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Giulio Cavalli

L’Europa secondo Banksy (che non è lui)

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—aggiornamento—

Come ha precisato qualche giornale italiano – in alcuni casi correggendo l’errore dopo che gli era stato segnalato – la foto era stata utilizzata nel maggio del 2015 da un’organizzazione spagnola che si occupa di diritti umani, la CEAR (ComisiónEspañola de Ayuda al Refugiado), per una campagna di sensibilizzazione sui naufragi dei migranti nel Mediterraneo chiamata #UErfanos, e non è chiaro se sia stata in qualche modo “modificata”. Ancora oggi la foto è l’immagine di copertina dell’account Twitter della CEAR.

(fonte)

#Left cosa ci abbiamo messo dentro

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Che la sinistra rinasca proprio nell’ultima patria di Karl Marx? In Gran Bretagna Jeremy Corbyn, il candidato più a sinistra alla segreteria del Labour, cresce nei sondaggi ed è molto popolare tra i giovani. La cover di questa settimana di Left è dedicata proprio a lui, marxista di formazione, amato dai sindacati e dalla working class, fautore della statalizzazione dei servizi pubblici, compresa la scuola. Corbyn è un feroce nemico delle diseguaglianze sociali che con la Thatcher prima e il blairismo poi, sono cresciute a dismisura. Nella sola Londra vivono 2 milioni di poveri. Questo signore dalla barba bianca che ama viaggiare in bicicletta e dice cose di sinistra, sta facendo così tanti proseliti dentro il Labour – le cui primarie si tengono il 12 settembre – da produrre diversi interventi di Tony Blair, che lo accusa di voler distruggere la creatura da lui creata: un partito laburista che corre e spera di vincere al centro dello spettro politico. «Ma più Tony Blair parla e più la gente si convince a votare Corbyn!», afferma nell’intervista rilasciata a Left, lo scrittore Antony Cartwright che ha raccontato la stagione del thatcherismo in molti dei suoi libri.

In Società affrontiamo anche il problema dei migranti e delle scelte politiche che l’Europa si trova ad affrontare. Il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati Christopher Hein sostiene che una soluzione potrebbe essere l’asilo europeo, mentre Fulvio Vassallo Paleologo fa il quadro delle politiche fallimentari e dei ricatti europei.

Cosa sta facendo il governo Renzi per l’ambiente? Ben poco. Anzi, è contraddittorio. Da una parte annuncia il Green act, dall’altra promuove nuovi inceneritori e trivelle e concede finanziamenti a strutture inutili. Left fa il punto sulla politica renziana della “lobby del grigio”. E sempre in Società una storia della creatività italiana attraverso il personaggio del giocattolaio Vittorio Lonzi.

Negli Esteri il punto sulla politica greca dopo le dimissioni di Tsipras con le motivazioni degli scissionisti di Syriza, mentre dall’Egitto l’analisi sul governo del presidente golpista al-Sisi che sta cancellando i protagonisti della Primavera araba. E ancora: Piattaforma Gaza, uno strumento di cartografia partecipativa per individuare le violazioni dei diritti umani messo a punto da Amnesty e Forensic Architecture di Londra. Left indaga poi sui desaparecidos: quelli di oggi in Messico dove esiste un legame tra pezzi di Stato e gruppi criminali e quelli di ieri in Argentina attraverso il racconto di una testimone del processo “Condor”.

In Cultura Francesco Erbani, autore di Pompei, Italia, racconta il degrado e il malaffare dell’area archeologica, metafora del Paese, mentre Pietro Greco fa il ritratto di Lise Meitner, la “madre” della fissione nucleare che disse no alla bomba atomica. E sempre per la scienza, Left parla del super batterio “modificato” per individuare le malattie del corpo umano. Infine, un omaggio al regista Jafar Panahi, di cui sta per uscire nelle sale il film Taxi Teheran.

(clic)

Quella bomba ad Altamura, la morte di ‘Zidane’ e l’antimafia un po’ strabica

1469758_1033163253368866_4823456023248112268_n-300x225Ad Altamura qualche mese fa, forse ve lo ricorderete, è scoppiata una bomba in una sala giochi. Un attentato mafioso in piena regola. Qualche settimana fa il ferito più grave è morto. Lo chiamavano Zidane, perché aveva il numero 10 sulle spalle e i piedi di fata. Mafia, morte e calcio: negli USA ci farebbero un film e qui non ce ne siamo nemmeno accorti. E invece è una storia che annega il cuore. Ne ho scritto qui.

#MéxicoNosUrge, l’appello per fermare la violenza in Messico

Parte da LEFT l’appello che non si può non condividere:

ruben_espinosa_mexiconosurge-1024x683«Come giornalisti siamo in pericolo, non abbiamo protezioni minime ma, anche se in queste condizioni, aquí estamos, noi ci siamo, tenemos mucha fuerza, abbiamo molta forza, porque tenemos la verdad a nuestro lado, perché dalla nostra parte abbiamo la verità». Il fotogiornalista Rubén Espinosa Becerril il 12 giugno 2015 si rifugia da Veracruz a Città del Messico dopo essere stato minacciato da “persone non identificate”. Un mese e mezzo dopo, il 31 luglio, viene assassinato con l’attivista sociale Nadia Vera, anche lei fuggita da Veracruz, e tre donne che vivevano nello stesso appartamento nella colonia Narvarte. Rubén continuava a denunciare come la libertà di stampa in Messico viene violentata quotidianamente, in particolare nello stato di Veracruz.

«In questi ultimi cinque anni, durante il governo del priista Javier Duarte de Ochoa sono stati assassinati 15 giornalisti, tutti gli omicidi sono rimasti impuniti. Veracruz è la culla della violenza contro i giornalisti», denunciava. Fino al 31 luglio, quando un gruppo armato irrompe nell’appartamento in cui viveva a Città del Messico. Un giorno qualunque, in un quartiere alto borghese, delle persone entrano in una casa e, dopo aver violentato l’attivista Nadia Vera, la studentessa Yesenia Quiroz Alfaro e altre due donne che si trovavano con loro, Nicole Simon e Alejandra, uccidono tutti.
Dopo la strage, che ricorda le dittature argentine e cilene degli anni 70, la domanda centrale è perché li hanno uccisi. La giornalista indipendente Catalina Ruiz-Navarro, in uno degli editoriali più interessanti scritti in questo periodo, afferma: «Li hanno uccisi perché hanno potuto. Nella vita reale, non possiamo fare niente se non abbiamo l’opportunità di farlo, e questa opportunità in Messico è strutturale: l’ingiustizia è lo Stato. Una mancanza di protezione e impunità quasi assoluta: per questi li hanno uccisi».

Dov’è il video di quello con la pistola?

Schermata-2015-08-26-alle-22.29.31-600x496Nella giornata di oggi nessun sito editoriale degno di questo nome ha trasmesso il video terribile che l’assassino dei due giornalisti in Virginia ha messo online su Twitter e Facebook prima di spararsi un colpo (e prima che sia Twitter che Facebook lo rimuovessero nel giro di pochi minuti). Lo hanno guardato e hanno detto “no, noi questa roba non la mettiamo”. Rimanendo ai nostri usuali punti di riferimento non lo hanno trasmesso BBC, Le Monde, Guardian, NYT, Washington Post, El Pais. Fra i nuovi media editoriali (quelli nati sul web e quindi molto sensibili ai click dei loro clienti) non lo ha trasmesso Huffington Post, né DailyBeast e nemmeno Buzzfeed.

In Italia invece, per rimanere ai primi tre siti informativi (Repubblica.it Corriere.it e La Stampa.it) i grandi giornali lo hanno immediatamente pubblicato tutti con la massima evidenza, con la solita avvertenza sulle immagini forti e con un taglio della scena finale con l’esplosione dei colpi di pistola: una legione di blogger stanchi alla disperata ricerca di pagine viste da archiviare titillando la morbosità dei propri lettori.

Una scelta del genere traccia una linea netta: da un lato rimangono i guardiani dell’informazione, quelli che credono che sia giusto ed economicamente conveniente offrire ai lettori un punto di vista organico, un filtro, un’interpretazione, giusta o sbagliata che sia. Dall’altra si trovano invece quelli che hanno scelto di frugare dentro il calderone dei contenuti in rete trasformandolo nella propria attività principale. Quel mescolone informe di curiosità, notizie non controllate, bugie, video di gattini, tetteculi, stranomavero, peli delle orecchie più lunghi del mondo ed ogni altra cazzatine buone a richiamare l’attenzione bulimica dei navigatori.
In altre parole –e brutalmente- da una parte il giornalismo, dall’altra l’utilizzo di Internet, intesa come luogo di incontro e relazione fra le persone, per un progetto economico che assomiglia molto ad un circo.

(Massimo Mantellini, ne scrive qui)

Io firmo i referendum. E li sostengo. E me ne frego delle sottane.

Schermata 2015-08-26 alle 19.15.16Ogni tanto mi capita di avere gli stessi pensieri di Gilioli; così mentre mi metto a leggere prima di scrivere trovo qualcosa che mi ronzava in testa a cui Alessandro ha già dato una forma. Come questo post qui. Poco male, comincerò a preoccuparmi quando mi succederà lo stesso con Calderoli.

Tornando al punto, invece, firmerò e sostengo gli otto referendum che in questa torrida e povera estate stanno banchettando con i volontari sotto il solleone. Già avevo scritto sul senso della stampa per Civati ma anche il gioco del pregiudizio politico a sinistra devo ammettere che sta dimostrando il peggio di sé.

Il punto è: sono utili questi referendum? Sì. Sono condivisibili? Sì. Avrebbero potuto essere pensati con una migliore gestione delle relazioni sociali e un’organizzazione iniziale più aperta? Sì. E sono sicuro che il movimento ‘Possibile’ rifletterà su questo.

Però se andate a leggervi il materiale informativo e lasciate da parte quelli che li chiamano “i referendum di Civati” e prendete una decisione sarebbe un bene per tutti. Che siate d’accordo o meno. Perché ho la sensazione che quelli che ci dicono che “sono i referendum di Civati” siano quelli che indipendentemente dall’interesse collettivo hanno scelto chirurgicamente che ‘Possibile’ vada a sbattere. Nonostante siano ‘compagni’.