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Giulio Cavalli

L’idiozia di temere il dibattito

dibattito

«Si sottovaluta la necessità di avere nel Paese un dibattito con posizioni diverse, autentiche, anche dure. Che aiutano tutti, soprattutto chi governa. Discutere con sincerità dei problemi rende l’opinione pubblica – il vero architrave di un sistema democratico – più avvertita, responsabile e libera. È un antidoto naturale al populismo: la gente è indotta ad approfondire. […] Il cittadino non è un suddito. Renzi non dovrebbe temere un dibattito vero sollevato da un giornalismo libero e autonomo dal potere: una discussione aperta facilita il raggiungimento delle soluzioni migliori. Le buone politiche risaltano di più e gli errori vengono corretti in tempo. Se il dibattito è reticente, opaco copre gli errori e le collusioni, favorendo i pochi che sanno ai danni dei tanti che non sanno.»

Le parole di Ferruccio De Bortoli nella sua intervista a Il Fatto Quotidiano fino a vent’anni fa sarebbero state un elogio della banalità e invece oggi risuonano come le intuizioni di un vate. Eppure non c’è un momento netto, nitido e individuabile in cui in questo Paese sia diventato un “vezzo” fastidioso il non essere d’accordo: è un muscolo che si è stinto piano piano, una disabitudine al dibattito che si è normalizzata. E alla fine siamo scaduti nel tifo in cui parteggiare pregiudizialmente è normale. E la classe dirigente si forma sul televoto. E anche De Bortoli risuona come un rivoluzionario. Pensa te.

Sì, lo confesso: spaccio libri

libri

La lettera della dirigente coinvolta nel caso della scuola che “vieterebbe” l’ingresso agli incontri a chi non ha acquistato i libri:

«Roma, 17 marzo 2016

“Penso che una scuola pubblica che promuova l’acquisto e la lettura di libri, nell’ambito di progetti inseriti nella propria offerta formativa, faccia un’opera meritoria. Questo, forse superfluo sottolinearlo, senza che la scuola stessa ci guadagni nulla”.

La Dirigente scolastica dell’I.I.S.S. “Leon Battista Alberti” di Roma, dott.ssa Carolina Guardiani, prende così posizione in merito alla recente polemica che ha interessato il progetto “Incontro con l’Autore” in seguito all’articolo pubblicato sul Corriere della Sera a firma di Claudia Voltattorni.

“La proposta di acquisto del libro è stata rivolta a tutti i ragazzi e sono fiera di progetti di questo tipo che si fanno in tutte le scuole – spiega la Dirigente scolastica dell’Alberti – Si propone, senza alcuna forzatura, l’acquisto di un libro; chi è interessato lo compra, a un prezzo più conveniente rispetto al prezzo di copertina (ovviamente la scuola fa solo da tramite), lo legge, ne discute in classe e poi ha la possibilità di parlarne con l’autore stesso.
Spiegare a un 15 enne che, con poco più di 10 euro, oltre all’ingresso alla festa o all’aperitivo al bar alla moda può acquistare qualcosa che rimane, che gli apre la mente e il cuore, che può aiutarlo a crescere, a capire il mondo nel quale è capitato, credo sia un’ottima cosa”.

“Non regalo libri ai miei studenti – prosegue la dott.ssa Guardiani – primo perché non ho fondi, secondo perché credo sia opportuno far comprendere a un ragazzo che l’oggetto libro ha un valore, che deve essere riconosciuto e pagato perché frutto di un lavoro intellettuale che deve essere riconosciuto e pagato.

In questo senso, lo confesso e mi autodenuncio: io, dirigente di scuola pubblica, “spaccio” libri.

L’Istituto “Leon Battista Alberti” – nell’ambito del suo piano dell’offerta formativa – sostiene e promuove la diffusione e la fruizione della cultura (libri, spettacoli teatrali, cinematografici, ecc.) presso i propri studenti come mezzo per evolvere, arricchire la propria esperienza e ampliare i propri confini esistenziali.

“Qual è la notizia? Quale lo scandalo? – aggiunge la dott.ssa Guardiani – Che ci sono ragazzi che non possono permettersi di comprare il libro? Allora che dire dei viaggi di istruzione, per i quali la richiesta non è di 10 euro o poco più ma di alcune centinaia di euro che, effettivamente, possono fare la differenza nel bilancio di molte famiglie! Eppure non ho mai visto genitori indignati con le scuole (tutte) che organizzano i viaggi. Ecco, il mio pensiero è rivolto ai genitori: la porta della mia presidenza, come sanno, è sempre aperta e rinnovo l’invito a parlare direttamente e chiedere eventuali spiegazioni, in un’ottica di scambio e fattiva collaborazione”.»

Quando scappa una foto

Una foto che mi emoziona. Oggi alla manifestazione per ricordare il coraggio di Don Peppe Diana a Casal di Principe un partecipante ha deciso di portarsi con sé #miopadreinunascatoladascarpe e lo tiene stretto come si stringono le foto care.
(L’immagine l’ha catturata Angie) via Instagram http://ift.tt/1MhLY8c

Cosa succede a sinistra. A Roma. Da quello che vedo.

Se si dovesse appoggiare l’orecchio sul muro della stanza delle trattativa a sinistra di Giachetti (Giachetti incluso) per le prossime elezioni amministrative romane si avrebbe l’onore di assistere ad uno dei più avvincenti radiodrammi degli ultimi anni. L’unica differenza è che qui pare che si complotti a come perdere e peggiorare la situazione ad ogni passo.

Ne ho scritto qui oppure cliccando sul caos qui sotto.

caos
El Caos de Nick Blinko

Mafia: si consegna Tommy Parisi, il mafioso neomelodico

tommyparisi

Si è consegnato nel pomeriggio all’autorità giudiziaria Tommy Parisi, figlio del boss del quartiere Japigia, Savinuccio. Il 33enne cantante neomelodico era ricercato dal 15 marzo, quando la maxioperazione antimafia “Do ut des” ha smantellato l’impero del clan più importante di Bari, svelando un pericoloso intreccio fra imprenditoria e criminalità organizzata. Restano ancora latitanti il fratello di Savino, Giuseppe Parisi detto “Mamès”, vero reggente del clan quando Savinuccio è detenuto, e il cognato Battista Lovreglio, anche lui ritenuto uomo di fiducia del capo.

In mattinata durante perquisizioni e appostamenti, gli uomini della squadra mobile della questuradi Bari avevano arrestato un altro ricercato, Donato Catinelli, 44 anni, considerato il referente dell’organizzazione mafiosa sulla zona di Polignano a Mare. Compare nelle indagini anche come l’istigatore di un violento pestaggio, commesso da Michele Parisi e da un altro uomo ai danni del cognato di Catinelli, perché convincesse sua sorella (ex moglie di Catinelli) a lasciare la casa popolare, già occupata abusivamente, e alla quale secondo loro non aveva più diritto dopo la separazione.

Gli investigatori della squadra mobile e i colleghi del Servizio centrale operativo hanno eseguito anche le misure patrimoniali disposte dal gip Alessandra Piliego con un decreto di sequestro preventivo. Sotto sigillo tre pizzerie, tre bar, due rivendite di frutta, pesce e carne, due imprese edili, tre immobili, sette auto, quattro moto, sei conti correnti bancari con un saldo attivo di 43mila euro, oltre a 3mila euro in contanti. E ancora: sette orologi di valore, oggetti d’oro (alcuni con particolare valore simbolico) per un peso di tre chili e pietre preziose. Il sequestro, operato fra Bari e Bitonto, è stato stimato per un valore di 5 milioni di euro.

 (fonte)

Se l’imprenditore si inginocchia davanti al boss

in ginocchio

“In memoria di mio padre mi metto in ginocchio, ci siamo sempre voluti bene”. Così l’imprenditore parla al boss e lascia alla storia una scena che è simbolo di un’epoca. Ah, l’inginocchiato è anche consigliere comunale a Monreale: Romeo Albano, imprenditore di 65 anni eletto in quota Forza Italia.

La storia (triste) è qui:

«È la scena simbolo del blitz. Un imprenditore, all’epoca pure consigliere comunale a Monreale,pronto a inginocchiarsi davanti al capomafia. È la scena che fa invocare al procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, la necessità di un intervento normativo per punire in maniera più severa il perverso intreccio fra Cosa nostra e il mondo dell’imprenditoria.

Il 7 marzo 2013 l’anziano boss di Santa Maria di Gesù, Mario Marchese,riceve a casa Romeo Albano, imprenditore di 65 anni eletto in quota Forza Italia. Le microspie dei carabinieri del Ros registrano. Il tono è confidenziale: “Come mai da queste parti? perché ti devo parlare”. L’imprenditore, assieme al fratello, ha un problema da risolvere: “Sono 27 unità abitative… di 80,90 e 100 metri quadrati”. In ballo c’è una lottizzazione a Villaciambra. I fratelli Albano si erano accordati con un costruttore, al quale però “subentrano i Di Carlo”, che hanno metodi bruschi: “… qua il lavoro è nostro ce lo dobbiamo fare noi”, gli avrebbero detto.

Eccolo il problema da risolvere: gli Albano, insoddisfatti per la qualità e i tempi di di realizzazione di alcune opere preliminari, chiedono l’intervento di Marchese “perché non ho più niente a che dividere con questo che mi ha rubato per altri 11 mesi… ed un altro anno e mezzo i signori… io non posso rischiare Mariano… di perdere il progetto… quello che io ti chiedo… con il cuore in mano… chiamiamo a Ignazio Di Carlo… lui l’importante è che si ritira”. Poi, la frase choc: “Vuoi che mi metto in ginocchio?… in in memoria di mio padre mi metto in ginocchio ti ho sempre stimato e ci siamo sempre voluti bene”.

Al capomandamento viene data carta bianca per scegliere un costruttore capace di assumersi l’onere economico per portare avanti il progetto: “… poi se tu… tramite lui… tramite un altro… conosci a qualcuno che ha soldi… che ha soldi da potere coprire tutte cose … qua un investimento sicuro è”. Marchese ha le idee chiare su chi coinvolgere: il genero Cosimo Vernengo e suo fratello Ruggero, soci occulti dell’imprenditore Filippo Lorenzo Lucchese. Vernengo, altro cognome storico nella storia della Cosa nostra palermitana.»

Ma siamo sicuri che fosse santa?

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Un articolo che vale la pena leggere, di Krithika Varagur:

Il quattro settembre di quest’anno Madre Teresa diventerà Santa Teresa. Cosa tutt’altro che sorprendente; era stata beatificata nel 2003, e la beatificazione è una specie di strada a senso unico per la canonizzazione. Ma questa è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Lei una santa non lo fu.

Canonizzare Madre Teresa significherebbe chiudere la questione di quella problematica eredità che si è lasciata alle spalle, che include le conversioni forzate, i discutibili rapporti intrattenuti coi dittatori, la sua mala gestione, a onor del vero, delle cure mediche di qualità davvero pessima. Cosa peggiore di tutte, lei incarnava la classica figura dell’uomo bianco che porta la propria carità nel terzo mondo – che poi è il senso stesso di quella che è stata la sua immagine pubblica, nonché fonte d’incommensurabili traumi per la psiche collettiva postcoloniale dell’India e della sua diaspora.

Nel 2013 una ricerca condotta dall’Università di Ottawa ha sfatato il “mito dell’altruismo e della generosità” che avvolge Madre Teresa, raggiungendo la conclusione che la sua santificata immagine non regge al confronto coi fatti, e rappresenta sostanzialmente il compimento di una vigorosa campagna mediatica organizzata da una Chiesa Cattolica in sofferenza.

Nonostante tutte le sue 517 missioni, che al momento della sua morte erano state organizzate in cento diversi paesi del mondo, la ricerca ha scoperto che praticamente nessuno di coloro che vi si era recato alla ricerca d’assistenza medica ne aveva poi effettivamente ricevuta. Le condizioni che vi si potevano osservare erano non igieniche, “perfino inappropriate”, l’alimentazione inadeguata, e gli antidolorifici assenti – non certo per mancanza di fondi, nei quali l’ordine di Madre Teresa, famoso in tutto il mondo, in realtà sguazzava – ma in nome di quella che gli autori della ricerca definiscono la sua “peculiare concezione della sofferenza e della morte”.

“C’è qualcosa di meraviglioso nel vedere i poveri accettare la propria sorte, sopportandola come se si trattasse della Passione di Cristo. Il mondo ha parecchio da guadagnare dalla loro sofferenza”: lo dichiarò Madre Teresa a un Christopher Hitchens tutt’altro che entusiasta.

Pure tenendoci all’interno della concezione cristiana della benedetta mansuetudine, che razza di logica perversa sottende a questo punto di vista? Non sorprendentemente, tenendo conto della cornice in cui si svolgeva la sua opera, la risposta sta nel colonialismo razzista. Per tutti quei cento paesi, Madre Teresa appartiene all’India, ed è l’India ad aver concepito la Beata Teresa di Calcutta. Fu lì che lei acquisì l’immagine che lo storico Vijay Prakash ha definito della “donna bianca nelle colonie per antonomasia, impegnata per la salvezza di quei corpi scuri dalle loro tentazioni e dai loro fallimenti”.

La sua immagine è interamente racchiusa nella logica coloniale: quella del salvatore bianco che getta una luce sugli uomini dalla pelle ambrata più poveri del pianeta. Madre Teresa fu una martire – non per i poveri dell’India e del Sud globale – ma per quel senso di colpa bianco e borghese. (Come nota Prakash, svolgeva esattamente questa funzione al posto di, e non certo insieme a, una “autentica sfida a quelle forze che la povertà la producono e la coltivano”). E tutti quei suddetti uomini dalla pelle ambrata, poi, come li avrebbe aiutati? In modo quanto meno discutibile, ammesso che l’abbia mai fatto. Il suo persistente “secondo fine” era quello di convertire al cristianesimo alcuni fra gli individui più vulnerabili del Paese, come del resto ha dichiarato l’anno scorso il capo di una Ong induista . Esistono perfino alcune testimonianze secondo le quali lei e le sue suore avrebbero provato a battezzare persone in punto di morte.

Tutto questo accanirsi nei confronti della suora e del suo ordine potrebbe apparire meschino, se non fosse per quella che è stata l’incessante campagna condotta dalla chiesa per renderla qualcosa di più di ciò che fu. Una campagna che partì quando lei era ancora in vita, all’epoca in cui il giornalista antiabortista inglese Malcolm Muggeridge si accollò la croce di curare l’immagine pubblica di Madre Teresa, prima con un documentario agiografico del 1969, poi con un libro pubblicato nel 1971. Fu lui ad avviare il movimento d’opinione per andare a collocarla nel “regno del mito” più che in quello della storia.

La sua beatificazione postuma è stata intrapresa col furore di chi non vuole essere beccato. Papa Giovanni Paolo II esonerò il suo processo di beatificazione da quello che sarebbe stato un normale periodo d’attesa quinquennale e infatti esso cominciò ad appena un anno dalla sua morte. Si sarebbe propensi a supporre che una donna disposta a ricorrere a metodi tanto straordinari dovesse essere al di sopra di ogni sospetto. E tuttavia nel corso della sua vita Madre Teresa s’intrattenne con famigerati despoti del calibro di Jean-Claude Duvalier di Haiti (dal quale accettò la Legione d’Onore nel 1981) e l’albanese Enver Hoxha.

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