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Giulio Cavalli

Giusi Nicolini da Nobel (#nicolinidanobel)

CQzrcN-WcAALvIz.jpg-largeIl premio Nobel per la pace sarà annunciato tra poco meno di ventiquattro ore. Per la precisione, domani mattina (venerdì) alle 11.

La persona che più merita, tra le tante, un riconoscimento per il proprioimpegno umanitario, perché lasciata da sola a gestire flussi migratori che spaventano la comunità internazionale è Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa.

Praticamente nessun giornale e nessuna televisione, concentrati su altri profili, ha parlato della sua figura. Per sostenerla possiamo:

  1. Mettere “mi piace” e condividere la pagina Facebook “Giusi Nicolini da Nobel”;
  2. Utilizzare l’hashtag #nicolinidanobel su Facebook e su Twitter, spiegando le ragioni che ci portano a sostenere Giusi Nicolini;
  3. Su Twitter, in particolare, oltre all’hashtag #nicolinidanobel, citare @giusi_nicolini e @NobelPrize.
  4. Segnalare questa campagna ad amici e conoscenti.

Un Nobel così sarebbe un segnale fortissimo, per tutti.

Che silenzio intorno a ‘Mondazzoli’

medium_151005-160440_To051015Cro_051-300x225Sono un autore Rizzoli e credo che il ruolo di chi scrive sia anche quello di osservare, ossessivamente se serve, e sono convinto che il nostro lavoro sia un privilegio che ha delle responsabilità. Mi piacerebbe, mi sarebbe piaciuto pensare che in un Paese in cui gli scrittori per vendere qualche copia in più sono pronti a quasi tutto, un passaggio epocale come quello che sta avvenendo in questi giorni meriterebbe un confronto continuo, un dialogo altisonante e deciso e piuttosto del silenzio anche qualche panzana scritta in maiuscolo.

Ne ho scritto qui.

Se si rompe il giochino delle primarie a Milano

Quando ne avevo scritto su Left qualcuno dei presunti dirigenti lombardi aveva anche bofonchiato. Evidentemente ci sarebbe da fare qualche telefonata in più nell’asse Milano-Roma poiché la voce che circola proprio oggi tra i corridoi del Parlamento è ancora più netta della previsione fatta: il giochino delle primarie a Milano si è rotto, in molti a sinistra hanno capito da un pezzo che l’esperienza Pisapia non è ripetibile è percorribile senza Giuliano e in più i “nomi civici” che avrebbero dovuto risolvere il problema non scaldano il cuore proprio a nessuno.

A sinistra si stanno già organizzando e le idee sono chiare. Rimane l’interrogativo SEL ma anche tra i vendoliani romani sotto voce molti dicono che non si potrà fare finta di andare d’accordo con il PD a Milano. “Molti dei nostri non lo capirebbero, senza Giuliano”, dicono.

Chissà se sorridono ancora. Lassù.

Quando scappa una foto

Il montaggio. Il rito della preparazione. Il Teatro solo nostro per imparare ad abitarlo. #lamicodeglieroi #pavia #teatrofraschini via Instagram http://ift.tt/1MZxfvl

Quando scappa una foto

Ha sempre il sapore buono della preparazione, dell’apparecchiamento e del raccoglimento il viaggio per andare in scena. Una coltivazione che inizia alla mattina e sboccia sul palco la sera. Oggi a Pavia. Teatro Fraschini. Non ci si ferma mai. #lamicodeglieroi via Instagram http://ift.tt/1VEhnAs

Quando scappa una foto

#vetrinemilanesi #feltrinelli #piazzaduomo #milano #miopadreinunascatoladascarpe In Duomo, nella mia Milano, tra i libri consigliati all’ingresso. Torno presto anch’io. via Instagram http://ift.tt/1OjOavA

I pazienti bruciavano nei letti

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L’infermiere di Medici Senza Frontiere, Lajos Zoltan Jecs, si trovava nell’ospedale di Kunduz quando la struttura è stata colpita da una serie di bombardamenti, nelle prime ore di sabato mattina. Questa è la sua testimonianza:

È stato folle. Abbiamo dovuto organizzare un pronto soccorso di fortuna e capire quali dottori fossero ancora vivi e capaci di aiutare. Abbiamo sottoposto uno dei dottori a un’operazione d’urgenza, ma è morto lì sul tavolo dell’ambulatorio. Abbiamo fatto del nostro meglio, ma non abbastanza.

È stata una situazione davvero difficile. Abbiamo visto i nostri colleghi morire. Il nostro farmacista, con cui avevo parlato la sera prima, era morto lì in ambulatorio.

I primi momenti sono stati segnati dal caos. Insieme ai membri dello staff sopravvisuti, abbiamo aiutato i feriti che era possibile curare. Ma ce n’erano troppi che non siamo riusciti a soccorrere. Abbiamo curato le persone che avevano bisogno di soccorso, senza prendere altre decisioni. Come avremmo potuto in una situazione di tale paura e caos?

Alcuni colleghi erano ancora troppo traumatizzati, riuscivano solo a piangere. Ho provato a convincere parte del personale a offrire aiuto, cercando di dare loro qualcosa su cui concentrarsi e distogliere la mente da quell’ orrore. Ma per alcuni lo shock era tale da impedire loro di fare anche il minimo gesto. Non è facile vedere degli uomini adulti, degli amici, piangere senza riuscire a controllarsi.

“dentro questa scatola ce n’è lo spirito”: ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ secondo GQ

(recensione di Alex Pietrogiacomi, l’originale è qui)

Schermata 2015-10-06 alle 11.42.44La scatola di scarpe in cui ci fa entrare la scrittura sicura e delicata di Giulio Cavalli non è soltanto metaforica ma anche reale. Questo romanzo racconta una storia vera, racconta una vita spezzata e come sempre dimenticata se non da chi quella vita se l’è vista portare via. Una scatola di scarpe può essere soffocante, può essere aperta e chiusa, lasciata in disparte oppure continuamente rigirata tra le mani. Come i ricordi, come il dolore, come l’ingiustizia, come l’impossibilità di fare se non attraverso le proprie forze, che troppe volte vacillano e hanno bisogno di un sostegno. Qui arriva il romanzo, qui arriva la narrazione, a porgere un braccio, a rassicurare sul fatto che non tutto è perduto, non tutto è dimenticato e che gli animi si possono riaccendere, le menti aprire di nuovo, gli occhi far brillare ancora.
La scatola di scarpe allora lascia ogni tipo di immaginazione letteraria e mistificatrice dei propri sentimenti,  per entrare nella crudeltà della pagina chiusa, in quella distonia chiamata realtà, chiamata storia. E non raccoglie oggetti dei desideri, memorie infantili da voler rivedere ma le ossa carbonizzate di un padre, il cui unico dramma è stato quello di vivere nel posto sbagliato (che poi sbagliato perché?) e avere lo sguardo sempre alto, la testa mai china, nonostante ogni giorno che passi diventi più invisibile. Quel padre che si chiamava Michele Landa. Se ne stava a Mondragone a pensare alla sua dignità di uomo libero e a quella della famiglia, per poi ritrovarsi a scontrarsi con il silenzio nella propria terra, con i Torre a minacciare, intimidire… ferire a morte. Solo tra i concittadini eppure in mezzo a loro, solo su quella terra che lo disconosce che volge lo sguardo altrove. Che lo dimentica.
Cavalli però non ha una memoria a breve termine, non ha memoria collettiva, ha memoria civile e scrive, li trova i familiari, ci parla, non racconta solamente, entra a farne parte e queste pagine intrise di una forza indomita colmano ogni lacuna, ogni dimenticanza piccolo borghese che troppe volte ci attanaglia, ci piega e plagia, rendendoci distanti anche da i nostri simili.
Una forza che conosciamo bene quella cui attinge questa scrittura, ma che utilizziamo in un senso solo… la forza dell’amore, per la propria vita e per chi si incrocia con essa; per il proprio riflesso in uno specchio e negli occhi di chi ci ama. Nonostante le lacrime dei propri diritti piegati sgorghino in silenzio.
Per essere uomini si devono conoscere uomini, di quelli che ne rappresentano la schiera più nobile e qui dentro, dentro questa scatola ce n’è lo spirito.