la sua maschera da campagna elettorale, sorriso responsabile gigioneggiando disponibilità, alla Casetta Verde, sede del comitato di quartiere, pronto a tessere la solita rete di promesse per le periferie. Mentre si intratteneva con una storica abitante del luogo è stato contestato da un gruppo di residenti. Meglio: secondo lo staff di Sala si sarebbe trattato di “antagonisti organizzati” mentre loro, i contestatori, dichiarano di essere «semplicemente cittadini della zona che non dimenticano gli sgomberi e le politiche sulle periferie, oltre al bilancio di Expo che non arriverà prima delle elezioni».

Comunque le accuse devono aver colto nel segno se è vero che Sala sarebbe stato “cinturato” dai suoi collaboratori per evitare lo scontro fisico ed è stato necessario l’intervento della polizia. «Ci piace pensarti così, di corsa che scappi da chi non si fa prendere in giro e oggi ti ha sputato la verità in faccia»: hanno scritto sui social alcuni esponenti del Comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio.
Mister Expo che perde le staffe, comunque, è il sintomo di una campagna elettorale che vede contrapposti per la corsa alla poltrona da sindaco due manager – Beppe Sala per il centrosinistra e Stefano Parisi per il centrodestra – che sembrano poco avvezzi a una campagna elettorale che non si vincerà certo con le strette di mano o con l’altisonanza dei curricula.
I milanesi puntano sulla concretezza delle risposte chiare alle domande precise, nessun fumo, e se Beppe Sala ha pensato che bastasse la retorica di “Expo = grande successo” e la benedizione di Renzi per navigare tranquillamente verso la poltrona di Palazzo Marino, oggi si deve ricredere e cercare un cambio di passo. «Serve un Beppe più umano…», si ripete tra i suoi, «meno distante», e così la strategia del “manager vincente” oggi sembra avere esaurito la forza propulsiva.
Dall’altra parte, Stefano Parisi intanto guadagna punti e sorriso: secondo un sondaggio dell’Huffington Post avrebbe recuperato il gap iniziale e risulterebbe addirittura vittorioso al ballottaggio contro Sala. “I due candidati clone”, li chiamano i detrattori: anche Parisi, infatti, come Sala, viene dal mondo degli affari e della burocrazia senza “esperienza di partito”, eppure, se è vero che Sala è stato city manager di Milano con Letizia Moratti sindaco (così come Parisi lo fu con Gabriele Albertini prima di lui), il candidato del centrodestra ha una lunga frequentazione con la politica: a 28 anni era già consigliere del ministro del Lavoro socialista Gianni De Michelis (erano gli anni della “scala mobile”) che ha poi seguito agli Esteri. Siamo negli anni 80, nel pieno fulgore del craxismo in italia. Negli anni 90 invece, mentre tutto intorno crolla, Parisi avanza fino a Palazzo Chigi: capo del dipartimento Economia del premier Amato e poi del presidente del Consiglio “tecnico” Carlo Azeglio Ciampi: arriva Silvio Berlusconi e lui, il camaleonte Parisi, è sempre lì; poi arriva Prodi (e il governo dell’Ulivo) e Parisi rimane inamovibile. Solo nel 1997 approdò a Milano a seguito dell’allora sindaco Albertini, per diventare poi direttore generale della Confindustria con il presidente Antonio D’Amato. Una vita più di scontri che di mediazioni: a Milano aveva rotto con la Cgil sul patto del lavoro e fu uno dei collaboratori del giuslavorista Marco Biagi completandone il lavoro dopo l’omicidio: mentre Cofferati portava il sindacato in piazza, Parisi dialogava con Berlusconi e Maroni per inseguire tutt’altro modello economico. Ed è lì probabilmente che è scoccata la scintilla che ha convinto Berlusconi (ma anche Salvini) a puntare su di lui per la corsa a sindaco. Candidato di un centrodestra che, qui a Milano, è ben distante dal complicato scenario nazionale se è vero che alla presentazione della sua candidatura il parterre era composto da Salvini, l’ex ministro Lupi passando per La Russa e Gelmini: roba da fantascienza, in Parlamento.»

Il resto in edicola o in digitale qui.

Cosa c’è dietro al Crotone

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Tanto per capire di cosa stiamo parlando quando parliamo di Vrenna e della ‘ndrina collegata, due articoli chiari. Tanto poi ci torniamo:

Maria Scopece per il Fatto Quotidiano:

«L’inno del Crotone Calcio è la splendida canzone di Rino Gaetano “Il cielo è sempre più blu“, in omaggio ai natali del cantautore romano d’adozione e che ben si addice allo stato di grazia della formazione calabrese che domina la classifica di Serie B insieme al Cagliari. Il cielo del Crotone però sta per tingersi di tinte fosche dopo che la DDA di Catanzaro ha chiesto il sequestro della società calcistica facente parte dell’ingente patrimonio, circa 800mln di euro, dei fratelli Giovanni e Raffaele Vrenna imprenditori operanti nei settori dello smaltimento dei rifiuti e nelle costruzioni.

Secondo i magistrati dell’antimafia di Catanzaro i fratelli Vrenna “Sono imprenditori attigui al fenomeno mafioso, per essersi sin dalla genesi della loro attività, accordati con le consorterie criminalie segnatamente con quella denominata Vrenna-Corigliano-Bonaventura“. Secondo i magistrati i fratelli Vrenna avrebbero garantito posti di lavoro in cambio di “sicurezza”, alla quale avrebbe dovuto pensarci Luigi Bonaventura nipote del boss Pino Vrenna e ora collaboratore di giustizia.

Già nel 2006 l’imprenditore Raffaele Vrenna era stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, condannato in primo grado e poi assolto. Il cosiddetto “concorso esterno” pur non essendo una fattispecie presente nel Codice Penale ma di creazione giurisprudenziale ed espressione con la quale si indica un certo tipo di collaborazione al reato di associazione di tipo mafioso, è un’onta difficile da cancellare. Tanto che i magistrati della DDA trovano proprio nella sentenza di assoluzione le ragioni per portare a questa nuova richiesta di misure cautelari. La sentenza della Corte di Appello di Catanzaro infatti recita “Esistono certamente rapporti di frequentazione e di interesse tra VrennaRaffaele, suo fratello Giovanni ed i componenti della cosca sopracitata”.

Questa vicenda ricorda da vicino una storia degli anni 90‘, quella dell’imprenditore e patron del Foggia Calcio Pasquale Casillo che nel ’94 venne accusato e arrestato proprio per concorso esterno in associazione mafiosa. L’assoluzione arrivò 13 anni dopo, nel 2007, quando ormai la sua ex squadra era passata attraverso un fallimento a militare in Lega Pro, condizione dalla quale non si è ancora ripresa.

Ma forse questa è anche una storia che racconta quanto sia difficile per le imprese e quindi per lesocietà calcistiche del Sud sganciarsi dalle catene della criminalità organizzata che permea profondamente ogni settore della vita economica e sociale rendendo molto difficile distinguere tra cosa è reato e cosa no.

Una posizione netta è quella presa dal Presidente della Lega B Andrea Abodi per il quale questa faccenda “Col calcio non ha niente a che fare e non macchia nella misura in cui i pronunciamenti formali hanno scagionato i fratelli Vrenna. Al di là di quello che dice e scrive la DDA, per la quale c’è grande rispetto, ce n’è altrettanto per chi già si è espresso mettendo i fratelli Vrenna in posizione di assoluta tranquillità“.

Dal canto loro i fratelli Vrenna in un comunicato si sono definiti ” vittime di angherie e vessazioni delinquenziali mafiose e non già conniventi“.

Ora la palla passa alla Corte di Appello di Catanzaro che dovranno decidere se confermare la richiesta della DDA di Catanzaro o confermare la decisione di respingimento già effettuata dai giudici della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Crotone.»

Da TgCom:

Dal sogno della Serie A al sequestro da parte della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. E’ il futuro che potrebbe attendere il Crotone Football Club, secondo in Serie B, che rientra in un lungo elenco di beni, per un valore totale di circa 800 milioni di euro, su cui l’antimafia vorrebbe apporre i sigilli. Sulla base di dichiarazioni da parte di pentiti della ‘ndrangheta, la procura ha aperto un’inchiesta sul patron della squadra, Raffaele Vrenna, e sul fratello, definiti “imprenditori attigui al fenomeno mafioso”.

La decisione dei giudici – Come si legge su La Stampa, il Tribunale di Crotone ha però rigettato la richiesta di confisca di tutti i beni del gruppo imprenditoriale che fa capo ai fratelli Vrenna e della misura di prevenzione richiesta nei loro confronti che consiste nella sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per 5 anni. I due imprenditori sono stati infatti ritenuti “del tutto estranei alla criminalità organizzata crotonese, da cui hanno subito viceversa angherie e danni”.

Il ricorso – Dalle testimonianze di alcuni pentiti raccolte dalla Dda emerge però che gli imprenditori, attivi nel settore della raccolta dei rifiuti, avrebbero pagato una cosca della ‘ndrangheta per “assicurarsi” da attentati e danneggiamenti. Da qui la decisione dell’antimafia di presentare ricorso allegando alle carte nuove dichiarazioni di collaboratori di giustizia. I magistrati della Dda si sono detti sicuri della vicinanza dei Vrenna al fenomeno mafioso “per essersi sin dalla genesi della loro attività accordati con le consorterie criminali”, in particolare “con quella denominata Vrenna-Corigliano-Bonaventura”.

Nel 2006 Raffaele Vrenna venne di concorso esterno in associazione mafiosa, condannato in primo grado e poi assolto. Proprio quest’ultima sentenza viene richiamata dai giudici di Crotone per sostenere l’estraneità di Vrenna alle dinamiche criminali. Da parte loro, i magistrati ribadiscono la “pericolosità sociale” del patron della squadra rivelazione: “è un imprenditore disposto a tutto, a commettere falsi e abusi e anche fare affari con persone che sa o intuisce essere losche”.

Il vescovo ribelle: bucherò il muro anti profughi

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Ägidius Zsifkovics, ha 53 anni, è vescovo, presidente della Commissione episcopale austriaca per l’Integrazione e ‘ministro’ per i Profughi della Comece, l’organismo di rappresentanza dei vescovi dei Paesi dell’Unione europea.

I fatti sono questi. Il ministero degli Interni ha deciso di montare una recinzione metallica lungo un tratto del confine ungherese, in corrispondenza di Körmend, villaggio in territorio magiaro distante un paio di chilometri dall’Austria. Qui le autorità di Budapest hanno allestito un centro di accoglienza. Vienna in piena campagna elettorale per le presidenziali, teme che molti profughi tentino di attraversare la frontiera irregolarmente. E per questo pensa di proteggersi, erigendo una barriera di nove chilometri, più lunga di quella di Spielfeld, al confine con la Slovenia. Prima di piantare i pali e di stendere la rete serve, però, l’ok dei proprietari dei terreni.

Tra questi la diocesi di Eisenstadt, il cui vescovo Zsifkovics non ci sta. Il presule ha vietato alle ruspe di entrare in due proprietà della Chiesa. Intervistato dai media locali, ha ricordato che «anche la sacra famiglia era una famiglia di profughi. Chi non lo capisce vive al di fuori del cristianesimo». E ancora: «Comprendo le paure delle persone. Però sarei un cattivo vescovo, se non sapessi dare a queste paure una risposta cristiana. E questa non è lo steccato. Semmai, in caso di necessità, un buco nello steccato!». In Austria Zsifkovics non è da solo sulla via dell’accoglienza ‘senza se e senza ma’ tracciata dal Papa. Proprio ieri la conferenza episcopale ha bocciato il progetto di muro al Brennero: «Servono decisioni coordinate a livello europeo che tutelino la dignità delle persone»

(fonte)

La risposta (giusta) della Picierno

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Anche se vi spiace, perché vi confonde le etichette, oggi ho letto l’intervista di Pina Picierno su Repubblica (di Conchita Sannino) in cui l’europarlamentare renziana dice che “l’antidoto alla camorra è la politica che rifiuta quei voti”. Nell’intervista tra l’altro si dice che c’è bisogno di tornare alla politica (lo scrivevo qui stamattina). E sono parole finalmente di senso al di là di tutta l’aria fritta (se non addirittura le falsità) lette in questi giorni. In un Paese in cui i sottosegretari si lamentano degli editoriali scomodi con i direttori qualcuno fa politica. Ora basta metterle in pratica, eh.

Parla l’ex assessore di Delrio: «La magistratura non ha saputo vedere e la politica non ha voluto vedere»

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Un’intervista illuminante a Angelo Malagoli, tra il 1995 e il 2004 assessore all’urbanistica per il Pds, Partito democratico della sinistra.

Ma allora che cosa è successo a Reggio?
La magistratura non ha saputo vedere, come ha detto Nicola Gratteri, e la politica non ha voluto vedere. E invece si è pensato di usare questi fenomeni contro di noi, contro l’amministrazione precedente.

Mi spieghi.
Delrio fa un po’ come Renzi, ha bisogno di un nemico al giorno. Quando nel 2004 diventò sindaco il suo atteggiamento politico era quello di dire: “Noi possiamo sbagliare, ma siamo migliori di quelli di prima”. Obiettivo della nuova amministrazione era sostanzialmente demolire quella precedente. Invece io mi chiedo: nel momento in cui in quegli anni si vide che il mercato immobiliare era drogato da denaro che non si sapeva da dove venisse, non ci si doveva preoccupare? Oppure bisognava prendersela con il nostro Prg? È colpa del Prg se a Reggio arriva del denaro da riciclare?

Conosce Maria Sergio, per anni dirigente dell’Urbanistica voluta da Delrio?
Sì ed è professionalmente molto valida. Ha lavorato con me negli anni in cui si scriveva il Prg e poi sono stato io a celebrare il suo matrimonio con Luca Vecchi, credo fosse il 2003.

Una informativa dei carabinieri del 2013 che riporta fonti dei servizi segreti, finita nelle carte dell’inchiesta Aemilia, parla di presunti contatti della dirigente anche con persone considerate dai pm vicine a uomini della ‘ndrangheta. Sergio, cutrese di origine, davanti ai pm racconta però di non avere molto a che fare nel suo lavoro con ditte cutresi. Lei Malagoli, che cosa pensa?
Di sicuro a Maria Sergio è stato dato un grande potere: aveva potere anche sull’edilizia privata. In comune a Reggio si diceva che i cutresi andassero tutti da lei e non più negli uffici dell’edilizia privata. La cosa all’epoca non mi scandalizzò, anche perché lei aveva molto potere.

Che cosa intende dicendo che aveva potere “anche” sull’edilizia privata?
Io non darei mai edilizia privata e urbanistica a una stessa persona (come successe per quasi un anno tra il 2009 e il 2010 a Maria Sergio, ndr). È una cosa che non sta né in cielo né in terra, se parliamo di trasparenza della pubblica amministrazione. E anche in seguito quando venne la nuova dirigente, la Sergio mantenne una specie di supervisione sull’edilizia privata.

Graziano Delrio, sentito dai pm come persona informata sui fatti nell’inchiesta Aemilia nel 2012, dice di non sapere che la Sergio era nata a Cutro e che i parenti della dirigente erano tutti nel mondo dell’edilizia.
Che non lo sapesse mi sembra inverosimile. La Sergio aveva rapporto diretto con lui. Quando Delrio diventa sindaco arrivano in comune alcuni assessori, un dirigente suo parente (di Delrio, ndr) e poi Maria Sergio: tutti fanno parte di un cerchio molto ristretto. Persone che agivano in sinergia.

(l’intervista è qui)